Animazione italiana in subbuglio: cosa è successo in seguito alle decisioni ministeriali

Le reazioni dei produttori successivamente alla negazioni delle sottoquote per l'animazione italiana in streaming e su tv private.

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Come riportato nell’approfondimento che vi abbiamo proposto, venerdì 5 aprile, presso il cinema Adriano di Roma, ha avuto luogo l’incontro “Vogliamo ancora un domani”. Si è trattato del più grande ritrovo tra i vari comparti della filiera cinematografica italiana che (a memoria) sia mai stato organizzato, al fine di discutere delle principali questioni che stanno interessando l’intera industria. Tra la mancata approvazione di decreti attuativi per agevolare gli step burocratici e il dibattito riguardo la prevendita dei diritti alle media company, una parte della discussione è stata dedicata anche alla situazione di profonda precarietà che caratterizza l’animazione nazionale, richiedendo per essa appositi sottocontributi.

Niente sottoquote all’animazione per Tv private e piattaforme

D’altra parte, tra le altre cose, l’evento arriva in coda all’accesa discussione che ha tenuto banco nell’ultima settimana in seguito alla decisione in sede di revisione del Testo Unico dei Servizi Media Audiovisivi (Tusma) da parte del Consiglio dei Ministri (avvenuta mercoledì 20 marzo) di negare drasticamente sottoquote di investimento per le tv private e le piattaforme streaming/on-demand per la realizzazione di opere animate italiane. Un’iniziativa simile a quanto già in atto per le produzioni indipendenti. In sostanza, se per la Televisione pubblica vige un obbligo d’investimento per i prodotti destinati al pubblico scolare e pre-scolare, lo stesso discorso non si applica per reti private come Mediaset o per il vasto panorama dello streaming, al contrario di come accade in altri Paesi come, per esempio, la Francia. Con questo rifiuto viene meno la possibilità d’introdurre un’imposizione con la quale anche i privati s’impegnano nello stanziamento di un tetto minimo da dedicare a prodotti animati (sia filmici che televisivi) nostrani. Questo nonostante il giudizio favorevole del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e della Commissione Cultura della Camera. Tale decisione ha attirato le proteste da parte di Cartoon Italia, l’associazione nazionale dei produttori d’animazione, la quale il giorno successivo ha rilasciato un comunicato stampa in cui denuncia il generale disinteresse da parte delle istituzioni nel sostenere il lavoro degli artisti italiani.

A tal proposito, Maria Carolina Terzi, presidente di Cartoon Italia (nonché co-fondatrice di Mad Entertaiment) a nome dell’intera associazione ha affermato:

"Non comprendo la scelta di questo governo di mettere in ginocchio un comparto industriale che conta oltre 50 aziende che dà lavoro a 6000 giovani con un’età media tra i 20 e i 30 anni e che crea contenuti per bambini veicolando i valori che appartengono alla nostra tradizione culturale. Dal governo una miopia che impedisce la crescita naturale e necessaria per un comparto industriale e creativo, eccellenza del Made in Italy".

La diffusione del comunicato ha sollevato numerose manifestazioni di solidarietà da parte di diversi nomi dell’Industria filmica italiana, i quali hanno espresso il proprio disappunto in merito alla decisione del Governo. Tra le personalità che hanno dato voce a questo malcontento è compreso anche l’Amministratore Delegato di Lucky Red Andrea Occhipinti, dichiarando:

"È un vero peccato che in Italia non si comprenda l’importanza che ha la produzione di animazione, un linguaggio molto apprezzato dal pubblico come dimostrano gli incassi. Le società italiane sopravvivono con Rai Kids e lavorando per produzioni straniere. Alcune delle nostre eccellenze e talenti nel campo sono emigrati all’estero, mentre tutti gli altri paesi europei sono diventati grandi produttori e esportatori di film e serie, sia per bambini, che per adulti. L’animazione è la forma di cinema più facile da esportare, ha spesso un linguaggio universale dove il doppiaggio non è un problema".

A questo commento fa eco anche quello di Iginio Straffi, CEO di Rainbow:

"Sono negativamente sorpreso per la decisione che è stata assunta e che non riconosce minimamente quelle che sono state le nostre richieste. Non si tratta solo di una battaglia combattuta per un riconoscimento economico che comunque sarebbe necessario per competere ad armi pari con le produzioni straniere, ma soprattutto di avere a cuore i valori fondanti di un’educazione che attraverso l’animazione si trasmette ai più piccoli e in qualche modo a un vero e proprio patrimonio culturale italiano".

Alla ricerca di un sistema compatto

La preoccupazione generale da parte dei produttori è che la scelta del Governo possa tradursi in una maggiore apertura alle realtà estere a discapito degli Studi italiani, con la Rai (attraverso Rai Kids) ad ergersi a finanziatore quasi esclusivo dell’intera produzione animata nazionale, diventando di fatto un monopolio. Tutto questo limitando le già poche possibilità messe a disposizione nel nostro Paese e affossando le potenzialità degli artisti italiani che spesso non trovano alternative se non quella di emigrare all’estero (negli USA o in Francia).

Le ragioni alla base di questa decisione sono da ricercare, a quanto pare, nelle pressioni che i privati, a partire dal gruppo Mediaset, hanno fatto allo scopo di mantenere una propria indipendenza senza essere soggetti alle imposizioni dello Stato. Anche se da più fronti emerge il sospetto che tale giustificazione sia da tradurre in una diffusa sfiducia in un mezzo espressivo la cui importazione risulterebbe economicamente più vantaggiosa rispetto alla produzione interna.

Per quanto le quote negate avrebbero rappresentato un indubbio supporto a un mercato fortemente in crisi come quello italiano è altresì vero che questo non implica la rimozione di qualcosa già presente all’interno dei meccanismi produttivi. Difatti, ciò che provoca maggiore frustrazione non è la mera questione monetaria, quanto la dichiarata volontà di prendere posizione, rimanendo legati all’assoluto immobilismo, lasciando inalterato l’attuale status quo.

Alla luce di ciò, la speranza è che quanto avvenuto possa motivare gli Studi a muoversi per la creazione di un sistema produttivo solido, dando origine proprio a quell’industria che attualmente risulta assente nel contesto dell’animazione italiana.

D’altronde l’Italia è un Paese che in larga parte si sostiene sul lavoro delle piccole e medie imprese, le quali per essere più competitive si trovano talvolta nella condizione di consorziarsi. È auspicabile che anche gli Studi d’animazione adottino una medesima soluzione, collaborando fra di loro al fine di creare raggruppamenti sotto i quali possano operare più Società, al fine di avere maggiori possibilità sia nel mercato interno che in quello estero. Esempio già avviato in questa direzione lo ritroviamo in For Fun Media, network fondato nel 2018 sotto il quale operano Studi di rilievo quali MoBo Digital Factory, Movimenti Production, Studio Bozzetto e Doghead Animation.

FONTI: CartoonItalia, THR, LA STAMPA

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