Cosa hanno intenzione di fare gli esercenti ANEC per la ripartenza del cinema, spiegato chiaro

L’intenzione è di tornare ai livelli prepandemici come, con calma, sta accadendo in altri paesi. Ma in Italia ci sono alcuni nodi

Critico e giornalista cinematografico


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Il cinema in sala stenta a ripartire e dopo due anni di pandemia troppe sale hanno chiuso i battenti (500 schermi). L’ANEC, l’associazione di categoria degli esercenti (che ne rappresenta molti ma non tutti, noi avevamo proposto tempo fa un resoconto di cosa significhi gestire una sala che programma film di Netflix), ha indetto così una conferenza stampa per illustrare a tutti quale sia la situazione e cosa si stia facendo. Non è un momento per prendere decisioni, quelle sono state già prese, ma per comunicarle e illustrare i problemi. Un momento in cui parlare alla presenza dei rappresentanti anche dei distributori, dei produttori e degli attori.

Quando escono notizie sullo stato delle sale si parla sempre di baratri e chiusure ma in realtà nel 2019 stavamo andando bene” spiega in apertura Mario Lorini, presidente ANEC. Il cinema in sala in Italia da 30 anni è attestato su un certo quantitativo di biglietti staccati ogni anno, l’intenzione è di tornare a quello e non adagiarsi sull’idea che quella cifra è andata, anche perché se continua così le previsioni per il 2022 parlano di raggiungere la metà di quello standard. Sempre Lorini poi ricorda che in altri paesi Europei stiamo vedendo una ripresa del cinema in sala mentre da noi no. Più avanti poi Luigi Lonigro, presidente dell’associazione distributori, dirà che è così perché “quella italiana è un’industria più fragile delle altre”.

Le richieste degli esercenti ANEC per la ripartenza

La conferenza è stata lunga. Molto lunga. E come sempre in questi casi piena di rappresentanti che hanno dovuto rappresentare e parlare anche senza avere troppo da dire.

Quello che è chiaro è che Lorini è in contatto con il ministro Franceschini e che quasi tutti ritengono che sia la politica a dover risolvere la situazione in modo che poi i singoli attori della catena di sfruttamento si debbano adattare a quel che dice la politica. Che non è il massimo (la risposta più corretta sarebbe fare in modo che il mercato attirasse gli spettatori, non che la politica agevolasse questo ritorno, regolamentando diversamente il settore) e spiega bene come a fronte di molto parlare di unità non ci sia nessuna unità e l’industria non sia in grado di agire compatta da sé ma chieda a qualcuno di esterno di imporglielo. Tutto molto in linea con la tradizione italiana di risoluzione di questi problemi.

Gli elementi più concreti che sono usciti, tuttavia, sono quelli che vengono dalla posizione degli esercenti: “Nel 2021 sono usciti 353 film, di questi 153 erano italiani. Nel complesso hanno pesato per il 20% dell’incasso totale, ma questo grazie solo a 4-5 film che hanno totalizzato il grosso della cifra, gli altri hanno realizzato poco e niente. Il pubblico non li ha capiti, non li ha visti o non li ha trovati”.

Lorini non può imputare una causa specifica perché non è il lavoro dell’ANEC criticare le produzioni ma invece lo è sottolineare che per un motivo o per l’altro il cinema italiano commerciale non è sufficientemente commerciale. Almeno non come prima. Vuoi perché non piace. Vuoi perché non è promosso come dovrebbe essere promosso. Vuoi perché non sa creare l’evento che spinge le persone fuori casa.

Freaks Out tramonto

A Lorini fa subito eco Domenico Di Noia della FICE (Federazione Italiana Cinema d’Essai) che fa notare un altro dato cruciale: ci sono 900 progetti di produzione italiana al momento e solo il 30% di questi è pensato per la sala (gli altri sono o film per lo sfruttamento in streaming o serie tv). “C’è qualcosa che non funziona e va rivisto da parte delle istituzioni [...] vengono stanziati 750 milioni per la produzione di audiovisivo, una cifra importante, quasi il doppio di quella che era nel primo anno della nuova legge, ma bisogna capire se questi investimenti valorizzano ciò che viene prodotto”. Quello che intende qui è che sì, si produce molto e ben finanziato ma non con in mente la sala, quei soldi delle produzioni vanno ad aiutare gli altri sfruttamenti. “Allora c’è la necessità di regolamentare dal punto di vista delle uscite e garantire una finestra seria a prodotti nazionali e internazionali. Abbiamo visto film italiani andare in piattaforma un mese dopo l’uscita, è inaccettabile”.

Questo è abbastanza chiaro ed è il secondo punto che chiedono gli esercenti. I film in sala ci deve andare e rimanere, non si può creare la percezione che tanto dopo poco un film arriva in tv in una maniera o nell’altra, altrimenti non c’è possibilità di creare l’evento, non c’è lo stimolo a uscire: “Siamo convinti che prima o poi ci sarà la necessità di uscire di casa con l’allentamento delle misure” continua Di Noia “sta a noi costruire un percorso nuovo e ai distributori, modificare alcuni comportamenti che facilitano la possibilità di arrivare nelle sale”.

A tal proposito Lorini è stato anche più diretto: “Possiamo avere 6 mesi tra l’uscita in sala e l‘arrivo in piattaforma?”. Il problema però come sempre sono le major americane, per convincere le quali servono misure dall’alto.
Mentre Di Noia ha chiuso con una nota: “Sarà necessario che ci siano delle modifiche dal punto di vista distributivo, un rapporto nuovo per consentire alle sale di gestire meglio le programmazioni con più varietà e libertà di programmazione”.

I pareri dei distributori e delle altre associazioni

Quest’ultima notazione, quella sulla libertà di programmazione, poter fare multiprogramma, cioè non per forza lo stesso film in tutti gli spettacoli della giornata ma che ogni cinema possa modulare e variare in base ad affluenze e al proprio pubblico, è il primo terreno di scontro. È quello che non va bene ai distributori, che insorgono proprio su questo, richiamando il fatto che ora che parliamo di interventi importanti e molto seri, di un lavoro grosso per rilanciare le sale, non possiamo metterci a discutere di questioni di cui si discuteva prima della pandemia e di cui si potrà discutere anche una volta risolta questa crisi ma che ora sono secondarie. Questo, parafrasato, il pensiero espresso da Lonigro, il quale poi auspica anche che chi scrive (cioè le testate) dia il giusto risalto ai problemi, e per essere certo che non ci sbagliamo ce lo dice lui qual è il giusto risalto: non considerare la multiprogrammazione come una priorità. Che poi è la sua opinione. E noi rispondiamo a questa richiesta e lo scriviamo, così ora lo sapete.

Sempre per amor di sintesi si può anche dire che molti di quelli che sono intervenuti, come Fabrizio Gifuni in rappresentanza di Unita (un’unione che rappresenta attori di teatro e cinema), hanno auspicato che le sale diventino centri polifunzionali, che non siano solo posti dove vedere film ma anche fare altro, seguendo l’esempio virtuoso di diversi cinema che l’hanno fatto con ottimi risultati. E sulla stessa linea era Benedetto Habib, che rappresenta i produttori: “Il mondo è cambiato, la sala non è più solo il posto in cui si va a vedere il film, è un’esperienza, in competizione con altri eventi, che pone il prodotto al centro ma anche ciò che sta intorno” (sic).
Particolarmente pungente la risposta di Lorini (secondo terreno di scontro): “Benedetto, abbiamo sprecato tempo, sapevi che l’obiettivo primario era trovare una formula in Anica per arrivare a regolamentare la cronologia delle uscite delle distribuzioni internazionali”. Ad ogni buon conto l’ANEC non è impermeabile a questa idea, anzi. Sempre Lorini ha precisato di aver parlato al ministro Franceschini dell’importanza del fatto che le sale seguano l’esempio di alcune eccellenze, da quelle deluxe (sale molto belle) a quelle polifunzionali, cioè che sanno creare altro intorno ai film.

spider-man no way home zendaya tom hollandIl problema della sovraesposizione delle piattaforme

E poi ancora c’è una terza questione per le sale (dopo i film italiani non sufficientemente commerciali e le produzioni che producono senza avere la sala come obiettivo primario): il fatto che l’audiovisivo che non va al cinema riceve maggiore promozione. È un terreno spinoso perché di certo l’ANEC non può chiedere di non fare pubblicità alle piattaforme o alle serie, ma è evidente che film per piattaforme e serie tv siano molto più pubblicizzati dei film che vanno in sala (anche perché fino a poche settimane fa non c’erano molti film in sala per i quali valesse la pena spendere soldi in pubblicità!): “La sovraesposizione mediatica quotidiana può disorientare il pubblico. Si pensi a Sanremo, lo spazio pubblicitario era per il 95% del tempo preso dalla promozione di Amazon, Netflix e Disney+, proprio quando avevamo un documentario importante come Ennio e un film come Assassinio sul Nilo che invece hanno ricevuto spazio quasi nullo. Non demonizziamo niente ma dobbiamo riprenderci i nostri spazi”.

Le risposte di ANEC

In chiusura vi riportiamo infine le proposte concrete dell’ANEC per la ripartenza:

  • Promuovere una parziale detassazione del biglietto dei cinema per introdurre una riduzione generalizzata agli spettatori under 18;

  • Dare vita a una campagna istituzionale sul Cinema al Cinema;

  • Organizzare una Festa del Cinema in primavera, accompagnata da una campagna di comunicazione - e una copertura stampa adeguata - delle uscite cinematografiche: troppo spesso si abusa della parola Cinema per promuovere altre forme di consumo di film;

  • Ritrovare ricchezza e certezza dei listini di nuove uscite in sala;

  • Assicurare maggiori investimenti dell’industria per bilanciare l’accesso agli spazi televisivi

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