Ancora regali statali al cinema?
Nell’ultimo post di Beppe Grillo sul suo blog, il comico se la prende con una proposta di legge che mira a riformare l’industria cinematografica italiana, apparentemente a spese di Internet. Ma la realtà non è così drammatica e i problemi sono decisamente altri…
C’è invece la questione di dove reperire i fondi. E qui ha fatto notizia l’idea (ripresa anche dal popolare sito Punto Informatico) di tassare i provider Internet con “una quota pari al 3,5% del fatturato annuo lordo degli operatori Internet derivante da traffico IPTV, streaming TV e, in genere, da traffico di contenuti di immagini in movimento”. Ora, non dovrebbe essere tanto l’idea di tassare dei contenuti video presenti su Internet a sconvolgere (considerando che la stessa proposta mira a obbligare Sky a investire nel cinema italiano, cosa che succede anche in Francia con Canal Plus, con quote decisamente più alte), né gli eventuali costi aggiuntivi per l’utente (la tassa sarebbe sui contenuti multimediali, quindi su un guadagno limitato dei provider e per forza di cose l’abbonamento non potrebbe subire giustificate ripercussioni di rilievo), quanto l’assurdità delle modalità. Intanto, come si possono tassare indistintamente tutti i contenuti multimediali presenti sui provider, dal blockbuster hollywoodiano al video amatoriale? E poi, come fare per calcolare quali sono esattamente i guadagni (va bene per un film scaricato a pagamento un tot numero di volte, ma per un video gratuito?)?
Non possono essere destinatari di contributi di alcun tipo i film che […] per contenuti, tematiche, immagini o sequenze sono in grado di nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, che contengono scene pornografiche o di violenza gratuita.
Positivo invece questo passaggio (e altri dello stesso tenore), che fanno capire che finalmente conteranno anche i risultati delle case di produzione finanziate:
Non sono concessi contributi per opere che, nel suddetto periodo, hanno realizzato incassi inferiori a un limite minimo fissato annualmente dall’Agenzia.
Insomma, la materia è fatta di luci (sostegno anche alla distribuzione, il che è fondamentale se pensiamo che buona parte dei prodotti italiani praticamente non arriva in sala) e ombre (le solite norme che favoriscono i film ‘pedagogici’ e istruttivi). Ma il problema di fondo sono, come sempre, le persone. Visto che rimarrà la commissione che dovrà decidere sui finanziamenti alle opere prime e seconde, la speranza è che non ne facciano parte gli stessi che si sono battuti per non ammettere agli aiuti un progetto come Notte prima degli esami, che poi in sala ha dimostrato tutto il suo valore commerciale.
Ovviamente, poi rimangono i dubbi di sempre.
Come è possibile che autori affermati come Scola, Lizzani, Bellocchio, Monicelli e tanti altri, negli ultimi dieci anni, abbiano ricevuto dei finanziamenti statali, magari perché i loro film venivano considerati di ‘interesse culturale nazionale’? Qui non si tratta di promuovere un giovane su cui nessuno ha il coraggio di investire, perché al ventesimo o trentesimo film un autore dovrebbe aver trovato la sua nicchia di mercato (piccola o grande che sia) e un produttore che vuole investire su di lui (altrimenti, può anche fare qualcos'altro per vivere). Sarà così anche in futuro (speriamo proprio di no)?
E poi, sarà veramente in grado la proposta di legge di guardare al modello francese, che sostiene anche la distribuzione (perché investire tutto sulla produzione, se poi il film arriva in due sale, non è una grande idea), mentre incentiva le televisioni a produrre opere autoctone e i produttori a reinvestire i proventi in nuovi film?
Il fatto è che, pur con tanti problemi, il cinema francese è sicuramente quello più in salute nel nostro continente, con diverse pellicole che si fanno strada in tutto il mondo e con molti registi, attori e sceneggiatori che lavorano anche a Hollywood.
Purtroppo, il nostro problema sono anche i registi/attori. Vogliamo parlare dei vari Benigni, Aldo, Giovanni & Giacomo, Pieraccioni, Boldi & De Sica? Nonostante le differenze personali e artistiche, hanno due cose in comune:
- Guadagnano un sacco di soldi con i loro film (magari senza doverci lavorare moltissimo e in alcuni casi facendone uno ogni due/tre anni).
- I soldi non li reinvestono in altri progetti.
Negli Stati Uniti qualsiasi attore - non necessariamente famosissimo - apre una sua casa di produzione e produce altri film. Di sicuro c'è il forte desiderio di fare più soldi possibile (cosa peraltro non negativa, perché magari a beneficiarne sono anche migliaia di persone che lavorano nell'industria), ma comunque questo permette anche di dar vita a progetti personali ed indipendenti, magari con registi e storie che faticherebbero a trovare i finanziamenti necessari senza l'appoggio di un nome importante.
I nostri invece prendono i soldi e scappano. Ora, è sicuramente vero che ci sono modi migliori di investire il proprio denaro che fare film in Italia (magari anche le azioni della Parmalat di cinque anni erano più affidabili...).
Però quando c'è da protestare per i tagli allo spettacolo (come avvenuto lo scorso anno), tutti in prima fila. Quando c’è invece da mettere mano al (loro) portafoglio, sfoderano la pistola…