Anchorman – La leggenda di Ron Burgundy, vent’anni dopo

Anchorman – La leggenda di Ron Burgundy è, effettivamente, ancora una leggenda, anzi per certi versi è migliorato con l’età

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Anchorman – La leggenda di Ron Burgundy uscì nei cinema il 9 luglio 2004

Riguardando oggi, a vent’anni dalla sua uscita, Anchorman – La leggenda di Ron Burgundy, dopo circa una ventina di minuti sorge spontaneo un dubbio: è possibile che un film che ha generato una quantità impressionante di meme sia invecchiato male? Nel corso del primo atto si assiste a una battuta omofoba e si fa la conoscenza del personaggio di Steve Carell, la cui caratteristica principale è di essere (parole sue) “un ritardato”: forse la comicità del film di Adam McKay è passata di moda, schiacciata dalle sensibilità odierne? Davvero bastano vent’anni per trasformare una leggenda in un film di cattivo gusto? Proseguendo nella visione, in realtà, ve lo diciamo subito per placarvi, ci si rende conto che no, anzi: per certi versi, Anchorman – La leggenda di Ron Burgundy è addirittura migliorato con il passare del tempo, e siamo sicuri che ci sia persino qualcuno che lo definirebbe “un po’ troppo woke”.

Anchorman – La leggenda di Ron Burgundy e (pensa un po’) Mad Men

Partiamo proprio dall’ultima, provocatoria considerazione che abbiamo fatto poco sopra. La seconda cosa che viene in mente riguardando Anchorman – La leggenda di Ron Burgundy è che, tra tutte le opere successive uscite al cinema e in TV e che parlano più o meno di argomenti simili, quella che più gli si avvicina per concetto è Mad Men. Davvero! Pensateci un attimo: la serie creata da Matthew Weiner mette in scena, con realismo ma anche con parecchia ironia, un contesto (quello del mondo della pubblicità anni Cinquanta) caratterizzato da tutta una serie di elementi che oggi sono, o dovrebbero essere, superati – sessismo, bullismo sul posto di lavoro, abilismo, omofobia. È un ritratto stiloso e per questo ancora più spietato di un tempo nel quale le cose andavano peggio per una fetta importante della popolazione, e andavano meglio solo per i maschi bianchi eterosessuali.

Anchorman – La leggenda di Ron Burgundy, pur con un approccio più francamente satirico e demenziale, compie la stessa operazione. È il ritratto di un mondo (quello del giornalismo locale anni Settanta) dominato dai maschi, nel quale l’idea che una donna possa lavorare come reporter è talmente inconcepibile che quando viene presentata per la prima volta al cast viene accolta con una bella risata e una serie di battutacce da spogliatoio del calcetto del mercoledì. Ed è un lungo e tortuoso percorso alla fine del quale i protagonisti impareranno ad andare oltre i loro limiti e oltre gli stereotipi, aprendosi a quella che oggi chiameremmo “modernità”. Non arriveremo mai a dire che si tratti di un film femminista, ovviamente, perché non lo è e non vuole neanche esserlo; ma è un film che mette sotto esame una certa categoria di maschi, e usa lo stacco temporale di trenta (oggi cinquanta) anni per prendere le distanze dalle sue scorrettezze, presentandocele come “al tempo si usava così”.

Sono tutti scemi

Ovviamente, quanto detto finora è una serie di considerazioni molto serie sui messaggi che Anchorman – La leggenda di Ron Burgundy vuole passare a chi è abbastanza attento da farci caso. Esiste però uno strato più superficiale (non in senso negativo), che è poi quello che è passato alla storia, o meglio alla leggenda: il fatto che il film di McKay fa molto ridere, e lo fa perché i suoi protagonisti sono tutti, in mancanza di un termine migliore, irrimediabilmente scemi. Non intendiamo “scemi” solo nel senso in cui è caratterizzato il personaggio di Steve Carell. Vogliamo dire che sono tutti talmente sicuri di loro stessi, dei loro privilegi, della loro posizione e posto nel mondo, tutti talmente con la testa infilata nel loro deretano, che non si rendono veramente conto di quello che accade intorno a loro. Ed è questo che sta alla base di gran parte della comicità del film.

Ovviamente Ron Burgundy in persona è l’esempio principe di questo status, ed è anche quello che più di tutti si ritrova a confrontarcisi e ad aprire gli occhi – è il vero protagonista, ed è forse l’unico dei quattro membri del suo team che ha un vero arco narrativo. Ma gli altri tre, nel loro piccolo, non sono da meno: per uscire dal loro piccolo mondo dorato si ritrovano costretti a un certo punto a lavorare (argh!) insieme a una donna, ed è solo questa uscita dalla loro zona di comfort che inizia a trasformarli. In mezzo succede di tutto, cioè tutte le cose che hanno reso famoso il film, una su tutte la rissa con le crew delle televisioni rivali. Se anche uno solo di loro fosse una persona un minimo consapevole, Anchorman – La leggenda di Ron Burgundy non funzionerebbe, forse non esisterebbe neanche.

Anchorman – La leggenda di Ron Burgundy è anche una rom-com

Ed è forse la cosa più curiosa, perché non viene mai trattata abbastanza. Si tende a pensare al film di McKay come a una satira, o a una serie di gag più o meno sceme tenute insieme dal cast. Ma la struttura narrativa, gli eventi decisivi, le svolte di trama, sono tutte prese di peso dalla tradizione della commedia romantica: se non ci fosse di mezzo una donna, e la sua complicata storia d’amore con il protagonista, ancora una volta Anchorman – La leggenda di Ron Burgundy non esisterebbe.

E allora fateci spendere due parole per Christina Applegate, che accetta un ruolo che soprattutto all’inizio è parecchio umiliante con grande sportività, e che interpreta il personaggio di Veronica con tutto il disprezzo e anche la stanchezza esistenziale di chi chiaramente ha conosciuto certe dinamiche sulla propria pelle anche fuori dal set. È perfetta, e non solo in quanto spalla di un animale da set come Will Ferrell: il film è di Veronica tanto quanto di Ron, e la sua interpretazione, in un altro contesto, le avrebbe portato elogi e premi in quantità. Ma in fondo il fatto che non sia successo è perfettamente in linea con il messaggio del film.

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