Anatar è qua-si una buona idea

Anatar prova a resuscitare la parodia italiana ma ci riesce solo a tratti, nonostante l’idea sia talmente assurda che non si può non premiarla

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Anatar è su Amazon Prime Video

Alan Smithee è lo pseudonimo standard utilizzato, nel cinema americano e non solo, da quegli autori (registi, sceneggiatori, entrambe le cose insieme) che vogliono disconoscere un lavoro, che non vogliono vedere il proprio nome associato a un disastro o a un’opera discutibile sotto qualche punto di vista. È un po’ un peccato che Anatar, comparso un po’ a sorpresa su Amazon Prime Video dopo un brevissimo giro in una manciata di cinema, sia diretto da un Alan Smithee, e che il motivo siano litigi in fase di produzione e montaggio che hanno portato Lorenzo Dante Zanoni a staccarsi dal progetto. È un peccato perché potrebbe dare l’idea sbagliata del film: che si tratti cioè di un film brutto e stanco, a basso budget e basse ambizioni, completato un po’ a fatica e del quale il regista ha deciso poi di disinteressarsi. In realtà, Anatar è un oggetto cinematografico curioso e degno di attenzioni, pur essendo tutto tranne che riuscito.

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Viene presentato come un mockbuster, un film “alla Asylum”, una parodia a basso costo di un blockbuster famoso – in questo caso, ovviamente, Avatar. In realtà però Anatar ha radici più antiche e anche più nobili: è un tentativo di resuscitare le parodie all’italiana, Franco e Ciccio, Attila flagello di Dio, e più di recente certe follie tipo Il silenzio dei prosciutti o Chicken Park. Cinema assurdo che nessuno in Italia fa più da tempo perché richiede(va) budget più consistenti di quanto si volesse normalmente concedere a un film comico. E quindi anche cinema senza target o quasi: chi oggi andrebbe in sala a vedere una parodia di Avatar prodotta in Italia e senza neanche un grosso nome coinvolto?

E infatti Anatar è spuntato direttamente su Prime Video, dove fa indiscutibilmente la sua bella figura: è dura non soffermarsi su quel logo così simile a quello del film di Cameron, accompagnato però da gente vestita da anatra blu gigante. È difficile non premere Play almeno per curiosità, ed è impossibile staccarsi una volta che compare il primo crawl text alla Star Wars che viene però declamato da… un’anatra, che dice letteralmente “qua qua qua qua qua”. Tutte le anatre antropomorfe del film parlano così, per un’ora e mezza – non c’è alcuna scorciatoia che porti ad appiattire tutto sul semplice italiano. Le anatre fanno “qua qua” e lo faranno per tutto Anatar, nonostante siano anatre senzienti e tecnologicamente abbastanza avanzate da aver inventato il viaggio interstellare.

È già da questo primo dettaglio che si capisce che Anatar è un film d’altri tempi, che guarda a modelli di venti, trenta, quarant’anni fa e prova a replicarli nella maniera più fedele possibile. Le uniche concessioni alla modernità sono nella recitazione di un paio dei protagonisti, figli più di Boris che di Abatantuono, ma per il resto Anatar non sembra un prodotto del 2023 (al netto del franchise di riferimento, ovviamente). Anche perché è un film comico, una parodia, ma non ha nulla di postmoderno, meta-cinematografico o autoconsapevole; è un’assurdità, che però si prende molto sul serio nel suo essere assurda.

La storia è prevedibile e bellissima insieme. Gli Anatar sono un popolo di anatre antropomorfe turbocapitaliste che hanno distrutto il loro pianeta Anat con l’inquinamento. Gli Anatar si sono quindi messi in viaggio in cerca di un nuovo pianeta da colonizzare, e hanno trovato Pandoro, un luogo ricco di mele, che si possono vendere al mercato nero spaziale per finanziare una nuova colonia. Su Pandoro vivono però degli umani un po’ primitivi (che in questo caso sono degli italiani un po’ medievali): come fare a impadronirsi del pianeta senza sterminarli? Per trovare un accordo, gli Anatar spediscono la principessa Avia sulla superficie di Pandoro, e grazie al potere della scienza le donano un corpo umano, con il quale l’ex anatra dovrà imparare a convivere. Riuscirà a convincere il padre, e il cattivissimo ammiraglio Dark Feather, a non sterminare la popolazione di Pandoro?

È una parodia, fatta e finita, senza inserti da altri franchise o troppi riferimenti extra-Avatar. Anatar prende molto sul serio il genere di riferimento, e non cede mai alla tentazione di prendere scorciatoie moderne per strappare un sorriso. Ha purtroppo il problema che proprio quest’ultima impresa non gli riesce sempre – e forse non gli riesce abbastanza spesso. Un film del genere si regge a fatica sulla sua trama ma nasce e muore sulle singole gag: la battuta fulminante, il momento slapstick, il tormentone ricorrente. Alcune di queste cose in Anatar funzionano alla grande (sempre ricordando che la risata è soggettiva): ne abbiamo già parlato, ma la totale serietà con la quale questa gente vestita da anatra gigante passa tutto il film a dire “qua qua qua” modulando come in un vero dialogo è degna di rispetto e ammirazione.

Anche alcuni dei momenti slapstick basati sul fatto che la principessa Avia è un’anatra che deve imparare a essere umana strappano un sorriso, principalmente perché le anatre fanno spesso cose buffe che diventano ancora più buffe se a farle è un essere umano. Ci sono persino un po’ di Monty Python in un paio di figure di contorno (una su tutte il sindaco Crap), e soprattutto il primo atto è a tratti esilarante. Poi però Anatar si perde con il tempo, si incarta concentrandosi troppo sulla relazione tra Avia e Germano, il genio locale convinto che Pandoro non sia piatto ma semisferico, e si dimentica per strada un po’ troppe battute. Per cui si arriva alla fine con un po’ di stanchezza addosso, e la sensazione che si potesse fare di più con un po’ di brillantezza extra in fase di scrittura.

Resta però il fatto che Anatar è un progetto che non ha senso di esistere nel 2023, e questo gli fa automaticamente guadagnare parecchi punti: c’è stato un periodo nel quale eravamo bravissimi a far ridere prendendo in giro le opere altrui, e sarebbe bello tornare a provarci oggi che il cinema italiano sembra avere più idee e più soldi che mai. Anatar ci prova – con tutti i suoi limiti di budget e creativi, ma ci prova, e chissà che al prossimo giro non ci riesca pure.

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