Amici Miei di Mario Monicelli compie 40 anni

Sono passati 40 anni dall'uscita in sala di Amici Miei di Monicelli. Un capolavoro ancora oggi dal grande cast: Tognazzi, Moschin, Celi, Noiret e Del Prete

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Arte vs industria?

Il 15 agosto 1975 esce nelle sale italiane Amici Miei.

Sono passati 40 anni da uno dei film italiani più belli, commerciali e fieramente industriale della Storia del nostro cinema

Nel 1977 Mario Monicelli polemizza amabilmente con Nanni Moretti nella trasmissione RAI Match condotta dallo scrittore Alberto Arbasino assumendo il ruolo del vecchio cineasta commerciale ormai compromesso dal successo di botteghino laddove il giovane Moretti veste i panni del regista indipendente autarchico, fuori dal sistema e rivoluzionario nella sua proposta di cinema senza grandi nomi nel cast e quindi fieramente di nicchia. In uno dei passaggi più interessanti della finta litigata (il clima da rissa tv era totalmente artefatto), Monicelli profetizza la fine di Hollywood come industria dell'intrattenimento mentre Moretti, più che leggermente sbigottito dall'affermazione forte dell'esperto collega, decide in quel passaggio del dibattito di fare il fan del nuovo cinema mainstream nordamericano dei nuovi talenti della New Hollywood e soprattutto non pare affatto convinto che l'industria hollywoodiana sia prossima alla bancarotta. Oggi sappiamo, ovviamente, che Hollywood non ha fallito come immaginava Monicelli nel 1977 ed è lungi dal farlo.

Ma oggi sappiamo un'altra cosa: sono passati 40 anni da uno dei film italiani più belli, commerciali e fieramente industriale della Storia del nostro cinema. Chi lo diresse? Mario Monicelli.

Amici industriali

Doveva essere una pellicola del maestro ligure Pietro Germi, il quale morì alla fine 1974. Come in ogni processo industriale che si rispetti, il prodotto deve raggiungere lo stesso il consumatore a prescindere da paternità o tragedie individuali. Quando noi italiani eravamo re della celluloide, e nel 1975 lo eravamo ancora, il nostro cinema aveva una fortissima impronta industriale di cui non si vergognava affatto e che non rinnegava (tranne, forse, che nei dibattiti televisivi). Monicelli, così affettuoso e signore da lasciare "un film di Pietro Germi" nei titoli di testa, sostituì al volo il genio di Divorzio all'italiana (1961) mettendo in piedi con il produttore Carlo Nebiolo una macchina da guerra infallibile proprio perché efficiente e figlia di convincimenti frutto di una catena di montaggio oliata e quantitativamente di qualità.

Il gruppo

Il gruppo, il collettivo, era stato al centro di tanti capolavori di Monicelli, dal film considerato da molti storici come l'apripista della commedia all'italiana I Soliti Ignoti (1958) fino a una delle deviazioni più originali e felici di quel filone come L'Armata Brancaleone (1966). La commedia all'italiana era al crepuscolo. Le anime più sensibili lo sentivano e giovani capelloni contestatari come Nanni Moretti non erano che la prova concreta di come quella generazione di eroici cineasti nati nei primi vent'anni del '900 (da Vittorio De Sica a Federico Fellini), che tanto avevano aiutato l'Italia del dopoguerra a farsi un nome a livello internazionale dopo la figuraccia politica della Seconda Mondiale, stesse cominciando a riflettere sulla Morte. Ecco quindi un nuovo gruppo, un nuovo rito conclusivo (il funerale, appunto), un nuovo ensemble di individui come era sempre piaciuto a Monicelli ma questa volta più simili a quelli de La Grande Abbuffata (1973) di Marco Ferreri che non ai ladri simpatici de I Soliti Ignoti. La fame lascia il posto alla bulimia. La Vita è assediata dalla Morte.

Amici Miei

Il film fu immediatamente un successone di pubblico per via del suo humour nero e perfetta costruzione cinematografica

Quattro amici toscani composti dal nobile decaduto Raffaello "Nello" Mascetti (Ugo Tognazzi), l'architetto romantico Rambaldo Melandri (Gastone Moschin), il giornalista cinico Giorgio Perozzi (Philippe Noiret, doppiato da Renzo Montagnani), il commerciante di poche parole Guido Necchi (Duilio Del Prete) cui si unirà anche il primario ospedaliero Alfeo Sassaroli (Adolfo Celi) passano 140 minuti di piccola avventura in piccola avventura a base di scherzi, amorazzi e prese in giro del prossimo raccontati dal punto di vista, e voce narrante, di Giorgio Perozzi. Sappiamo come è andata a finire. Il film fu immediatamente un successone di pubblico per via del suo humour nero e perfetta costruzione cinematografica. Ci verrebbe da usare ancora una volta l'aggettivo... industriale. Tognazzi era una grandissima star (aveva già vinto due David di Donatello, due Nastri d'Argento per non parlare della candidatura al Golden Globe già nel 1968), Adolfo Celi pure (e anche più internazionale di Tognazzi visto che aveva lavorato con Carol Reed, Peter Sellers, Buñuel, Frankenheimer, Glauber Rocha e Rod Steiger), Noiret ricopriva il ruolo dello straniero francese da inserire senza problemi grazie al potere dell'anello del nostro meraviglioso doppiaggio dell'epoca (non è sapienza industriale, questa?) mentre Del Prete era "l'attor giovine" della compagnia proveniente dal mondo della musica leggera e anagraficamente più fresco dei cinque.

Franchise

Così devastante fu il successo della pellicola con l'ingresso nel linguaggio comune degli italiani dell'epoca di termini come supercazzola (è lo scherzo di Mascetti in cui si diverte a scaraventare addosso all'interlocutore una serie di parole senza senso senza perdere mai compostezza e serietà) e zingarata (è la gita fuori città degli amiconi) che immediatamente Amici Miei si presentò (altra caratteristica pienamente industriale) come un perfetto franchise serializzabile nel tempo. La commedia, potentissima soprattutto verso un pubblico maschile socialmente e anagraficamente trasversale, non era poi tanto lontana, se ci pensiamo, a un successone americano di tre anni successivo come Animal House (1978). Nel caso di Animal House ci si era accorti che si poteva pescare nei ricordi di deliranti episodi universitari dei tempi del college per costruire una commedia per maschi di immediato impatto ormonale. Amici miei è la stessa identica cosa: nella memoria collettiva del maschio italiano potevano esserci mille episodi di cameratismo amicale da sfruttare a livello cinematografico. Mille storie, aneddoti, esperienze realmente vissute, come sapeva bene il padre dell'operazione Pietro Germi quando per primo capì il potenziale devastante che aveva per le mani. L'effetto goliardia produsse i sequel Amici miei - Atto II° (1982), Amici miei - Atto III° (1985) ed il prequel in costume Amici Miei - Come tutto ebbe inizio (2011). Poca roba, se ci pensiamo bene. Quanti film sono stati prodotti negli Stati Uniti d'America a tema goliardico dopo che Animal House scoprì quella miniera d'oro di possibili incassi? Forse cento. Forse anche di più visto che nacque il sottogenere college movie. Da noi in Italia, un paese purtroppo ideologicamente sempre assai confuso riguardo quell'industria cinematografica che sapeva fare un tempo anche benissimo (la posizione schizofrenica di Monicelli sull'argomento la dice lunga, vedi inizio articolo), abbiamo la sensazione di non aver sfruttato fino in fondo lo schema perfetto di Amici miei. Certo, da Ecce Bombo (1978) di Moretti a I Laureati (1995) di Pieraccioni abbiamo visto e continuiamo a vedere gruppi di amici che vivono, soffrono e prendono in giro il prossimo (in Ecce Bombo facevano pure gli scherzi telefonici). Ma si poteva e doveva fare di più a partire da una saga originale striminzita con tre film, un prequel in costume e zero spin-off.
Che peccato.

Così non ci resta che ricordare l'anniversario di uno splendido film industriale su cinque amici che camminando verso la Morte commisero l'atto di sfida più coraggioso nei confronti dell'Oscura Signora.

Le risero in faccia.

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