American Animals è una riflessione sul significato di “tratto da una storia vera”

American Animals di Bart Layton è il perfetto incontro tra documentario e film di finzione, che racconta una storia vera e intanto riflette su cosa significhi quest’espressione

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American Animals va in onda su Rai 4 e Rai 4 HD questa sera alle 21.22 e in replica sabato sera alle 23:13

Quando presentò American Animals al Festival di Roma nel 2018, il regista e sceneggiatore Bart Layton pose l’accento su un dettaglio che diamo abitualmente per scontato ma che in realtà può determinare o meno il successo di un film: la classica scritta “Tratto da una storia vera”. Che viene presentata con un twist: American Animals si apre in realtà con due frasi, che recitano “This is not based on a true story. This is a true story” – “Questo [film] non è tratto da una storia vera, è una storia vera”. Può sembrare una distinzione sottile e oziosa, ma è il motivo – o quantomeno uno dei motivi – per cui American Animals è uno dei film più interessanti degli ultimi anni in barba al suo insuccesso al botteghino, oltre che essere uno dei più divertenti.

American Animals e la rapina del secolo (?)

Sempre Layton raccontava un aneddoto ben noto nei circoli produttivi di Hollywood, che il documentarista inglese ha cominciato a frequentare proprio per girare il suo secondo film dopo The Imposter (del 2012, a Layton piace lavorare con calma). Secondo Layton, quando un film che non è un blockbuster supereroistico viene testato di fronte a un pubblico di prova ha maggiori probabilità di colpire se viene presentato come “Tratto da una storia vera”; ed è per questo che con gli anni le produzioni di questo genere si sono moltiplicate, ed è sempre più difficile trovare, soprattutto in alcuni generi (dramma, film storico, film bellico...), un prodotto che sia interamente frutto dell’immaginazione. È come se, messo di fronte a film che raffigurano la realtà di tutti i giorni, il pubblico avesse bisogno di essere rassicurato: quello che state vedendo, dice quella scritta, è successo davvero, e quindi vi insegna una lezione altrettanto vera.

American Animals è una sorta di ribellione alla dittatura del “Tratto da una storia vera”, che sempre più spesso è una scusa per distorcere la realtà e appiccicare nomi famosi a figure di finzione che li ricordano solo alla lontana – è il trucchetto di usare “tratto da”, una formula abbastanza vaga da lasciare spazio a interpretazioni e abbellimenti di ogni genere. La vicenda raccontata è, di fatto, tratta da una storia vera: una rapina finita male avvenuta nel 2004 alla Translyvania University di Lexington, Kentucky, circa 300.000 abitanti e una delle città con il più alto tasso d’istruzione d’America, paragonabile solo al tedio che sembra regnare sovrano in città. O almeno così è come ce la raccontano i quattro protagonisti Warren, Spencer, Chas ed Eric (interpretati rispettivamente da Evan Peters, Barry Keoghan, Blake Jenner e Jared Abrahamson), cioè gli studenti universitari che hanno organizzato il colpo: una rapina alla biblioteca dell’università, per sottrare una serie di libri d’epoca (tra cui una prima edizione di Uccelli d’America di John James Audubon, uno dei più importanti illustratori di natura degli ultimi tre secoli) da rivendere a non meglio specificati ricettatori europei che trafficano in arte rubata.

American Animals Evan

American Animals: cosa significa che è una storia vera?

Leyton non si limita a raccontare a modo suo la storia dei quattro, e di come la loro rapina sia prevedibilmente andata in malora, ma decide di fondere le sue due sensibilità (quella di filmmaker con una gran voglia di fare uno heist movie, e quella di documentarista) per creare uno strano ibrido che alterna sequenze in cui i quattro attori inscenano alcuni dei momenti più importanti della preparazione, esecuzione e postumi della rapina, e altre in cui intervista i quattro veri ladri e una serie di altre figure che ruotavano loro attorno, dalla bibliotecaria dell’università ai genitori di Spencer. Il fatto che siano passati più di dieci anni dalla tentata rapina al momento della lavorazione del film crea così una situazione bizzarra, e sicuramente stimolante per uno che ha cominciato la sua carriera documentando la realtà: i ricordi dei quattro sono confusi, inaffidabili, anche perché, per loro stessa ammissione, mentre elaboravano il loro piano si sentivano già distaccati dalla realtà e immersi nella finzione, come protagonisti di un film che stanno mettendo in scena un copione.

La “storia vera” raccontata da American Animals, quindi, non è la cronaca dei fatti, ma un confuso pastone di ricordi distorti dal passare del tempo, e con ogni probabilità le cose nella realtà non sono andate né come le racconta Layton, né come le raccontano i quattro protagonisti a distanza di 14 anni; quello che racconta Layton è piuttosto una versione iper-stilizzata dell’accaduto, ritoccata per adeguarsi alle regole del cinema, quelle stesse regole che la realtà raramente rispetta. È paradossalmente il motivo per cui Layton dice che il suo film non è tratto da, ma è una storia vera: l’enfasi è sulla parola “storia”, una narrazione, una rielaborazione, che non spiega come siano andate le cose ma ne racconta la versione che con gli anni si è cristallizzata nella testa dei protagonisti – gli stessi che non hanno problemi ad ammettere che 14 anni dopo si sentono degli idioti quando ripensano alla rapina, ma che evidentemente la ricordano ancora, almeno in un angolo del loro cervello, come un’impresa da ricordare per tutta la vita.

Evan

La tragica storia di quattro idioti annoiati

Guardando American Animals si capisce anche perché: i quattro, in particolare Warren che funge da leader non ufficiale della banda, non hanno problemi apparenti, conducono un’esistenza normale, tranquilla e accettabilmente agiata, ed è proprio per questo che vivono torturati dall’ennui e animati dalla voglia di bruciare tutto quanto giusto per far succedere qualcosa. È chiaro, sia dalle parole dei veri protagonisti sia da quelle che Layton mette in bocca ai suoi attori, che il punto della rapina non fosse tanto quello di riuscire a fare un sacco di soldi smerciando libri rari, ma di fare qualcosa – il solito discorso sulla meta e il percorso, unito a un senso di vuoto esistenziale che solo la vita in una città pacifica e innocua come Lexington, Kentucky può generare (ancora una volta, lo dicono i protagonisti).

Il risultato di questa inadeguatezza è che tutta la rapina, fin dal momento del suo concepimento, ha un’irresistibile fondo di comicità che Layton cavalca dando sfogo ai suoi istinti più beceri (in senso buono), e finendo così per raccontare la storia di un complicatissimo colpo milionario, certo, ma soprattutto di quattro idioti che non ne azzeccano una e che si comportano come fossero personaggi di un film (... avete capito). Quando non fa il documentario, American Animals è un film che sprizza energia, entusiasmo e voglia di divertirsi, girato e montato con una frenesia alla Guy Ritchie prima maniera e con almeno un paio di sequenze che si potrebbero usare come test di Turing: se chi le guarda non ride, è sicuramente una macchina. E che forse, guarda un po’, non farebbero lo stesso effetto se non sapessimo che quelle cose sono successe davvero: è la dimostrazione che Layton ha ragione su tutta la linea, e che American Animals avrebbe meritato molta più attenzione di quella che ha ottenuto.

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