... altrimenti ci arrabbiamo! e l’arte di esprimersi a cazzotti
... altrimenti ci arrabbiamo! è il film di maggior successo della coppia Spencer-Hill, e forse è anche il più bello
La prima volta che qualcuno apre bocca in ... altrimenti ci arrabbiamo! succede dopo nove minuti di film: Terence Hill sta dormendo nel suo camion e viene svegliato suo malgrado da Bud Spencer, e nella confusione del risveglio crede che abbiano bussato alla porta ed esclama: «Avanti!». Fino a quel momento, nel film si erano sentite sostanzialmente tre cose: il rombo dei motori, la folla che urla, e una canzone degli Oliver Onions che vi mettiamo qui avvertendovi che se ci cliccate sopra passerete la prossima settimana a canticchiarla (abbiamo una soluzione anche per questo, abbiate pazienza). È una sequenza che riassume alla perfezione sia il film che seguirà, sia l’intera carriera di Bud Spencer e Terence Hill – intesi non come attori separati ma come entità unica, una delle coppie migliori della storia del cinema –, e quello che impressiona di più è che è seguita da altri novanta minuti allo stesso livello.
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... altrimenti ci arrabbiamo! e la settima meraviglia
Volendo a tutti i costi dividere la carriera del duo Spencer-Hill in fasi, manco fosse il Marvel Cinematic Universe (... e se lo fosse davvero?), ... altrimenti ci arrabbiamo! andrebbe collocato in un’ipotetica terza. La prima è quella che li ha fatti incontrare e poi conoscere al mondo del cinema come “strana coppia che funziona”: è la trilogia western di Colizzi, composta da Dio perdona... io no!, I quattro dell’Ave Maria e La collina degli stivali, non ancora costruiti completamente intorno ai due ma utili a gettare le basi di una partnership che proseguirà per sedici (più due) film. La seconda fase, invece, è quella che automaticamente si associa a Bud Spencer e Terence Hill: parliamo ovviamente dei due film con “Trinità” nel titolo firmati da Enzo Barboni.
... altrimenti ci arrabbiamo! e la dune buggy
Non abbiamo citato a caso una serie di franchise recenti; non stiamo seriamente sostenendo che Fast&Furious e John Wick non esisterebbero senza ... altrimenti ci arrabbiamo! (forse però il discorso è valido per i film di Tarantino), ma che il film di Marcello Fondato è estremamente moderno per concezione e anche realizzazione, e più ambizioso persino degli spaghetti western che avevano lanciato la carriera di Bud Spencer e Terence Hill. È quello che volgarmente si potrebbe definire “un film di macchine”, sia perché gira intorno a quel mondo (pur limitandosi a sfiorarlo) sia perché il MacGuffin che scatena tutte le risse è per l’appunto una macchina, ma sarebbe limitante: Fondato ripropone lo schema-base dei film della coppia ma lo cala in un contesto contemporaneo di criminalità organizzata e speculazione edilizia, dimostrando da un lato che i film di mafia non sono altro che film western senza il deserto, e dall’altro che non solo la fisicità estrema (non solo nel senso di “tante botte”, ma ci torneremo) dei due funziona bene anche al di fuori del recinto nella quale è cresciuta, ma può addirittura migliorare quando al posto dei cavalli ci sono le automobili.
Automobili sono quelle che guidano Spencer e Hill all’inizio del film, in una gara di rallycross durante le quale si piegano più lamiere che in un venerdì pomeriggio trafficato sulla tangenziale di Milano; e un’automobile è l’ambito premio per chi vince la gara: una dune buggy rossa con la cappottina gialla, che i due si dovranno dividere essendo arrivati al traguardo primi a pari merito. Kid e Ben (questi i loro nomi nel film, e se conoscete i due non c’è bisogno di dirvi chi è chi) si trovano quindi costretti a convivere a causa di una macchinina, che peraltro viene immediatamente distrutta dagli scagnozzi del cattivo di turno, che ha mire espansionistiche sul luna park che sorge vicino all’officina di Ben. Le parole “dune” e “buggy” sono quelle pronunciate più di frequente nel corso del film, e diventano presto un pretesto per ristabilire la pace e la giustizia nell’unico modo possibile: a botte.
L’importanza di tacere
Ciò che distingue ... altrimenti ci arrabbiamo! dai precedenti film del duo è che (valeva anche per ... più forte ragazzi!) manca un substrato, un vissuto, una mitologia creata nel corso di un racconto lungo più film. Kid e Ben non sono nessuno, né nel film viene mai spiegato come mai siano i migliori lottatori della città, capaci di sgominare a cazzotti un’intera banda criminale; accettiamo che lo sappiano fare non perché sono Kid e Ben, ma perché nel 1974 erano già “Bud Spencer e Terence Hill”, e quando “Bud Spencer e Terence Hill” sono insieme su uno schermo è lecito aspettarsi cazzotti in testa dall’alto verso il basso, gente che vola per la stanza e buffi effetti sonori. Ed è altrettanto prevedibile che i due usciranno intatti e imperturbabili da ogni rissa: sono le regole del (loro) gioco, che in ... altrimenti ci arrabbiamo! vengono ribadite in continuazione.
Si parla pochissimo in ... altrimenti ci arrabbiamo!, forse anche meno che negli spaghetti western. I più ciarlieri sono Donald Pleasence e John Sharp, non a caso i due villain del film; a margine: quanto è geniale e postmoderna l’intuizione di avere un cattivo che è cattivo non per interesse o profitto o vendetta ma perché gli piace l’idea di essere cattivo, e del suo vice che gli spiega (con la scienza psicologica!) che la cattiveria gratuita non porta a nulla mentre quella con uno scopo è bellissima? Kid e Ben, invece, si esprimono a sguardi, ammiccamenti e silenzi, come da tradizione della coppia: ... altrimenti ci arrabbiamo! è anche il racconto di come, a partire da un obiettivo comune e da un certo fastidio reciproco, possa nascere un’amicizia che è solida anche senza bisogno di verbalizzarla.
E dunque, ... altrimenti ci arrabbiamo! è un film nel quale le parole scarseggiano e il racconto va portato avanti tramite immagini – si chiama “fare cinema”, ed è il motivo per cui, quando Bud Spencer e Terence Hill entrano in una palestra di bodybuilding per prendere a schiaffi chiunque, la faccenda non viene risolta in trenta secondi alla fine dei quali i due interrogano uno degli scagnozzi del cattivo per ottenere informazioni, ma si protrae per cinque gloriosi minuti girati e coreografati con mano ferma e soprattutto creatività, e un’incredibile capacità di combinare stunt di ogni tipo ripresi con la serietà di un film arti marziali con one-liner e quei momenti slapstick talmente perfetti che ti fanno pensare che il termine sia stato inventato apposta per loro due. Non c’è un singolo momento morto in ... altrimenti ci arrabbiamo!: ogni nuova scena è una scusa per inventarsi qualcosa, un inseguimento in moto, una rissa tra i palloncini, persino una sequenza hitchcockiana ambientata in un teatro (esatto, parliamo di questa, e così vi abbiamo anche risolto il problema dell’ohrwurm di poco fa regalandovene un altro). Non è un caso che uno dei luoghi centrali del film sia un luna park: l’impressione è che lo sia anche il film stesso, solo che al posto della ruota panoramica e del tunnel degli orrori ci sono solo calcinculo, birra e salsicce.