Allen v Farrow, episodio 3: Il complotto

Nel terzo episodio, arrivato al racconto della battaglia legale, Allen v Farrow costruisce il complotto

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
Allen v Farrow, episodio 3: Il complotto

Gli articoli con cui raccontiamo uno per uno gli episodi del documentario Allen v Farrow non sono né vogliono essere una ricostruzione dei fatti, cioè di cosa sia accaduto realmente, né vogliono avere la pretesa di perorare una delle due cause, anzi vogliono essere l’esatto opposto. Sono il resoconto delle tecniche attraverso le quali il documentario utilizza la lingua e gli espedienti del cinema per propugnare una tesi.
Alla storia legale della causa tra Woody Allen e Mia Farrow abbiamo dedicato un articolo separato.

Dopo aver spettacolarizzato il confronto tra Woody Allen e Mia Farrow nel primo episodio, estremizzando le parti in causa e creando la contrapposizione tipica dei racconti di finzione in cui Mia Farrow interpreta la madre schiacciata da un sistema e Woody Allen ha il ruolo del molestatore insospettabile, l’uomo ordinario che nasconde una mostruosità, e dopo aver creato per bene il suo antagonista nella seconda puntata, facendo uno spaccato psicologico di Woody Allen a partire dai suoi film (e dalle sceneggiature dei film non realizzati), nel terzo episodio della docuserie Allen v Farrow, è il momento della creazione del complotto.

Nella storia siamo arrivati al momento in cui Allen è stato accusato di molestie e il caso ha raggiunto immense proporzioni mediatiche. Tv e giornali si interessano del divorzio e della causa e nel resoconto della serie è Woody Allen a controllare la narrativa. La ragione per la quale la controlla non viene mai detta chiaramente ma viene suggerita in modi chiari, è il complotto. Cioè esiste un sistema di interessi e convenienze ad alto livello che ha interesse a proteggere Woody Allen, perché è un pezzo grosso di Hollywood e principalmente perché fa film a New York e New York ne guadagna.

allen v farrow bambini

Al documentario ovviamente interessa poco il fatto che condannare quella che descrive come un’immensa macchina di pubbliche relazioni a favore di Woody Allen per il fatto di essere un coro di voci a senso unico, dovrebbe portare a condannare in egual maniera il coro di voci a senso unico che negli ultimi anni ha condannato Allen (a fronte delle medesime informazioni e di verdetti giuridici a suo favore).
La maniera in cui il linguaggio della serie prende la forma del cinema di complotti è principalmente attraverso l’uso delle telefonate.

Già nella puntata precedente era stato mostrato l’uso delle telefonate registrate da Mia Farrow (“Le avevo registrate perché sapevo che anche lui le registrava”), e se già il racconto selettivo solo di certe informazioni a discapito di altre è una costante della serie, nelle telefonate raggiunge il massimo. Sentiamo le telefonate registrate da Mia (ovviamente) in cui Woody Allen risponde come se fosse in tribunale, usando i giri di parole che si usano per non dire nulla e non compromettendosi mai. Come se sapesse che le telefonate sono registrate, cosa facile da immaginare. E invece quel che ci viene fatto ascoltare di ciò che dice Mia Farrow sono accorati appelli di una madre sofferente.
È un montaggio implacabile in cui lei si strazia di richieste e lui risponde: “Di questo poi ce ne occuperemo” o “Ti farò avere una risposta su questo”. In certi casi non viene nemmeno mostrata la risposta alle domande accorate di Mia Farrow.

La creazione di un’atmosfera di complotto è la tecnica con la quale la serie prepara il terreno alle sentenze favorevoli ad Allen. Significa screditare il report dell’ospedale di Yale, secondo il quale non ci sarebbero state molestie su Dylan, per eccesso di domande e frustrazione della vittima (la bambina). Diversi esperti intervistati oggi ne affermano l’inconsistenza e invece è messo su un piedistallo un altro report a favore della tesi delle molestie. Anche Dylan stessa, oggi, da adulta, ritratta molto di quello che disse e delle affermazioni inconsistenti, che è un dettaglio importante e legittimo (era comunque una bambina e oggi invece ha un’altra consapevolezza). Allen v Farrow però invece di trattarlo come un elemento di dubbio, presenta le affermazioni di oggi come verità e quelle di ieri come ingenuità.

Mia farrow dylan farrow

La tecnica attraverso la quale la presentazione delle prove e delle testimonianze è orientata verso una tesi è come sempre in Allen v Farrow sottile e molto capace. Ad esempio quando si parla della possibilità che Dylan sia stata manipolata da Mia Farrow per dire quel che la madre voleva (tesi sostiene Woody Allen e con la quale furono screditate alcune accuse) l’accusa è presentata tramite interviste di repertorio mentre la difesa di Dylan tramite un’intervista fatta oggi. È un metodo infallibile, perché non solo le immagini vecchie suonano peggiori di quelle moderne, antiquate e fuori dal tempo, ma soprattutto quelle moderne rispondono a quelle d’epoca e non può avvenire il contrario. In buona sostanza il documentario ha sempre l’ultima parola e può screditare senza essere screditato.

La creazione del grande complotto è fomentata da testimonianze sul licenziamento delle persone che all’epoca sostenevano la colpevolezza di Allen come Paul Williams. Anche qui è un’informazione importante e interessante che andrebbe approfondita, e invece è presentata e raccontata come uno scandalo dall’avvocato di Paul Williams stesso come parte del suddetto complotto.
Sarà solo alla fine, dopo la puntata ha caricato l’idea che un gruppo di persone coordinato si sia battuto contro Mia Farrow per silenziare le accuse a favore di Woody Allen, che a questa tesi viene data una cornice storica. Viene cioè fornito un quadro logico in cui inserirla: l’isteria.

Il documentario fa raccontare a degli esperti come per secoli l’isteria sia stata la maniera in cui venivano silenziate le donne. Era considerata una patologia da curare e quando queste si dimostravano poco mansuete, inclini a voler combattere e non farsi schiacciare, un medico gli diagnosticava l’isteria. Nessuno può affermare davvero che Mia Farrow fu trattata come una donna isterica, però il documentario passa diversi minuti a spiegare cosa sia stata nei secoli l’isteria, proprio quando sta raccontando di come una parte della giurisprudenza si pronunciò a favore della difesa di Allen, cioè del fatto che fosse stata Mia Farrow ad imboccare Dylan.
Allen v Farrow affianca le due cose e lascia che gli spettatori facciano da sé la facile connessione.

Continua a leggere su BadTaste