#Alive: lo zombie movie coreano che è più 2020 del 2020 stesso

#Alive, l'opera prima del sudcoreano Il Cho arriva su Netflix, ed è uno dei migliori film di zombie visti negli ultimi anni

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Se fosse uscito quando sarebbe dovuto uscire se non fosse scoppiata la più grande pandemia da un secolo a questa parte, #Alive sarebbe risultato profetico.

Se fosse uscito in pieno lockdown sarebbe stato con ogni probabilità un altro caso-Il buco.

Invece il film del debuttante Il Cho (pseudonimo di Cho Il-hyung) è uscito in concomitanza con la riapertura delle sale in Corea del Sud, e arriva ora in streaming su Netflix quando sembra che ci siamo dimenticati in massa di quanto accaduto a marzo e ci avviamo a testa bassa verso un autunno, diciamo così, interessante: se volete, potete vedere #Alive come un monito sui prossimi mesi, o se preferite un trailer.

Distanziamento sociale e mascherina

I riferimenti alla pandemia, al distanziamento sociale e al virus letale e altamente contagioso che circola sul nostro pianeta finiscono qui, è una promessa: #Alive è prima di tutto un film di zombie che vuole intrattenere, spaventare e disgustare, e appiccicargli improbabili riferimenti alla situazione mondiale funziona fino a un certo punto prima di stancare. Non che manchino, a volerli cercare, ulteriori livelli di lettura nella storia di Joon-woo, gamer un po’ imbranato che rimane intrappolato a casa da solo mentre fuori dalla finestra esplode l’apocalisse zombie; ma sono appunto da andare a cercare, non il cuore del film, che è invece un gigantesco omaggio a Romero e uno dei film di zombie più genuinamente divertenti e ben girati degli ultimi anni.

Succede tutto molto in fretta: non facciamo in tempo a conoscere Joon-woo e a scoprire che passa le giornate a giocare con il suo party a un MMORPG non meglio specificato che la gente per strada comincia a impazzire, a diventare violenta e a mordere gli altri, trasmettendo così il virus che, come spiegano una serie di telegiornali condotti da gente che si sta facendo prendere dal panico, è altamente contagioso e la cui origine è sconosciuta (e così rimarrà fino alla fine). #Alive diventa così il più classico dei survival movie: un protagonista assediato, i mostri fuori dalla porta (e dalla finestra), le comunicazioni con l’esterno sempre più difficile.

A me mi piace la Nutella

È un primo atto cupo e opprimente, anche visivamente claustrofobico, ambientato com’è tra le quattro mura dell’appartamento di Joon, uno dei tantissimi che compongono l’alveare che è il condominio di otto piani dentro e intorno al quale si svolge la vicenda. Gli zombie sono ancora una minaccia astratta, urla nei corridoi, scene di cannibalismo per le strade, e l’attenzione è tutta sugli sforzi di un tizio di farsi bastare qualche barretta energetica e un barattolo di Nutella per intere settimane nella speranza che prima o poi arrivino i soccorsi.

Le cose cambiano con l’ingresso in scena di Yoo-bin, una tizia con evidenti nozioni da survivalist che vive nel palazzo di fronte. Con la fine della solitudine di Joon, Il Cho comincia a spingere sul pedale dell’acceleratore, e a demolire pezzo dopo pezzo le fragili certezze dei due prigionieri, costringendoli ad agire e a confrontarsi direttamente con gli zombie. È qui che il regista dimostra non solo tutto il suo amore per Romero, ma anche il suo talento nel dirigere e coreografare l’azione: era da un po’ che non si vedevano scene di inseguimento e lotta contro gli zombie così soddisfacenti (per quanto i morti viventi siano, ahinoi, corridori, e dunque in contrasto con il canone romeriano), costruite con il giusto mix di tensione, splatter e umorismo nerissimo.

Il vero segreto di #Alive però sta nel tono e nell’atmosfera: la situazione sarà pure tragica e pericolosa, ma Il Cho non smarrisce mai la leggerezza e la voglia di divertirsi, e non si piega mai alla dittatura della seriosità a tutti i costi, consapevole che comunque sta girando un’assurdità il cui primo e principale scopo è divertire; ed è un sollievo per chiunque ami il genere scoprire che ogni tanto c’è ancora chi ha voglia di concentrarsi sull’esecuzione e di non perdersi dietro al messaggio. A quattro anni da Train to Busan, un’altra conferma del fatto che la Corea del Sud è la nuova terra promessa per gli zombie.

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