Alien vs Predator sbaglia quasi tutto

Alien vs. Predator era un film facilissimo da sbagliare per un milione di motivi, e Paul WS Anderson li becca quasi tutti

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Alien vs Predator è su Star di Disney+

Sulla carta sembra il sogno bagnato di chiunque ami l’horror e la fantascienza: ti danno in mano due dei mostri più amati della storia del cinema (lo Xenomorfo di Alien e lo Yautja di Predator), qualche decina di milioni di dollari e ti dicono “ora falli menare per due ore”. E se chiedi “OK, ma con quale motivazione li facciamo menare” ti rispondono “tu non preoccuparti, ti mandiamo Dan O’Bannon che ti dà una mano con la sceneggiatura”. “QUEL Dan O’Bannon, l’inventore di Alien?” chiedi, e loro replicano “certamente, e crepi l’avarizia, ci buttiamo dentro anche Ronald Shusett, l’altra metà del duo creativo dietro al film di Ridley Scott”. E poi: “Ma me lo fate prendere Lance Henriksen, così il fandom nostalgico è contento?”, al che se vi chiamate Paul W.S. Anderson vi sentite rispondere “ovvio, Alien vs Predator è tuo, fanne quello che vuoi. L’importante è che non lo sbagli”.

Paul W.S. Anderson ha sbagliato praticamente tutto in Alien vs. Predator.

Non è del tutto colpa sua. Su carta l’idea di un film dove uno Xenomorfo e uno Yautja si scontrano per [inserire motivo] potrebbe essere vincente: entrambi sono feroci cacciatori, maestri di mimetismo, silenziosi spietati letali, cruenti quando serve, figli delle ombre e degli attacchi a sorpresa alle spalle, ed entrambi vedono il mondo in un modo bizzarro che permette di utilizzare tantissime inquadrature con strambi effetti visivi.

Raoul Bova

Questo vale però per un ipotetico scontro 1v1: il primo e più imperdonabile errore di Alien vs Predator è quello di far scontrare due bande di adolescenti composte da un lato da giovani Yautja che devono sottoporsi a un rito di passaggio verso l’età adulta, e dall’altro da un cestello di uova di xenomorfo pronte a schiudersi per diventare le prede dei succitati predator(i). È una scelta che da sola butta dalla finestra tre quarti dei motivi per cui ci piacciono sia gli uni sia gli altri, e condanna il film ad abbandonare quasi subito la tensione e il terrore del non visto in favore di risse e scene di massa concepibili solo in un mondo post-Signore degli anelli.

È un peccato perché i presupposti potevano essere interessanti – se non avete problemi ad accettare il fatto che Alien vs Predator prende la mitologia degli uni e degli altri e la butta in un pozzo molto profondo. È vero che quella di Predator non è mai stata chiaramente definita né ci si è mai sforzati di sistemare tutti i problemi di continuità nati dal fatto che i sequel del film di John McTiernan non avevano l’ambizione di creare un cineuniverso; e infatti tra i due sono loro quelli che subiscono il trattamento più accettabile: la storia del film è l’ennesima variazione sul tema “perché ci sono questi energumeni invisibili alti due metri che ci vogliono fare fuori?”, e l’idea che questa volta il motivo sia un rito di passaggio adolescenziale è un po’ sciocca, ma tutto sommato funzionale. Cosa ci facciano invece gli Xenomorfi in una piramide sepolta sotto i ghiacci dell’Antartico, come ce li abbiano portati gli Yautja migliaia di anni fa, o anche perché l’androide Bishop, uno dei primi a incontrare gli Xenomorfi nello spazio, è diventato il signor Weyland nell’anno del signore 2004, sono tutte domande che interessavano molto poco ad Anderson, e chiaramente anche a O’Bannon e Shusett, per cui potete provare a ignorarle anche voi: di certo migliorerà la vostra esperienza di visione.

Alien vs. Predator Predator

Ma dicevamo dei presupposti: in un film del genere, purtroppo, servono anche degli esseri umani a fare da carne da macello e da didascalie viventi di quello che sta succedendo, per cui la piramide sotto i ghiacci nella quale si svolge il laser game più letale della galassia diventa anche la meta di un gruppo di persone in qualche modo legate al signor Weyland, il quale l’ha scoperta per primo e vuole essere il primo a esplorarla e a capire di che cosa si tratti. Curiosamente, visto che di solito non si tratta del punto forte dei film di Paul W.S. Anderson, la costruzione del gruppo, dagli inevitabili reclutamenti alla Jurassic Park fino all’arrivo al campo base in mezzo ai ghiacci, è uno dei pochi elementi pienamente convincenti del film. Tutto il primo atto lo è, in realtà: Anderson mette in mostra qui e là il suo gusto per lo space porn e anche per l’arredamento di interni (dite quello che volete a quell’uomo, ma il set design dei suoi film è sempre eccellente), Sanaa Lathan e Raoul Bova (Raoul Bova!) formano una discreta coppia protagonista, Ewen Bremner e il suo marcatissimo accento scozzese contribuiscono alla quota comica... fino a quando il gruppo non si cala nel buco che porta dritto dritto alla piramide sepolta si può quasi credere che Alien vs. Predator possa funzionare.

Invece non appena i nostri eroi toccano il fondo, il film comincia a fare lo stesso. È facile perdere il conto delle assurdità che si susseguono scena dopo scena: la nostra preferita è il fatto che l’attivazione della piramide roguelike, che cambia la sua struttura ogni dieci minuti, è regolata da un set di tre manovelle tarate sul calendario gregoriano, istituito nel 1582, ma graduate con simboli precolombiani. Che può anche andare bene, intendiamoci, il film esplicita che questa piramide in particolare è un mix di stili che si ritrovano ai quattro angoli del mondo e che i nostri antenati adoravano gli Yautja come divinità per cui possiamo accettare che anche il calendario gregoriano sia un dono culturale di questi alieni; ma un film che ti costringe a seguire questo filo del ragionamento (che peraltro si conclude con l’immagine di uno Yautja che stringe la mano al Papa di turno e gli spiega come funziona il suo calendario) ti ha già perso, perché dettagli del genere dovrebbero essere o plausibili, oppure improbabili ma tenuti in secondo piano, non resi oggetto di lunghe discussioni tra l’archeologo Raoul Bova e il resto del gruppo.

Guida senza gloria

L’idea della piramide che cambia in continuazione potrebbe essere, se Alien vs Predator fosse un buon film, uno dei suoi punti di forza; invece costringe Anderson a inseguire umani e alieni in corridoi strettissimi che confondono l’azione e la rendono illeggibile, oltre a privare l’ambientazione di quel minimo senso di geografia che aiuta a darle una personalità. Il regista di Punto di non ritorno (quello sì un horror/sci-fi con tutti i crismi) fa ancora peggio quando decide che vuole mostrare chiaramente i suoi due mostri, invece di farli solo intuire: sono le scene in cui il nostro tira fuori tutto il suo repertorio di slo-mo artistica, e sono (anche a causa di una CGI inevitabilmente invecchiata) francamente ridicole, e riescono in qualche strano modo a depotenziare sia gli Xenomorfi sia gli Yautja. E purtroppo non bastano un paio di facce abbracciate e di gabbie toraciche sfondate per redimersi. Aveva ragione James Cameron.

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