Alien: Romulus, ovvero la Gen Z incontra lo Xenomorfo come simbolo del patriarcato | Bad Movie

Il Bad Movie della settimana è Alien: Romulus, il nuovo film del franchise diretto questa volta da Fede Alvarez. Lo avete visto? Diteci cosa ne pensate nei commenti!

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Il Bad Movie della settimana è dedicato ad Alien: Romulus di Fede Alvarez, al cinema dal 14 agosto.

Premessa

Ma allo Xenomorfo qualcuno pensa mai? Cosa gli frulla in quel testone a forma di boiler oltre all'amore sadomaso e crescente attrazione sessuale che ha provato negli anni per Ellen Louise Ripley, rappresentata bene dal maledetto Alien - La clonazione (1997) di Jean-Pierre Jeunet? Forse in quest'epoca divertente di women's empowerment lo vedremo in un prossimo capitolo allearsi con una lei per un campo largo politico intrasex e interstellare. Sarebbe un'idea. Negli anni non lo abbiamo visto in progressione romeriana intellettuale, emotiva e ideologica come il dolcissimo Bub in cattività de Il giorno degli zombi (1985) o il Big “Che Guevara” Daddy che prendeva in mano mitra e leadership come ne La terra dei morti viventi (2005). Ma gli zombie, in fondo, siamo sempre noi come intuì il geniale Romero. Lo Xenomorfo di O'Bannon, Shusett e il papà visivo H. R. Giger è sempre invece “esso”, inspiegabile, non riducibile, alieno a noi. Sappiamo che è una creatura incazzosa, tendente a riprodursi, da alcuni ribattezzato “organismo perfetto”. Alcuni cacciatori delle stelle lo dovevano stanare e massacrare come rito di iniziazione virile dentro la comunità dei Predator. Un'ipotesi sempre non troppo convincente. La corporation Weyland-Yutani lo vuole poter sfruttare da anni e anni per entrare in modalità Imperatore di Guerre Stellari e dominare un giorno, con quell'odiosa macchina da guerra, le galassie dell'universo Alien. Ma gli puoi mettere il guinzaglio a quel ragazzaccio? Difficile. Alcuni “sintetici” come Ash e Rook sono d'accordo con la Weyland-Yutani. Il ribelle sintetico David è d'accordo altresì con sé stesso e vuole usare l'Alien per distruggere tutti, perché si è rotto le palle artificiali di essere dominato da padroni organici sprezzanti come Peter Weyland. Ricordiamoci quell'incipit strepitoso di Alien: Covenant (2017) firmato Ridley Scott.

I vecchi ingegneri

Due uomini in una stanza. Sembrano uno il fratello maggiore dell'altro quando in realtà sono “padre” e “figlio”. O meglio creatore e creatura. Parlano forbito e sono circondati da opere di Michelangelo e Piero della Francesca. La conversazione è soave come l'ambientazione (c'è anche un paesaggio naturale mozzafiato) soprattutto quando uno invita l'altro a suonare qualcosa al pianoforte, compiacendosi che la scelta sia caduta sul Wagner de L'entrata degli Dei nel Valhalla da L'anello del Nibelungo. Sembrano i generali militari del Kubrick di Orizzonti di gloria (1957) che se ne fottono di quelli in trincea ma non potrebbero mai rinunciare alle buone maniere quando conversano in salotto. Poi, improvvisamente, qualcosa si incrina. Il “figlio” irrita il “padre” chiedendo: “Chi ha creato te?”. Il “padre” lo umilia trattandolo da servo: “Versami del tè”. Questa scena meravigliosa fa capire quanto Scott tenda sempre verso l'arte del venerato maestro Kubrick. Ma questa tensione tra il miliardario umano Peter Weyland (Guy Pierce) e l'androide puntiglioso David (“Lo sono?” “Cosa? Perfetto?” “No… tuo figlio”) interpretato da Michael Fassbender ci fa anche capire quale sarà l'ottica futura di quel replicante rancoroso: liberarsi di quei vecchi ingegneri che ci costruiscono, condizionano, programmano. Altre generazioni riusciranno a farlo? Alien: Romulus, nono film del franchise collocato tra Alien (1979) di Scott e Aliens (1986) di Cameron ha un altro obiettivo. Ergere a protagonisti soggetti narrativi nuovi che non portino troppe deviazioni e distrazioni dall'obiettivo di realizzare un action horror più truculento della media. Eppure si è centrato qualcosa di interessante attraverso il nuovo cast. Chi sono le nuove star?

I giovani operai

La gen z non se la passa troppo bene manco nello Spazio. Sono minatori figli di minatori che forse avrebbero invidiato Rosso Malpelo di Giovanni Verga se l'avessero incontrato fuori dalle solfatare siciliane. Vivono nella colonia mineraria di Jackson's Star da 2781 abitanti e dicono cose tipo: “Ho speso tutto lo stipendio per una cinta che mi sta stretta” oppure: “Non voglio finire come i nostri genitori”. Che allegria. Rain Carradine (Cailee Spaeny) va in giro con il “fratellastro” sintetico Andy (David Jonsson) e quei poveracci di Bjorn, Kay, Navarro e Tyler. Ci sono state relazioni tra loro e intuiremo che qualcuno aspetta anche un bambino all'interno del gruppo sfigato. Ma non aspettatevi né melodramma né passionalità perché la gen z pare avulsa ad entrambe in tanti testi anglosassoni. Alien ha sempre raccontato, oltre alle qualità non socievoli dello Xenomorfo, il lavoro dei colletti blu e questi del gruppo di Rain sono sicuramente i lavoratori più oppressi e mortificati della saga nata nel 1979. Questo è molto convincente. La totale mestizia generazionale parallela a quella del Pianeta Terra verra forse sovvertita dal piano di andare a sgraffignare il bottino di un'astronave che pare abbandonata. Ovvio che ci troveranno quel “signore” dell'inizio dell'articolo sempre poco incline a stabilire dei sereni rapporti dialettici con noi esseri umani. La derelitta gen z non farà eccezione per “esso”. Il regista Álvarez sostanzialmente realizza uno slasher di media fattura con mattanza dei ventenni derelitti e bei momenti di cinema quando gioca con la gravità come si fa assai nel videogame Alien: Isolation. Le sue radici nella viscida vischiosità di un certo horror “sudaticcio” per citare l'Apicella di Sogni d'Oro (1981) si riconoscono quando si diverte come un matto a usare le qualità distruttive del sangue dell'Alien che come sappiamo fa sembrare il nostro acido solforico gradevole lavanda. La metafora di un mondo adulto, ingegneristico e ferocemente prevaricatore nonché castrante nei confronti dei giovincelli è rappresentata dall'ultima variazione dell'Alien. Quando si fonde con l'inizio della nostra vita biologica (un feto), nasce come statuario gigante paternalista che ricorda quei simpaticoni di Prometheus (2012) ovvero quegli irresistibili Padri e Carnefici dell'umanità che piacquero non poco agli atei più fanatici.

Conclusioni

Brava la Speany e bravissimo Jonsson. Lei conferma il suo momento rappresentativo gen z dopo Priscilla (2023) e Civil War (2024). Lui è notevole quando passa dall'essere il sintetico programmato con lo scialbo senso dell'umorismo del papà di Rain (ancora il controllo dal passato) a un cyborg più ambiguo e imprevedibile. Tutto sommato questo Alien: Romulus è più sì che no. Chissà cosa ne penserebbe il nostro imperscrutabile Xenomorfo.

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