Alien: Romulus è un film che funziona, ma si arrende alla superiorità del passato 

Alien: Romulus fa tutte le cose per bene pur di non sbagliare. Si appoggia al passato che dimostra di avere studiato. Per quanto basterà?

Condividi
Spoiler Alert

Che ci fa la Lupa capitolina dentro un film di Alien? 

Serve a giustificare Romulus (e Remus) del titolo, le due sezioni della stazione spaziale Renaissance di proprietà della Weyland-Yutani Corporation. Non è tutto qui. La Lupa è infatti il simbolo che meglio descrive questo midquel, nonché settimo film del franchise esclusi i crossover. Un’opera che si sente piccola in confronto ai giganti che l’hanno preceduta (sono i primi due Alien, ma possiamo aggiungerci anche Prometheus) e che si attacca alle loro mammelle per sopravvivere traendone quanta più possibile energia vitale.

È il cinema postmoderno, bellezza. Quello di Deadpool & Wolverine, di Barbie, dell’Imperatore Palpatine che “in qualche modo, è tornato”, quello dove i personaggi sembrano avere visto i film che li contengono. “Get away from her, you bitch!”, ovvero “Sta' lontano da lei, maledetta!”, celebre frase pronunciata da Ellen Ripley in Aliens, viene qui anticipata dall’androide Andy. Probabilmente un fan del film, o nello spazio tutti parlano così?. Non solo, per fare un altro esempio, ma ce ne sarebbero molti altri, Cailee Spaney si ritrova faccia a faccia con lo Xenomorfo come accadeva in Alien 3. Interpreta la sua Rain come se il personaggio stesso pensasse a Ripley.

La Lupa è anche multimedialità: tutto il gruppo deve fuggire dalla nave e lo fa un po'come in Alien: Isolation. La dinamica è da videogioco, le armi, i corridoi, la gravità hanno un aspetto ludico che solo i personaggi non riescono a vedere.

Fede Álvarez è un regista consapevole dei propri mezzi. Non ha ancora l’esperienza di Ridley Scott e nemmeno l’intuito commerciale di James Cameron. Così inizia con una captatio benevolentiae sotto forma di citazionismo. Ogni riferimento suona più o meno così: “So di non poter superare quanto è già stato fatto, quindi provo ad avvicinarmi aggrappandomi a loro”. Alien: Romulus è questo: un nuovo film attaccato come un facehugger al passato. Così facendo decreta sin dall’inizio la propria incapacità di essere qualcosa di nuovo - una rilettura veramente originale - ma riesce ad essere un omaggio veramente sentito alla saga. La sua sudditanza è la prova che quelle immagini e quell’immaginario ancora detengono una potenza che non si può superare.

Alien… in pratica 

Badate bene: la scelta di girare tutto il più possibile con animatronici ed effetti speciali pratici non è per fare le cose bene (le si può fare anche con una CGI allo stato dell’arte), ma per essere in linea con il proposito di cui sopra. Fare le cose come un tempo. Seguire la strada dei padri: se va bene trovare la propria, se va male provare a far rivivere un po’ di quella magia. 

In parte i trucchi funzionano! Non è più il 1979, ma la regola di nascondere il mostro il più possibile per renderlo grande nella fantasia vale ancora. È incredibile quando la regia nasconda le creature sullo sfondo sfocato e, pur conoscendole bene per via degli altri film, non si senta il bisogno di vederle alla svelta. 

C’è un gioco in sceneggiatura che porta a focalizzarsi sul villain sbagliato e, da tradizione, sul “boss finale” sbagliato. Quando si rivela quest’ultimo, Alien: Romulus diventa finalmente di Fede Álvarez. Fatti a dovere i compiti, il terzo (ma potremmo dire anche quarto) atto è quello più libero e personale per il regista. Arriva in un punto dove la sbavatura è perdonabile, una chiusura che batte sui temi di sempre come lo stupro, il parto, il parassitismo delle creature, ma messi in scena più con lo stile di Álvarez che di Scott. 

Studiare Alien per fare cinema e arrivare… ad Alien

Pensate il paradosso dei registi odierni di horror e fantascienza. Fede Álvarez è uno, ma anche Neill Blomkamp il cui Alien 5 venne cancellato pochi anni fa può essere un esempio. È probabile che nella loro formazione cinefila l’opera di Scott o quella di Cameron siano state una parte importante. Testi filmici studiati all’inverosimile, assimilati e poi imitati. Basta da sola la lezione del silenzio, la gestione dei vuoti e dei pieni di suono, per fare tanto del miglior cinema horror contemporaneo. Le astronavi, il modo in cui le creature arrivano in contatto con gli uomini, l’armamentario dei mercenari spaziali, tutta la fantascienza deve scegliere se avvicinarsi o allontanarsi a Hans Ruedi Giger (persino Dune di Jodorowsky se ne voleva servire prematuramente). La sua arte è un punto fermo nell’immaginario e lì ci resterà.

Se sei un regista bravo, e fortunato, ti può capitare di arrivare tu stesso a dirigere un film di quel mondo da cui hai imparato a costruire la tensione e a raccontare il futuro. La macchina di Hollywood ti costringe a confrontarti con i tuoi maestri. Cinematograficamente la resa al passato di Fede Álvarez non è il massimo. È però la scelta migliore per chi non è ancora pienamente sicuro della propria forza e ha il mandato di non sbagliare. Gliel’ha dato la produzione, ovviamente, ma anche Scott stesso come potete leggere dal profilo Instagram del regista. 

View this post on Instagram

A post shared by Fede Alvarez (@iamfedealvarez)

Come si può evitare tutto questo? Come si può cioè liberarsi dalla sudditanza del passato per provare a rinnovarlo trovando nuove immagini, situazioni e schemi narrativi? È una domanda che la fantascienza si fa spesso: Star Wars ha lo stesso problema, mentre Predator sembra avere trovato la risposta in Prey

In generale però basterebbe staccarsi dalla Lupa. Smettere di credere di poter vivere solo attaccati a lei. Fuori c’è un mondo da esplorare, altri organismi da cui trarre nutrimento. Insomma, Alien: Romulus è bello, a tratti anche molto. Perché la saga sopravviva deve però provare a rinnovarsi, a far sentire i registi liberi di osare e anche sbagliare. I fan sapranno accettarlo?

Continua a leggere su BadTaste