Addio a Haskell Wexler, il creatore dell'estetica della Hollywood indipendente e anticonformista

Non è mai diventato una star della fotografia eppure Haskell Wexler ebbe un contributo fondamentale in una delle fasi più importanti del cinema americano

Critico e giornalista cinematografico


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Direttore della fotografia parco da poco meno di un film l’anno e regista di almeno un film di grande importanza storica, Haskell Wexler (morto ieri a 93 anni) non ha avuto bisogno di decine di film per mettere il suo nome nella storia della propria arte (2 Oscar e un posto nell’elenco dei dieci direttori della fotografia più importanti secondo l’associazione di categoria, il primo a ricevere il premio alla carriera dai propri colleghi). Come molti dei cineasti della New Hollywood anche lui veniva da una lunga e solida gavetta televisiva, più che altro documentari e produzioni avventurose, poi l’esplosione nel cinema che conta con America America di Elia Kazan.

Haskell Wexler ha cambiato molto di quello che sappiamo sulla fotografia lavorando prima sul bianco e nero (uno dei suoi due Oscar, quello per Chi ha paura di Virginia Woolf? è stato l’ultimo della categoria Miglior fotografia in bianco e nero) e solo successivamente sul colore. Negli anni in cui una nuova generazione di cineasti realizzava film diversi, più brutali, diretti, lontanissimi dalla realtà edulcorata e bambinesca in cui Hollywood si era rintanata, Wexler confezionava le luci migliori.

Se gli anni ‘70 del cinema americano sono quelli in cui trionfa un’estetica naturalista, luci molto moderate e colori soffusi (non come si faceva negli anni ‘50 e ‘60, in cui ogni pellicola a colori sembrava un evento), Wexler lavorava di ombre e luminosità come se stesse sfruttando ancora il bianco e nero.

Se la collaborazione con Mike Nichols con Elizabeth Taylor lo consacra con il massimo premio ricevibile negli Stati Uniti, è però il successivo, La calda notte dell’ispettore Tibbs, il suo capolavoro. In un film di tenebre e paura, di tensione e neon, con un protagonista di colore Wexler inventa un nuovo standard per l’illuminazione dei volti afroamericani. Prima di quel momento Hollywood non si era mai curata di illuminare a dovere la pelle nera ma aveva usato le medesime tecniche in voga per i bianchi. Wexler cambia passo e ritmo, dona ad uno dei film più importanti per la riscossa afroamericana all’interno dello studio system, l’onore di una fotografia ad hoc.

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Per Norman Jewison poi illuminerà anche Il caso Thomas Crown, sarà consulente visivo per American Graffiti di Lucas e si occuperà dei bianchi slavati e degli esterni gelidi di Qualcuno volò sul nido del cuculo per Milos Forman.

Bravissimo con gli scenari naturali (in particolare è magistrale il suo uso della nebbia) Wexler poteva addirittura vantare d’aver preso parte, sebbene non accreditato, alle folli riprese di I giorni del cielo di Terrence Malick, film girato tutto al tramonto e in giro per l’America, inseguendo i campi di grano nella stagione dei raccolti. Un vero trionfo di estetica ed equilibrio cromatico tra esseri umani ed elementi naturali. Stessa sorte (il non essere accreditato) che gli era capitata per un altro film cardinale nella storia del cinema americano indipendente: Volti di John Cassavetes. Vero trionfo del bianco e nero sporco e artigianale, rude e brutale.

Le sue immagini audaci e le composizioni inusuali hanno avuto un contributo determinante a sbloccare Hollywood

Tra tutti però si era legato al regista meno celebrato e più oscuro (eppure determinante) della New Hollywood, Hal Ashby. Con lui ha girato Questa terra è la mia terra, Tornando a caso, Second Hand Hearts e Cercando di uscire. Proprio con Ashby il suo stile ha trovato la maggiore compiutezza, è con il rifiuto di accendere i colori e con il lavoro maniacale sulle ombre e le luci di quelle pellicole, che si può vedere il vero Wexler.

Le sue immagini audaci e le composizioni inusuali hanno avuto un contributo determinante a sbloccare Hollywood. Tra le fine degli anni ‘60 e l’inizio dei ‘70 il pluripremiato stile Wexler ha emancipato dei film che anelavano libertà dalla dittatura della matematica alternanza tra totali e primi piani, sbizzarrendosi in punti di vista particolari e giocando con i colori senza per forza enfatizzarli. Non era certo direttore della fotografia da carrelli o virtuosismi ma più un amante delle lenti lunghe e della macchina da presa piantata.

I film di Wexler a colori hanno sempre una dominante sottile, un tono e una palette decisi che non viene esposta con la moderna fermezza di un Wes Anderson ma lavora sottilmente, donando ad ogni film un look esclusivo. Non ci sono due film a cui abbia collaborato Wexler che si somiglino.

Accanto alla carriera da direttore della fotografia Wexler ne aveva poi una da regista che si distingue per America, America, dove vai?, in cui già nel 1969 dava libero sfogo alla sua insofferenza per le strutture tradizionali. In un film che racconta di un cameraman televisivo e che inizia con un dibattito su come si debbano filmare determinati eventi di cronaca, Haskell Wexler mescolava per la prima volta realtà e finzione con ampi margini di libertà. Personaggi finti in situazioni reali e viceversa, senza nessuna sudditanza per strutture o svolgimenti canonici. Prendendo spunto da Marshall McLuhan (il titolo originale è Medium Cool) e con le musiche di Frank Zappa and The mothers of invention, America, America, Dove Vai? è uno dei film che più rappresentano lo spirito di quest’artista.

Finita la spinta propulsiva della New Hollywood Wexler ha continuato lavorato ma purtroppo in progetti decisamente meno ambiziosi e sempre più alimentari fino a circa una decina d’anni fa.

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