Abbiamo visto le prime scene di Predator, 7 Sconosciuti a El Royale e The Hate U Give

La violenza di Predator, il tono di The Hate U Give e l'assurda atmosfera che si respira in 7 Sconosciuti a EL Royale

Critico e giornalista cinematografico


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Tra le nuove uscite autunnali la Fox sembra puntare particolarmente su tre titoli, il più noto e anticipato dei quali è The Predator di Shane Black, il più politico dei quali è The Hate U Give e il meno identificabile (forse proprio per questo più curioso) è 7 Sconosciuti a El Royale.

THE PREDATOR

The Predator è (davvero) un film senza bisogno di presentazioni. Shane Black torna alla saga in cui era stato solo attore, nel primo film, stavolta da sceneggiatore e regista e la curiosità è moltissima.
Il primo, e importante, dubbio che il footage che abbiamo visto leva è quello sulla violenza. È infatti evidente che The Predator sarà un film che non teme l’efferatezza. Nella clip visionata infatti siamo sulla Terra, in una scuola, e fuori da essa, un alieno più grande (quello ribattezzato Ultimate Predator), in tutto e per tutto simile a quelli da sempre al centro della saga, irrompe mentre uno più piccolo (o meglio, di dimensioni normali) sta svolgendo le sue normali attività (caccia agli umani). Ne farà le spese il piccolo e non mancheranno squartamenti, colonne vertebrali sfilate assieme alla testa e carne aperta come si vede nel poster ufficiale.

Per gli amanti del classico con Schwarzenegger la notizia più bella è che questo The Predator mantiene la palette di colori che caratterizzava quel primo film di John McTiernan. Le notti, la foresta e le parti illuminate solo dal fuoco sono fotografate cercando di ritrovare il misto di colori caldi e freddi dell’originale.

THE HATE U GIVE

Qui siamo in un territorio più difficile. The Hate U Give racconta di una ragazza del ghetto che i genitori mandano in una scuola privata di bianchi assieme al fratello piccolo. Di sera con gli amici nel ghetto e di giorno in divisa con i bianchi, ha due atteggiamenti completamente diversi perché con i bianchi non vuole sembrare una del ghetto. Non vuole essere “nera” ma confondersi e apparire come gli altri.

Ci sarà l’inevitabile dramma, l’abuso di violenza della polizia in un innocente tragitto in macchina con un amico, che scatenerà una presa di coscienza. Il passaggio in cui nasce dentro di lei la coscienza d’appartenenza ad una minoranza vessata e il desiderio di battersi per i propri diritti, di sbandierare l’essere afroamericana e venire dal ghetto.

Dal materiale visto (una scena in cui è presentata la protagonista e poi il fattaccio di sangue), The Hate U Give a tratti mette in scena una vita tranquilla e solare da ghetto, come in una pubblicità per una compagnia d’assicurazioni, in altri momenti sembra il corto che precede il videoclip di un’artista R&B miliardaria che però non ha dimenticato da dove viene. Mutua da Moonlight i colori per le feste, usa la musica trap per dare un tono attuale e non sembra avere molto desiderio di sfumare il conflitto, ma anzi intende cavalcarlo, lo enfatizza e lo estremizza per le sue finalità e le sue tesi.
Insomma non indaga un problema ma presenta una rabbia.

7 SCONOSCIUTI A EL ROYALE

Per spiegare cosa abbiamo visto di 7 Sconosciuti a El Royale si può dire che la scena sembrava scritta dai fratelli Coen (per l’assurdo di quel che accade) e diretta da David Lynch (per la rarefazione della messa in scena, la ricercata lentezza che invece di annoiare appassiona). È quindi evidente che, almeno quel passaggio, non ha il tono scanzonato che si evince dal trailer.

C’è Jon Hamm in un setting da tardi anni ‘60 (un attore che sembra non poter interpretare niente di contemporaneo) che prende una stanza in un hotel e controlla la presenza di cimici. Ne trova a bizzeffe ovunque, finisce a smontare praticamente tutta la stanza e poi, cercando di capire se ci sia qualcosa dietro un grande specchio, scopre un’area incustodita (chi la dovrebbe sorvegliare non sta facendo il suo lavoro) da cui è possibile accedere ad un corridoio nel quale attraverso specchi in tutto e per tutto simili al suo (che da un lato riflettono ma dall’altra consentono di vedere attraverso) si spiano gli altri inquilini del motel con tanto di altoparlante per l’audio.

In silenzio, accompagnato solo dai rumori che produce, Jon Hamm scopre questa specie di luogo nascosto nell’hotel e guarda le assurdità di ciò che accade nelle stanze vicine alle sue, tra lo sgomento e lo stupore. È una sequenza più lunga di quello cui siamo abituati, condotta con un passo lento che si accoppia molto bene con il crescere dello stupore, il senso del mistero che aumenta e un’ambientazione paradossale. Tra i molti si intravdono Dakota Johnson con molto da nascondere in una camera e Jeff Bridges nei panni di un prete che sfonda il pavimento in un’altra,.

Si respira un po’ quel clima tipico dei film che raccontano di dittature totalitarie, in cui ognuno nasconde qualcosa, anche di normale, perché molto è inaccettabile e molto è proibito. Invece siamo in America. C’è quell’aria da fobia del controllo, cospirazione e oppressione invisibile che di solito è associata ad una presenza malevola dello stato. Ma non è così, in questo film tutto o quasi accade all’interno dell’hotel del titolo e il controllo è solo uno dei molti elementi strani.

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