A Quiet Place, la gimmick con il film intorno
A Quiet Place è un’opera basata su una gimmick e potrebbe anche accontentarsi, ma John Krasinski per fortuna ha deciso di fare anche un film
“Gimmick” è una parola intraducibile e dai mille significati, che in generale indica un qualcosa di poco valore, ma dal grande impatto che viene utilizzato per attirare l’attenzione del pubblico (e di solito convincerlo a comprare). Nel wrestling, la gimmick è, in poche parole, il personaggio del wrestler, le sue caratteristiche, idiosincrasie. Al cinema il termine si può usare per indicare certi esperimenti non sempre riusciti di amplificare l’esperienza della sala con trucchetti di vario genere (dall’Odorama al 3D), ma anche per riferirsi a un film o una serie TV tutta basata su una singola idea forte – un po’ un sinonimo di high concept, ma con una tendenza all’esagerazione e al parossismo. Buried, “il film tutto girato in una bara”, era un film a gimmick. Lo era Hardcore Henry, “il film tutto girato in prima persona”. E lo è anche il sorprendente terzo film da regista di John Krasinski, A Quiet Place, “il film dove non bisogna fare rumore”.
LEGGI: A Quiet Place 2: William Friedkin loda il film di John Krasinski
LEGGI: A Quiet Place 2: in cosa è superiore al primo capitolo e in cosa no
Non che il film non si appoggi con tutto il suo peso alla sua gimmick – e cioè: sono arrivati dei mostri (probabilmente alieni, cascati sulla Terra in groppa a un meteorite) che sono ferocissimi, molto carnivori e completamente ciechi. E ci sentono benissimo, più che mostri sono padiglioni auricolari con le zampe. Per cui l’umanità è stata quasi sterminata, la civiltà è collassata e le poche persone sopravvissute sono costrette a vivere facendo meno rumore possibile. Per cui A Quiet Place è un film non solo quasi completamente privo di dialoghi, ma anche lentissimo non per scelta artistica, ma per necessità di realismo: ogni movimento, ogni oggetto appoggiato per terra, ogni respiro deve venire accuratamente pesato, ogni passo attutito e ogni suono spento, perché i mostri non ci vedono, ma se ti sentono ti decapitano in tempo zero.
È inevitabile quando fai un film che è ricco di tensione, ma povero di azione. Per la maggior parte del tempo, A Quiet Place è un film di gente che compie azioni quotidiane a una velocità dimezzata rispetto a quanto farebbero se non ci fossero i mostri, e che è costretta a nascondersi sotto una cascata per comunicare in pace e ad alta voce – una delle scene più liberatorie del film, e piazzata saggiamente quando la tensione da silenzio forzato comincia a diventare insostenibile. Krasinski ha l’occhio per i dettagli, quelli che servono a dare concretezza e tridimensionalità al mondo: il fatto che la famiglia mantenga con cura dei sentieri di sabbia che permettono loro di camminare a piedi nudi e facendo il minimo rumore, per esempio, o il sistema di illuminazione utilizzato dagli Abbott per comunicare all’interno della loro tenuta.
Che poi: sarà davvero loro? O l’hanno trovata disabitata e ci si sono stabiliti come si fa nella post-apocalisse? A Quiet Place è parco di dettagli e di, chiamiamola così, mitologia: inizia in medias res, con i mostri che sono già stabilmente parte della vita quotidiana, e non ci dice nulla su come stia il resto del mondo, o su quello che faceva questa famiglia di sopravvissuti prima dell’incidente con il meteorite. Krasinski preferisce spiegare in due parole la situazione e lasciarci poi in balia degli eventi: più che una narrazione unica, A Quiet Place è una serie di vignette, e l’arco narrativo del film segue i ritmi e i tempi della vita di tutti i giorni, preferendo costruire la tensione verso il finale per semplice accumulo di eventi quotidiani.
Ovviamente nulla di tutto questo funzionerebbe senza un cast calato al 100% nei rispettivi ruoli, perché reggere un intero film in quattro senza poter neanche parlare non è impresa semplice. Come detto, Krasinski e Blunt fanno coppia nel film e nella vita, e quindi non fanno alcuna fatica a simulare intimità e complicità, visto che non la stanno simulando. La vera star però è Millicent Simmonds, attrice sordomuta la cui disabilità diventa quasi un superpotere, e che ha la responsabilità di rappresentare la rottura dell’equilibrio, e dunque il perno intorno al quale ruota tutto il film; lo fa con una naturalezza sorprendente se pensate che al tempo era appena al suo secondo film in carriera, ed è il cuore di A Quiet Place più di quanto lo sia il resto della famiglia (compreso il povero Noah Jupe, il più in disparte del nucleo).
È proprio il fatto che A Quiet Place ce l’abbia, un cuore, a rappresentare il suo più grande merito. Krasinski ha un grande occhio per l’horror e un’ottima capacità di gestire i tempi e la tensione; avrebbe potuto accontentarsi, e girare un esercizio di stile tutto basato sul non fare rumore. Invece ha scelto di raccontare una storia, di fare un film e non un esperimento; e per questo gli saremo per sempre, e sempre silenziosamente, molto grati.