A Ghostbusters Legacy manca un po’ di coraggio

Ghostbusters Legacy poteva andare decisamente peggio, ma si appoggia troppo sul suo passato per sbocciare davvero

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Ghostbusters Legacy è su Netflix

Ora che sono passati due anni dalla sua uscita e la proverbiale polvere si è depositata, possiamo ammetterlo senza sentirci in colpa: Ghostbusters Legacy poteva andare molto peggio. E possiamo anche aggiungere un’altra considerazione che sembra blasfema: il film di Jason Reitman funziona perché, nonostante in superficie sembri una delle più grossa operazione nostalgia di quest’epoca di operazioni nostalgia, si ritaglia in realtà un proprio spazio – non ripete una formula di successo che non è all’altezza di replicare, ma si reinventa per un altro pubblico e con altre intenzioni.

Proviamo a spiegarci meglio. Il Ghostbusters originale era un film per adulti, nello specifico per trentenni che vivevano in un’epoca di prosperità e stavano cominciando a sviluppare quel cinismo esistenziale che li avrebbe aiutati una volta cresciuti e con la fine dell’illusione reaganiana. Era un film per gente che amava il Saturday Night Live e le battute per cui ridacchiare sotto i baffi, gente che si identificava con quei quattro protagonisti che nella magica America degli anni Ottanta riuscivano a diventare ricchi persino inseguendo fantasmi. Discorso analogo vale ovviamente per il meno riuscito sequel.

Il Ghostbusters del 2016 tentava a modo suo di replicare esattamente questa formula: uno script abbastanza vago e freeform, un gruppo di comiche abituate all’improvvisazione e alla stand-up, voleva insomma essere, come l’originale del 1984, una commedia adulta con di mezzo dei fantasmi. Non ci riusciva per una lunga e ampiamente sviscerata lista di motivi, non ultimo il fatto che la qualità della comicità era abissale soprattutto se paragonata ai film di Reitman; e più in generale l’idea di riproporre esattamente la stessa formula e lo stesso approccio in un mondo completamente diverso era pessima, e uno dei principali motivi dell’affondamento di quel Titanic.

Jason Reitman, invece, ha lungo la sua carriera dimostrato più volte di saperci fare anche con fasce di età più basse; e non bisogna sottovalutare che Ghostbusters Legacy è arrivato quando Stranger Things non era già più solo un fenomeno passeggero ma un punto fermo della cultura popolare contemporanea. La scelta quindi è quella di fare un film nostalgico, sì, ma in modo inaspettato: come già dicevamo nella nostra recensione, questo quarto film sugli Acchiappafantasmi è un’inaspettata avventura spielberghiana, ed è diretto molto decisamente a un pubblico di adolescenti e pre-adolescenti – pur contenendo abbastanza materiale da soddisfare anche i loro genitori, zii o fratelli maggiori.

Ma il cuore di tutta l’operazione non sono tre (poi quattro) uomini che vanno in cerca del sogno americano nelle case infestate. Sono due fratelli (il Finn Wolfhard di Stranger Things, appunto, e l’eccellente McKenna Grace) e la loro madre single (Carrie Coon), che come in molti horror (e dintorni) si trasferiscono nella vecchia fattoria del nonno appena defunto, e tra le sue mura fatiscenti scoprono che è abitata da fantasmi. Circa, più o meno: il trucchetto nostalgico è che il proprietario della fattoria era il fu Ghostbuster Egon Spengler, il che spiega il sottotitolo Legacy e trasforma il film anche in un commovente omaggio al defunto Harold Ramis.

Ghostbusters Legacy è quindi prima di tutto la storia di un’estate, per raccontare la quale si può scomodare non solo Spielberg ma anche l’altro profeta anni Ottanta di quell’età, Stephen King. Ci sono tutti gli ingredienti della storia adolescenziale estiva, il che sicuramente ha contribuito a respingere un bel po’ di gente che si aspettava i Ghostbusters e si è invece trovata davanti un gruppo di ragazzini in cosplay; ma noi crediamo che non ci potesse essere scelta migliore, perché l’unico modo per rivitalizzare lo spirito dei due capitoli originali sarebbe stato fare un’operazione alla Indiana Jones e convincere Murray, Aykroyd e Hudson a sorbirsi un altro film da protagonisti.

E anche quello non avrebbe garantito il successo, anzi: Ghostbusters è stato un film figlio di un momento, e provare a catturare di nuovo quella specifica scintilla sarebbe stato il modo migliore per cascare con la faccia nel fango, come dimostrato nel film del 2016. Scegliendo di lasciarsi alle spalle il passato e prendere una strada nuova, utile peraltro a far conoscere alle nuove generazioni un franchise di quarant’anni fa, Ghostbusters Legacy si libera di una grande quantità di catene che l’avrebbero potuto appesantire o far affondare.

Peccato quindi che non sfrutti fino in fondo la sua libertà, e decida di dedicare tutto il finale a una celebrazione nostalgica che un po’ rovina la costruzione dei personaggi fatta fin lì. È pur vero che la soluzione scelta da Reitman è un grande classico delle storie di adolescenti; ma è anche vero (senza spoilerare troppo) che per una volta sarebbe stato bello vedere un film che smette di fare da babysitter a tutti i costi ai suoi giovani protagonisti, e li lascia liberi di ritagliarsi il loro spazio fino in fondo. Alla fine però la scelta è perdonabile nel momento in cui viene fatta per omaggiare al meglio possibile Harold Ramis; sul successo o meno dell’operazione lasciamo decidere a voi, ma l’intento è comunque nobile.

Nobile, sì, ma che chiude tutta l’operazione Ghostbusters Legacy con un grosso “what if”: come sarebbe stato il film se non avesse neanche avuto bisogno di buttarci dentro le solite palate di nostalgia? Se avesse potuto portare a compimento la crescita dei suoi giovani protagonisti senza dover loro fornire un deus ex machina direttamente dalla nostra (non dalla loro!) infanzia? Verrebbe da dire che non lo sapremo mai, ma il sequel ancora senza nome atteso per il 2024 potrebbe assumersi questa responsabilità e far fare al franchise questo ulteriore, definitivo passo avanti verso la liberazione dal passato. Chissà se riuscirà a sopravvivere senza le sue stampelle anni Ottanta.

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