A 2 Fast 2 Furious manca Vin Diesel
2 Fast 2 Furious è un sequel migliore di come viene ricordato, ma gli manca comunque un pezzo importante
Questo articolo fa parte della rubrica Tutto quello che so sulla famiglia l’ho imparato da Fast & Furious
Chiediamo scusa per l’attacco irrituale in prima persona ma è importante mettere in chiaro le cose fin da subito, perché questo pezzo su 2 Fast 2 Furious si baserà interamente sull’idea che lui da solo non basta a fare Famiglia, e che Fast & Furious senza Vin Diesel è come un faro senza la sua luce, come un pranzo di famiglia senza la famiglia, come un compleanno senza le candeline (… abbiamo finito le metafore). Non vogliamo però che questa considerazione sembri un attacco a Paul Walker: la colpa non è sua, ma di quello che con il senno di poi si è rivelato forse il più grande equivoco di tutta la faccenda Fast & Furious.
Secondo Vin Diesel il problema di 2 Fast 2 Furious nasceva già dalla sceneggiatura: stando al nostro “non l’hanno approcciato da Francis Ford Coppola, ma come uno dei tanti sequel degli anni Ottanta e Novanta nei quali ti inventi una nuova storia vagamente collegata a quella precedente e ci sbatti sopra i nome del franchise”. Francis Ford Coppola, capito? Erano gli anni in cui Diesel non aveva ancora del tutto accettato che il suo destino era nelle tute in acetato, e ancora sperava di poter sfondare altrove: ai tempi di 2F2F, per esempio, Vin preferì girare The Chronicles of Riddick, un progetto ambizioso di world building concepito dalla sua stessa mente, che l’avrebbe dovuto consacrare come autore e creatore di mondi.
Ha ragione Diesel però quando dice che 2 Fast 2 Furious è un sequel old school, e confrontandolo con i film venuti dopo la rinascita del franchise con il quarto capitolo la differenza è evidente: qui l’approccio è ancora quasi completamente verticale, la storia è autoconclusiva, addirittura personaggi che sembravano fondamentali nel primo capitolo (Mia Toretto su tutti) non vengono neanche menzionati, preferendo trovare un nuovo love interest per Brian e costruendogli da capo una nuova Famiglia.
Fatta secondo le regole che poi codificheranno il resto del franchise, questo va detto: c’è un luogo di ritrovo (il garage di Tej/Ludacris), una serie di persone che la vita ha spinto in varie maniere a vivere ai margini e che hanno trovato nella reciproca compagnia quel calore che la loro famiglia naturale non aveva mai garantito loro, c’è persino la grigliata all’aria aperta di ordinanza. E c’è la pecora nera che deve venire riaccolta nel caldo abbraccio della Famiglia: non è un caso che dopo 2 Fast 2 Furious Tyrese Gibson ne sia entrato a far parte in pianta stabile insieme al già citato Ludacris. C’è purtroppo ancora spazio per un po’ di gente inserita per far numero, una su tutte la povera Devon Aoki il cui ruolo principale è quello di indossatrice di vestitini molto corti, ma il cuore di quello che diventerà Fast & Furious è già presente, nonostante il film non faccia granché per ricollegarsi al primo (che di fatto serve solo per fornire motivazioni a Brian).
Il senno di poi, però, è purtroppo una scienza sempre esatta, e quello che più di ogni altra cosa manca a 2 Fast 2 Furious è il carisma di Vin Diesel. Brian O’Conner nel franchise è sempre stato un’ottima spalla, l’avatar perfetto per lo spettatore; ma Vin Diesel ne è il proverbiale cuore pulsante, colui che è cresciuto sulla strada e che vive sulla strada e che se la mangia ogni volta che sale in macchina. Brian O’Conner corre perché è bravo e vince e ha spesso bisogno di soldi; Dominic Toretto corre perché per lui non ci sono alternative. Toglietelo da Fast & Furious e quello che otterrete è un film di macchine. O se preferite vedetela così: Brian O’Conner è il genere di personaggio che “dura” quanto dura il film; una volta finita l’avventura è facile immaginarselo tornare a una vita più normale. Dominic Toretto va oltre i confini cronologici dei film: è ovvio che quello che vediamo è solo una parte di tutto quello che gli succede nella vita, e che già durante i titoli di coda sta guidando a tutta velocità verso la prossima corsa o il prossimo colpo.
Detto del buco a forma di Vin Diesel che limita per forza di cose 2 Fast 2 Furious, il film di per sé è ancora oggi un ottimo action, girato con mano sicura (e relativamente meno sbracata rispetto a Rob Cohen) da John Singleton, uno che volle fortissimamente volle questa regia perché aveva adorato il primo capitolo e che infatti gioca a replicarne molte soluzioni visive, aggiungendo però un tocco personale non solo nelle sequenze action, ma anche durante i dialoghi, che al netto dell’assenza di Dom Toretto e soprattutto per merito di Tyrese Gibson sono mediamente più brillanti di quelli del primo capitolo. E poi, sarà una banalità ma 2 Fast 2 Furious è un film più black di quanto fosse Fast and Furious, e Singleton è più a suo agio di Cohen nel proporre certi codici e una certa estetica.
Magari, quello sì, non è altrettanto a suo agio a gestire la sceneggiatura di Michael Brandt e Derek Haas (che dopo 2F2F scrissero il remake di Quel treno per Yuma): in quanto film di spionaggio e operazioni sotto copertura presso il capo del cartello locale, 2 Fast 2 Furious è fin troppo macchinoso (… ah ah ah) e basato sui deus ex machina, e il secondo atto, in assenza di macchine che viaggiano veloce, gira un po’ a vuoto. Colpa soprattutto del povero Cole Hauser, un buco nero di carisma nei panni del villain Carter Verone, schiacciato inesorabilmente sotto il peso di chiunque gli stia attorno, ivi compresa Eva Mendes (la vera perdita per il franchise è non essere riusciti a convincerla a unirsi alla famiglia), ma colpa anche di una storia di per sé non particolarmente interessante: ci sono dei soldi da portare dal punto A al punto B, alcuni poliziotti corrotti, ma niente di indimenticabile, e neanche di particolarmente sopra le righe – che è sempre la soluzione migliore per ravvivare una storia un po’ sciapa, come insegna tra l’altro xXx.
Se non fosse per l’esistenza di tutti i film dal quarto in avanti, probabilmente ricorderemmo 2 Fast 2 Furious con più affetto, e non solo come “quello senza Vin Diesel”. Ma d’altro canto è impossibile ignorare l’assenza del tassello più importante del puzzle: non a caso il film costò il doppio del primo capitolo e incassò circa la stessa cifra.
Voglio tanto bene a Paul Walker, ma la Famiglia senza Mark Sinclair non è la stessa cosa.