60 anni fa usciva in Italia il miglior film mai girato: I 400 Colpi

L'arrivo di I 400 Colpi nei cinema segna il momento in cui il cinema ha preso una sterzata definitiva, passando da classico a moderno

Critico e giornalista cinematografico


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Ognuno ha la sua risposta quando viene il momento di immaginare quale possa essere considerato il miglior film di sempre, tuttavia ci sono buone probabilità che chi ha visto I 400 Colpi di François Truffaut indichi quello. Forse il film più bello che sia mai stato girato e che usciva 60 anni fa, oggi, in Italia.

Tutto il contrario di un film meticoloso, tecnico e studiato, il debutto di Truffaut è puro istinto e improvvisazione, un gioiello frutto del proprio tempo alimentato da un desiderio profondo di fare cinema, di farlo in una certa maniera e di raccontare esattamente quelle sensazioni che nessuno (o quasi) aveva mai messo su pellicola.
Truffaut era un malato di cinema, aveva fondato il concetto di “cinefilia” come lo conosciamo oggi assieme ad un pugno di amici e sodali critici, conosceva tutto il cinema prodotto fino a quell’epoca ed aveva le idee chiarissime. Tutto ciò che credeva fosse giusto era diventato I 400 Colpi, tutto ciò che aveva vissuto in prima persona nella sua infanzia era diventato I 400 Colpi, tutto ciò che il cinema sarebbe diventato da quel momento in poi era in I 400 Colpi.

Ad oggi sarebbe un coming of age, allora il sottogenere non esisteva ed era una di quelle cose che quel film non sapeva di stare fondando.

Mi è sempre sembrato che la vita di un adulto sia costellata di incidenti mentre quella di un ragazzo di misfatti” è il perfetto riassunto, fatto dallo stesso Truffaut, della sua visione dell’infanzia, ovviamente influenzata dalla propria. Una vita con una madre che non lo aveva desiderato e glielo faceva notare, un padre assente e nei migliori casi distante o infastidito da lui (è vero il fatto che per un furtarello lo consegnò lui stesso alla polizia chiedendo il carcere) e solo libri e film come consolazione. Così è la vita di Antoine, che dorme in ingresso in un letto ricavato, è lasciato a sé tutto il giorno, non ha certo intenzione di studiare e ce la mette tutta davvero per cacciarsi nei guai. Tanto anche quando fa qualcosa bene viene comunque represso, punito e accusato. Nessuno lo capisce davvero e lui non ha intenzione di farsi capire. Se comunque lo devono accusare tanto vale meritarsele le accuse.

Nonostante non abbia un tono rabbioso, I 400 Colpi è un film arrabbiato, che per reazione a tutto quello che viene girato e a come è trattata l’infanzia al cinema vuole essere radicale. I bambini non sono carini, non sono innocenti, non sono bambole. Antoine Doinel ha un suo mondo interiore diverso da quello di un adulto ma non meno complesso o degno, legge Balzac e ci si ispira per un tema ma viene accusato di plagio (una scena di metacinema in cui la citazione viene repressa, che potrebbe davvero stare in un film di Tarantino), ha dei gusti cinematografici, ha progetti anche se confusi e si forma delle idee sue.
Truffaut è stato talmente segnato dalla sua infanzia difficile che già filmava ragazzacci nei suoi primi corti (Les Mistons) e poi se ne occuperà per tutta la carriera.

Tuttavia nel 1959 questa cronaca dell’avere 13 anni nella Parigi degli anni ‘50, piomba sul cinema come una bomba a mano. Il film come nessuno ne aveva mai visti, che prendeva alla sprovvista tutti (e ancora accade vedendolo oggi), capace di scavare nel recondito, mostrare con una chiarezza indubitabile qualcosa di così intimo da non lasciare nessuno indifferente. Truffaut era stato per almeno 10 anni un vero ed autentico rompicoglioni a piede libero nel mondo del cinema, come critico aveva fatto nero tutto e tutti, era stato insopportabile (una volta piantò una grana incredibile per come erano messi i fiori davanti al palco del festival di Cannes) ma così intellettualmente sopraffino da influenzare i colleghi e guadagnare per sé una dignità intellettuale indiscutibile. Con i Cahiers Du Cinema (la rivista fondata dal teorico del cinema André Bazin) aveva dato vita a teorie sul cinema, su come dovesse essere e come andasse guardato, su chi fossero i veri maestri e quale invece fosse il cinema da dimenticare. I 400 Colpi viene da tutto questo e anche di più, viene da Jean-Pierre Léaud, protagonista 14enne scelto perché aveva una vita non diversa da quella di Truffaut, faccia da schiaffi e sguardo furbo.

Tutto ciò che oggi fa Tarantino Truffaut lo faceva per primo. Durante tutta la repubblica di Vichy i film dei paesi alleati non erano arrivati, la sua vita cinefila ne fu invasa dopo e si innamorò dei generi americani, dei noir e dei western ma anche dei suoi contemporanei più rivoluzionari come il Bergman di prima della svolta di Il Posto Delle Fragole. In I 400 Colpi (ma questo avverrà anche nei film successivi) cita tutto il citabile, Antoine va al cinema a vedere Paris Nous Appartient, ruba le foto di Monica e Il Desiderio (la cui inquadratura finale è citata per l’epica chiusa di questo film) e vive il rapporto con amici e classe come in Zero in Condotta di Jean Vigo (altro mito della sua vita cinefila, cineasta francese degli anni ‘30 morto a soli 29 anni).

I 400 Colpi mescola il cinema del passato e tira fuori quello che sarà il cinema del futuro, segnando assieme al contemporaneo Fino All’Ultimo Respiro (solo in modi completamente diversi) la nascita del cinema moderno. 60 anni fa creava per la prima volta un film in cui l’azione è funzionale ai personaggi e non viceversa come era regola. Nonostante avesse tantissimi maestri (Sacha Guitry, Hitchcock, Abel Gance, Jean Renoir e Rossellini di cui fu assistente alla regia per tre anni in cui non girò nemmeno un centimetro di pellicola ma lo stesso gli insegnò tutto) Truffaut crea un melange unico. Il suo protagonista è letteralmente in ogni scena e si muove tra uno stile semi-documentaristico e improvvise impennate di grande finzione (la scena del rotor, in cui il movimento, la foga, il caos sono un momento di felicità così sincero da commuovere; il tragitto nel cellulare della polizia con una sola singola lacrima poco illuminata che scende andando via). C’è umorismo che esplode senza preavviso come nei film di Kitano e momenti di grandissima leggerezza uniti alla ferma intenzione di fare un cinema per le strade, nelle case e sulla spiaggia (“L’unico che abbia mai avuto il coraggio di piantare un cavalletto sulla spiaggia è Roger Vadim” diceva in precedenza, da lì in poi lo faranno tutti).


Un film come non ce n’erano mai stati girato in modi nuovi, facendo un larghissimo uso dell’improvvisazione, concordando i dialoghi con gli attori (come fa oggi Matteo Garrone), sfruttando quello che si trova nelle location (come impose poi il Dogma negli anni ‘90), scrivendo bene ma lasciandosi moltissimi margini di adattamento. Truffaut si impone delle regole per non finire a fare il cinema che odiava, per essere sicuro di fare un cinema secondo le linee guida in cui credeva. Crea una storia che come Fronte Del Porto di Elia Kazan o come i film neorealisti si alimenta delle vere ambientazioni e vere facce, tuttavia si spinge più avanti e come nessuno di questi si apre all'astrazione con una corsa impossibile e metaforica ripresa di lato, un momento di incredibile elevazione e rarefazione. Impossibile da imitare, anche dallo stesso Truffaut.

Assieme a Fino All’Ultimo Respiro, I 400 Colpi diventa il metro di paragone del nuovo cinema. Raccontare una persona all’interno della sua quotidianità, non per quello che fa o per l’intreccio in cui è presa ma lasciando che siano i fatti e le singole scene a far emergere la sua personalità. Questo stile è diventato l’El Dorado di molti, in realtà raggiunto da pochissimi. Se oggi Richard Linklater gira film senza trama ma così vicini alla nostra intimità da spaventare, se Wes Anderson si permette un rapporto così vicino con i suoi personaggi bambini, se Matthew Weiner immagina una serie come Mad Men in cui non c’è l’azione ma solo personaggi, se Steven Spielberg ha filmato come ha fatto i bambini (e una volta è riuscito a far recitare Truffaut stesso, in Incontri Ravvicinati Del Terzo Tipo) è perché è esistito I 400 Colpi.

Non c’è nemmeno un film d’autore contemporaneo che, scavando, non debba qualcosa alla storia di quei mesi in cui Antoine Doinel fu cacciato da scuola, rubò una macchina da scrivere, finì in riformatorio per volontà dei suoi e ne fuggì finendo in una spiaggia, solo davanti al suo futuro. Non c’è film d’autore che non sogni di avere quell’impatto e non c’è finale sospeso che non guardi all’epica chiusa di questo film, uno schiaffo che afferma che la storia non conta nulla, non deve neanche finire: il personaggio, il mondo descritto, i sentimenti messi in scena sono tutto.

Truffaut avrebbe poi seguito il personaggio, sempre interpretato da Léaud in altri tre film e un corto, dando vita al primo franchise. Addirittura nell’ultimo (L’Amore In Fuga) il passato di Antoine è mostrato usando scene dei film precedenti come faranno tutti, non ultimo Avengers: Endgame.

Truffaut nella sua vita da critico ad un certo punto scrisse che “Quarto Potere è probabilmente il film che ha stimolato più vocazioni da regista”, non poteva sapere che in questa particolare classifica il suo film lo avrebbe battuto.

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