50 anni dalla scomparsa del Principe della Risata: De Curtis vs. Totò

Il 15 aprile 1967 ci lasciava Antonio De Curtis in arte Totò. Lo ricordiamo cercando di trovare un flebile erede del geniale guitto, poeta, cantautore e genio della comicità italiana.

Condividi

Mito

Il ragazzo nato nel 1898 e cresciuto per i vicoli di Via Santa Maria Antesaecula è diventato un idolo indiscusso del secolo scorso e oggi, nel giorno in cui celebriamo i 50 anni dalla scomparsa del Principe della Risata nato Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfiro-genito Gagliardi de Curtis di Bisanzio ma più conosciuto come Totò, ancora ci chiediamo che tipo di relazione sia presente tra il Principe e il Popolano, l'Artista e il Guitto, l'Uomo e la Maschera.

Totò

Cominciò con la commedia dell'arte del Pulcinella interpretato da Umberto Capece, il quale, da Pulcinella, dominava il blando canovaccio mentre il nostro aspettava il suo turno di frizzi, lazzi... e botte (Pulcinella picchiava spesso i comprimari maschi). Poi il varietà, poi la rivista (diretto dallo stimato Michele Galdieri e al fianco di una certa Anna "Annarella" Magnani), poi la crescita extra farsa del Teatro Nuovo di Napoli dove si mettevano in scena i testi di Eduardo Scarpetta, un assaggio di operetta e infine quello che lui chiamò, fine agli ultimi giorni, il cinematografo. Quando Totò irrompe davanti alla macchina da presa è già famosissimo ed è già il caos. L'attore ha movimenti veloci, un eloquio di complessità vertiginosa e il profilo sempre più definito in mente e nel corpo di una maschera di popolano ambizioso e senza scrupoli anche se ai tempi del secondo film Animali Pazzi (1939) ancora lo vediamo ingessatissimo nei panni del Barone Tolomeo de' Tolomei sotto la guida registica del futurista Carlo Ludovico Bragaglia in coppia con il fratello Anton Giulio. Ci sono anche il surreale Achille Campanile al soggetto (reputava Totò superiore a Chaplin) e il produttore fan Gustavo Lombardo, primo scopritore del nostro grande talento sugli schermi della settima arte. San Giovanni Decollato (1940), su segnalazione di Cesare Zavattini, viene offerto in sostituzione a colui che a teatro funziona e al cinema no. Può essere l'ultima chance dopo due flop consecutivi. Questo successone, invece, crea tutto il resto.

Principe

Totò crea la maschera delineandola sempre di più (viene dal popolo, ama le donne, è cattivo nel senso di senza scrupoli, vive di individualismo, è così figlio della fame che è disposto a inganno e tradimento) ma a differenza di Chaplin e Keaton si comporta più come una star che non come un autore. Laddove suoi colleghi stranieri decidono di entrare in possesso dello scranno da regista, il nostro opta per la recitazione e basta. Intendiamoci: una recitazione di scrittura (Sergio Corbucci ricordava sempre che il copione di un film medio con Totò era fatto così: "Entra in scena Totò... frizzi e lazzi"; quindi il regista doveva dare l'azione... e basta) ma sempre motivata da una sorta di tendenza alla bulimia che poi da vecchio lo porterà a guardarsi indietro con fin troppo spirito autocritico per colpa di quelle stagioni da sei film all'anno. Sentitelo qui: "Sono ormai all'età in cui si tirano le somme e non ho fatto nulla. Sarei potuto diventare un grande attore, e invece su cento e più film che ho girato, ve ne sono di degni non più di cinque. Ma anche se fossi diventato un grande attore, cosa sarebbe cambiato? Noi attori siamo solo venditori di chiacchiere . Un falegname vale certo più di noi: almeno il tavolino che fabbrica resta nel tempo, dopo di lui".
Non siamo d'accordo con un Principe così spietato con se stesso in una delle ultime interviste concesse prima della morte quel 15 parile di 50 anni fa. Su 97 film interpretati almeno 20 sono degni di nota da San Giovanni Decollato a Uccellacci e Uccellini (1966) di Pier Paolo Pasolini, passando per Guardie E Ladri (1951), Totò A Colori (1952), Totò, Peppino... e la Malafemmina (1956) e ovviamente I Soliti Ignoti (1958; la maestria di Monicelli nell'ergerlo a guida, anche nella storia, di un cast di giovani talenti della esplosiva commedia all'italiana).
"Io sono De Curtis e lui è Totò. Lui fa il pagliaccio, il buffone. Io no. Io sono una persona perbene. Io mangio nella stanza da pranzo e lui sta in cucina. L'ho schiavizzato. Lui lavora e io mangio" diceva a Lello Bersani nella storica, e molto moderna per l'epoca, intervista Rai effettuata all'interno della sua magione nel lontano 1963. Pier Paolo Pasolini, certamente, gli dà una grande gioia scritturandolo a quasi 70 anni per quella parte così "francescana" e in sottrazione rispetto alle smorfie e macchiette di Totò dentro Uccellacci e Uccellini, pellicola numero 94 delle 97 interpretate e bella chiusura di una carriera straordinaria.

Legacy

Oggi siamo molto interessati al parallelismo con la maschera più popolare del nostro presente: Checco Zalone. Un nome che potrebbe comparire nel titolo (come accadde al Principe già a partire da Totò al Giro d'Italia nel 1948) e una ferocia individualista inizialmente spregevole (il Checco di Cado Dalle Nubi è veramente cattivo e meschino) per poi diventare negli ultimi film aperta a revisioni (rispetto per la donna) e rivoluzioni (senso di appartenenza non alla tanto desiderata classe dirigente ma al Terzo Mondo). Non ci sogneremmo mai di mettere già vicini un grande maestro della comicità con un giovane collega italiano ma è in Checco Zalone che scorgiamo, più che in altri, i tratti dell'eredità di De Curtis. Anche lui è una maschera feroce e famelica ben rappresentate di un certo momento storico vissuto dal nostro paese. A 50 anni dalla scomparsa di un artista anche poeta ('A livella) e cantautore (Malafemmena), forse vediamo in questa maschera pugliese in pieno percorso comico e autocritico un flebile e provvisorio erede dell'unico e inimitabile Principe della Risata.

Continua a leggere su BadTaste