Le 5 scene in cui La La Land sovverte i pregiudizi sui musical moderni

La dialettica maggiore in La La Land è interna al film, quella tra essere un film vecchio stampo e lottare per la propria modernità

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
Spoiler Alert
La La Land non desidera vivere nel passato del cinema, non ha la mania citazionista o lo spirito da cinefilo spinto che gli fa bramare di essere un vecchio film. La La Land vuole quelle sensazioni che quei film generavano, e le vuole oggi, vuole tradurre e non rimettere in scena a modo proprio. Per questo a fronte di una struttura e alcune scene fieramente classiche, prese di peso dal libro mastro di come si fa un musical ad Hollywood, è anche colmo di colpi di scena, decisioni e idee imprevedibili, di uno stile e di punti di inquadratura modernissimi.

Abbiamo radunato qui i 5 momenti in cui, alla seconda visione dopo quella veneziana, il film di Damien Chazelle ha di nuovo impressionato, ha mostrato cioè una destrezza non comune nel creare un immaginario nuovo, sparigliare le carte, dimostrarsi più complesso della media e indipendente dal peso di alcune regole scritte del musical classico. I punti in cui devia dalla strada battuta con espedienti inconsueti che fanno la differenza.

Da qui in poi è tutto un tripudio di SPOILER.

L’inizio

Il film si apre con un numero musicale su uno dei due temi portanti, Another Day Of Sun. Come insegna Hitchcock lo spettatore non è mai vergine, quando il film inizia già sa cosa sta per guardare, cosa accadrà e che tono avrà, ha visto i trailer e i cartelloni, si è informato o comunque è stato attirato in sala con una certa promessa. Quella di La La Land è una promessa di tradizione e non c’è niente di più spiazzante di un inizio su quella che pare la tangenziale di Los Angeles (in realtà è un cavalcavia sulle freeway 105 e 110). Traffico, auto, molta musica dalle radio, sole e frustrazione urbana. Nulla di più moderno e meno favolistico, di più gretto e materiale ma intimamente losangelino (la città delle auto), che diventa numero musicale. È l’unico brano in cui non ci sono i protagonisti, coinvolge tantissime comparse ma non i due personaggi che vedremo nel film (eppure sono lì), è solo il coro, lo sfondo, il mondo in cui si muovono ad essere annunciato. Un mondo moderno e concreto che nasconde dentro un camion ma anche nei vestiti pantone dei presenti l’essenza del musical: un dolly verso l’alto che non ha paura di inquadrare quanto di meno poetico ci sia e renderlo poesia.

L’attesa dell’appuntamento

I musical classici vivono in una dimensione eterea, piegano la realtà contaminandola di balli e canti che non ci sono, allegorie di quello che i personaggi provano, e quindi hanno anche emozioni molto basilari, note e annunciate. Di questo fanno un’arte, non della sfumatura. Con un passaggio di grande montaggio e ottima narrazione invece Chazelle inserisce nel suo musical emozioni complicate che solitamente non sono raccontate nei film musicali e appartengono più alle commedie romantiche indipendenti. Un esempio ottimo è quando una promessa rischiara una giornata intera, non con un dialogo ma con un’inquadratura.
Un provino importante è andato molto male, c’è solo frustrazione in Mia ma passa davanti al cinema che proietta Gioventù Ribelle, ricordandosi che quella sera stessa lo andrà a vedere con il suo pianista che ancora non ha baciato, e tutto cambia.
Con un gioco di messa a fuoco leggiamo il titolo del film e vediamo lei, la camera è un po’ ribassata per far entrare anche il sole dietro i palazzi e illuminare in controluce i capelli di Emma Stone mentre senza parole cambia mood. Non c’è musica ma è come se ci fosse, è una coreografia di recitazione e montaggio interno (lo sfondo che si muove e cambia) in cui non bisogna sbagliare i tempi, un’operazione di una precisione chirurgica per un risultato sentimentale.

Il contrasto tra tradizione e innovazione

I musical molto spesso raccontano di artisti o di spettacoli che devono essere messi in piedi, raccontano della nascita del cinema sonoro o semplicemente di qualcuno che desidera realizzare il suo sogno artistico. Sono un modo attraverso il quale il cinema riflette sullo stesso spettacolo che sta mettendo in scena, sul suo ruolo, in cui si celebra e si critica, si prende in giro e si esalta. La La Land ha molto chiaro di cosa voglia parlare: di come esso stesso sia un film tradizionale, attaccato ad una forma d’arte morente (il musical come il jazz, il cinema di una volta che nessuno fa più) ma ossessionato dal non voler essere solo nostalgico. Questa dialettica è la stessa che anima Sebastian, che non vuole far morire il jazz, che è un purista e sa che quella cosa lì è ancora moderna è ancora in grado di sconvolgere, ma al tempo stesso non sa cosa rispondere al suo amico che gli dice che tutti quelli che lui ammira (Thelonious Monk, Kenny Clarke…) erano rivoluzionari e come può lui esserlo se invece fa così tanto il tradizionalista?

Chazelle poteva accontentarsi di celebrare il grande jazz, sarebbe andata benissimo (Chicago lo fa, per dire) e nessuno si sarebbe aspettato di più da un musical simile, ma il desiderio di rendere La La Land un’opera moderna, complessa e piena di sfumature lo porta ad ammettere nell’equazione anche l’altra campana. Più che in Whiplash questa passione rivolta indietro porta con sé dei problemi e, come il film stesso, è bilanciata da una sana tensione in avanti.
Accade così che se Sebastian afferma che il jazz non deve morire, John Legend dice l’esatto contrario e tra le due cose non ci sarà alcuna soluzione.

Il provino finale

La parte più difficile di mettere in scena due persone con grande talento è che questo talento si deve percepire, deve essere credibile. Così se Chazelle evita furbamente di mostrare lo spettacolo di Mia che solo in pochi vedranno (ma che farà colpo su una direttrice casting), non può sfuggire al grande provino. Dopo aver preso in giro i provini precedenti, rompendo l’emozione di una telefonata commovente con l’entrata di una comparsa (ma a noi ci aveva già distratto quando la comparsa, appare sfocata sullo sfondo), non facendo quasi nemmeno cominciare Emma Stone oppure utilizzando un montaggio ridicolo di tanti ruoli diversi, al momento del dunque sceglie di dare la dignità del numero musicale ad un racconto personale e ne esce una chicca di recitazione e canto. Necessariamente intimo e aiutato dalle armi del musical (i cambi di luce, la scenografia che sembra cambiare). Il concetto stesso di provino centrato.

La vita che non abbiamo vissuto insieme

Arriviamo così al finale, dopo un film che si misura sui colori più lieti e le note più alte, le canzoni più ritmate e un senso solare dell’amore, La La Land chiude con grandissima amarezza, affermando, come già Whiplash, l’impossibilità di conciliare soddisfazione nella vita privata e soddisfazione professionale. Per farlo unisce un classico del musical, cioè il racconto rapido di tanti eventi attraverso la corsa dei personaggi da una scenografia all’altra, attraverso impossibili cambi d’abito e scenette teatrali. Per lui però non è un racconto come altri, è la piccola melodia che Sebastian suona a Mia, evocando la vita che non hanno mai vissuto insieme. Un medley di tutti i brani sentiti nel film, assieme a versioni alternative di tutte le scene che abbiamo visto. Come nel finale di Monsters & Co., in cui un ingenuo musical ricostruisce in maniera naif la storia che abbiamo visto, così questo La La Land alternativo costruisce una storia molto più simile a quella dei musical classici, organizzata in numeri musicali molto più simili a quelli dei musical classici, che tuttavia non è mai avvenuta e mai avverrà. Perché questo non è un film di quelli lì e qui viene affermato senza esitazioni.
Nel momento che vedete qua sotto, quello in cui invece che ad una platea deserta (e senza Sebastian) Mia mostra il suo spettacolo ad un folto pubblico (tra cui c’è Sebastian), notate come con due colpi di fotografia Chazelle direzioni l’attenzione dello spettatore su una sola persona nella folla (per l’appunto Ryan Gosling). Vestito più chiaro di tutti, come un punto luminoso nella folla, e poi in piedi prima degli altri. Tra tutti guardiamo solo lui spontaneamente.

Continua a leggere su BadTaste