5 cose giuste che tutti amiamo dire su Mel Brooks

Sulla carriera di Mel Brooks è già stato detto tutto. Non resta allora che ribadire cinque cose che già si sanno ma che sono sempre giuste

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Mel Brooks ha ricevuto qualche giorno fa l’Oscar alla carriera e ha ringraziato l’Academy perché sentiva la mancanza della statuetta dato che l’altra l’aveva venduta. Erano tempi difficili. A 97 anni, accompagnato sul palco da Nathan Lane e Matthew Broderick (insieme hanno portato a Broadway con successo la versione teatrale di The Producers), è parso commosso. O forse, quando si è soffiato il naso a favore di microfono, era solo l’ennesima burla di una mente che non riesce a non pensare divertente. 

La comicità non è un genere, è uno stile di vita, un modo di intendere le cose. Mel Brooks è l’esponente di maggior rilievo di chi per scelta e quasi per politica, ha deciso che tutto può essere deriso. Se il non prendersi sul serio fosse una religione, Mel Brooks sarebbe il gran sacerdote del cui verbo è già stata fatta esegesi. Così, di fronte all'ennesimo premio, non c'è nulla di nuovo da aggiungere. Si può commentare solo con alcune frasi fatte che tutti amiamo dire su Mel Brooks. Sono cinque cose giuste. Le ripetiamo volentieri.

Non ha più bisogno di premi ma gliene darei ancora

Benvenuti nella ristretta cerchia dell’EGOT: Emmy, Grammy, Oscar, Tony Award, i quattro premi più importanti dello spettacolo sono stati vinti da sole 19 persone. Nell’eccezionalità della cosa, Brooks è ancora più clamoroso. Gli Emmy vinti sono ben quattro, tre i Grammy e tre Tony Award.

A Mel Brooks non serviva un Oscar alla carriera per entrare in questo piccolo club. Con Frankenstein Jr. ricevette la nomination come Miglior sceneggiatura adattata senza vincerla (ci rendiamo conto?) e quella a Miglior canzone per Mezzogiorno e mezzo di fuoco. L’ambìto premio gli venne consegnato alla sua prima opera, Per favore, non toccate le vecchiette, come Miglior sceneggiatura originale. Gene Wilder ricevette la nomination a Miglior attore non protagonista per lo stesso film senza vincere. 

Eppure il premio a questa carriera straordinaria sembra giustissimo e per nulla ridondante. Non tanto perché lui ne abbia bisogno. Semmai perché, in questa fase della storia dell’audiovisivo in cui si fa così fatica a scrivere la commedia, a prendersi in giro, e a riconoscere il valore di una risata ben scritta e girata, suona come un augurio all’industria intera.

Ha cambiato la parodia per sempre

Mel Brooks ha cambiato la parodia portandola alla sua forma migliore. Il genere non gode di buona salute nel cinema odierno, si è trasferito fuori dal grande schermo, e si affida al lavoro amatoriale degli spettatori online. Quasi mai gli autori di oggi sono in grado di prendere il lavoro altrui e deformarlo. La sua rivoluzione si è quindi un po’ spenta. Oggi i blockbuster si prendono in giro al loro interno, con un umorismo integrato nei personaggi, per la parodia c'è poco spazio.

Mel Brooks non va ricordato solo per la parodia. È il produttore di opere come The Elephant Man di David Lynch e La mosca di David Cronenberg che dimostrano quanto sia un uomo di cinema a tutto tondo. Scopritore di talenti, quando ha rivelato quello comico di Gene Wilder gli si è aperto un mondo di possibilità. 

La conoscenza dei meccanismi del racconto gli permette di muoversi nelle strutture dei generi, ricalcarle con precisione per deformarne i momenti topici e burlarsi di essi. A differenza di molte parodie le sue sono testi autonomi, che reggono anche senza conoscere il materiale di partenza (posto che qualcuno possa non conoscere ad esempio Star Wars o Robin Hood). Sono film, prima di tutto. Non sudditi a nessuno. La dinamica è la stessa: Brooks prende il potere, il pensiero dominante malvagio, e lo deride. Allo stesso modo fa con le storie e gli immaginari che più hanno attecchito e li riporta a livello risata. 

Mel Brooks si valuta su quanto fa ridere

Lo scriveva Gabriele Ferrari parlando di Robin Hood - Un uomo in calzamaglia. Il metro che si adotta nel valutare questi film è difficilissimo e soggettivo: quanto fa ridere? Più fa ridere, meglio è. Ci sono dei problemi però.

Dove mettiamo la soggettività? Ci sono film considerati unanimemente divertenti che però possono non incontrare il senso dell’umorismo di una manciata di persone. Il loro parere non conta? Si valuta a maggioranza? Come essere oggettivi? Il concetto di divertente poi cambia insieme al mondo e con l’età di chi guarda. 

Il modo più semplice è classificare questa filmografia sulla base di quanto fa ridere. C’è però anche un altro metodo che si può adottare. È più attuale e più efficace per osservare il modo in cui questi film sono invecchiati: valutare i film su quanto sono citati

La comicità invecchia, le citazioni restano. “Sono circondato da stronzi!”, “Lupo ululà e castello ululì” “Potrebbe essere peggio. - E come? - Potrebbe piovere.” Mel Brooks è una fonte inesauribile di battute intramontabili. Merito anche anche delle ottime traduzioni italiane che talvolta sono dei miracoli di adattamento.

Non si possono fare più i film come Mel Brooks

Per certi versi è vero. Nemmeno ad avere un nuovo Mel Brooks più giovane. Per lo meno così sostiene il regista stesso. 

Mel Brooks ha una correttezza politica tutta sua, ma molto chiara. Oggi è l’esponente di maggior rilievo in difesa di una comicità libera contro il cosiddetto "politicamente corretto" che pare mettere in difficoltà molti comici. Quando gli è stata posta la domanda, ha risposto in maniera molto chiara:

Non penso sarei riuscito a fare i miei film al giorno d’oggi, non so, magari Frankenstein Junior, ma Mezzogiorno e Mezzo di Fuoco no, perché siamo diventati stupidamente politicamente corretti e questo rappresenta la morte della commedia.

Oggi le commedie di Mel Brooks arrivano come un pugno in faccia per una scorrettezza che ha due origini: la prima è una giusta sensibilità progredita verso alcune rappresentazioni o l’uso di certe parole che rende imbarazzante ridere ascoltando termini oggi offensivi (Mezzogiorno e mezzo di fuoco ne è un esempio). È normale che questo avvenga, cambia il mondo, cambiano anche la percezione della comicità. La seconda ragione è però la forza di alcuni passaggi satirici e la libertà con cui venivano condotti che si tramutava nella forza in cui arrivano al pubblico.

In fondo, come lui dice, “il buon gusto è il nemico della commedia”. 

Combatte, a modo suo, con la commedia

Mel Brooks ha dei nemici che distrugge con arguzia graffiante. Hitler è uno di quelli. In generale lo è il pensiero di odio. Per favore, non toccate le vecchiette è devastante, netto, e complesso nel modo in cui la commedia neonazista al centro del film diventa un’arma di dileggio che non lascia scampo. La commedia è spesso erroneamente associata a un genere innocuo, non è così per i suoi film. Brooks condivide lo stesso spirito attivista, la stessa convinzione che i film contino qualcosa, che possiedono anche i registi drammatici. Loro lo fanno con le lacrime, lui con le risate. 

Il fatto che oggi sia alla soglia del secolo di vita ancora impegnato a combattere per la salute della comicità è la dimostrazione di quanto, per lui, sia un ingranaggio fondamentale nei discorsi della società. 

Carl Reiner diceva di Brooks: “Adoro il fatto che sia l’unico al mondo che ha osato fare a Hitler quello che Hitler ha fatto agli ebrei, lo ha decimato prendendolo in giro”. L’ex soldato Mel Brooks (ha servito nella seconda guerra mondiale) non combatte solo la banalità del male con il suo umorismo, bensì anche la banalità della vita. 

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