30 giorni di buio è bello anche senza i vampiri

30 giorni di buio è un survival movie che funzionerebbe anche senza vampiri (ma con i succhiasangue è meglio)

Condividi
30 giorni di buio va in onda questa sera su Italia 2 alle 21:15 e in replica domani sera alle 23:20

Tratto da una miniserie a fumetti scritta da Steve Niles e illustrata da Ben Templesmith e diretto da David Slade, 30 giorni di buio è uno dei più bei film di vampiri degli ultimi vent’anni. Abbiamo usato l’aggettivo “bello” invece di “migliore” o “più riuscito” non a caso: al netto di qualche inevitabile difetto che lo appesantisce proprio quando dovrebbe spiccare il volo, 30 giorni di buio non è solo un gran film di vampiri, ma è anche, forse soprattutto, un’esperienza visiva mozzafiato, basata su un’idea semplicissima che però funziona perché viene sviluppata in una delle ambientazioni più inospitali e assurde che rimangano sul pianeta. E che funzionerebbe anche se a un certo punto non entrasse in campo un branco di vampiri famelici – una scelta che comunque, a scanso di equivoci, appoggiamo di cuore.

30 giorni di buio è stato girato anche in Nuova Zelanda, ma è chiaro che il cuore di tutta l’esperienza sta in quella che non è solo la sede della maggior parte delle riprese, ma anche la città dove è ambientato il film. Parliamo della piccola città di Utqiaġvik, che fino al 2016 portava lo stesso nome con cui è presentata nel film: Barrow, in Alaska, poco più di 4.000 abitanti per quella che è la città più settentrionale degli Stati Uniti d’America e una di quelle più a nord del mondo – talmente a nord da essere più a nord anche del Circolo Polare Artico.

[caption id="attachment_482673" align="aligncenter" width="1400"]30 giorni di buio Alaska Prima...[/caption]

Tutti gli anni, intorno alla fine di novembre, Barrow va incontro al fenomeno che è quello che ha dato l’ispirazione per il film: la notte polare, ossia un periodo di più di 24 ore durante il quale il sole non sorge ma rimane sotto l’orizzonte (questa è una foto di Longyearbyen, nelle Svalbard, durante una di queste notti infinite). Nel film di Slade, questa notte dura 30 giorni, un mese esatto; immaginiamo che sia per fare cifra tonda o perché “30 giorni” suona bene, altrimenti non ci spieghiamo come mai non si sia scelto di rimanere aderenti alla realtà: gli inverni senza sole a Utqiaġvik non durano 30 giorni ma ben 66. Non si tratta nemmeno dell’unico record della città, che è anche una delle più nuvolose del mondo, che ogni mese viene spazzata da venti gelidi che sfiorano i 100 km/h, che non ha mai registrato una temperatura superiore ai 26 °C (la media di luglio, il mese più caldo, è di 18 °C) e nella quale sono stati registrati anche -56 °C durante l’inverno.

[caption id="attachment_482674" align="aligncenter" width="1400"]Alaska ... e dopo[/caption]

Tutti questi dati meteorologici ci servono per dire che l’idea di prendere un gruppo di persone che si conoscono bene e si portano sulle spalle frizioni e rancori di ogni genere e di intrappolarle a Barrow (da qui in avanti useremo il nome usato nel film) per un intero mese di buio, costringendole a collaborare per sopravvivere, è già di per sé lo spunto per una storia di sopravvivenza. E le prime scene di 30 giorni di buio ci fanno intuire come sarebbe potuto essere un film del genere: campi lunghissimi su spianate di ghiaccio e silenzi altrettanto lunghi, e una minuziosa esplorazione di tutto ciò che rende la vita in un luogo così estremo diversa da quella a cui siamo abituati. A Barrow d’inverno non esistono le strade, solo campi di neve più o meno battuti e più o meno percorribili (meno, a giudicare dal modo in cui Stella/Melissa George rimane intrappolata in città contro la sua volontà per il mese senza sole); e ogni mese di novembre la cittadina conosce un vero e proprio esodo, con gli abitanti più fragili fisicamente o mentalmente che salgono sull’ultimo pullman o sull’ultimo aereo per Anchorage.

E ancora: si conoscono tutti, inevitabilmente, tanto che uno straniero che mette piede in città (Ben Foster) non può sperare di passare inosservato più di qualche minuto. E sono più o meno tutti armati: non per difendersi da altri esseri umani, ma più probabilmente per tenere alla larga lupi e orsi. La sensazione più forte trasmessa dal primo atto di 30 giorni di buio è che sopravvivere a Barrow sia un’impresa, e l’equilibrio che tiene insieme la città sia fragilissimo, e possa spezzarsi in mille modi diversi – basta distrarsi un secondo. E che la popolazione lo accetti perché in cambio ha il privilegio di vivere in un luogo incredibile, e anche di venire lasciata in pace dal resto d’America, che a malapena nota la loro esistenza.

Vampira

Ovviamente nel film tutto questo crolla nel momento in cui un branco di vampiri arriva in città e costringe i pochi superstiti a barricarsi in casa e a sopravvivere in attesa della prima alba del nuovo anno; ma l’impressione è che, se al posto di vampiri avessimo avuto dei lupi, o anche semplicemente un guasto irreparabile alle linee elettriche, 30 giorni di buio sarebbe comunque stato un fantastico survival movieLa cosa di Carpenter insegna quanto un’ambientazione glaciale possa contribuire alla buona riuscita di un film. Ripetiamo quanto detto sopra: non ci stiamo lamentando dei vampiri! Anzi, quelli di Slade (che grazie a questo film passerà a giocare con i succhiasangue ad alto budget dirigendo il terzo capitolo di Twilight) sono particolarmente efficaci, perché sono bestiali, violenti, aggressivi e senza alcuna forma di pietà; sono mostri da film horror più che affascinanti nobili transilvani che prima ti seducono e poi ti prosciugano, e sono quindi molto più adatti alla gelida cittadina che hanno deciso di trasformare in un fast food. Sono però un gradevole di più, la ciliegina su una torta che ha il suo cuore in Josh Hartnett, Melissa George e il loro ruolo di “genitori de facto” dell’intera città.

Peccato solo che, man mano che passano i giorni e si avvicina il momento dell’alba e quindi della salvezza, 30 giorni di buio si appesantisca un po’ e tenda un po’ troppo alla ripetizione: c’è un numero limitato di cose che puoi far fare ai tuoi personaggi, e il fatto che Slade diriga l’azione privilegiando la confusione e non mollando mai di un millimetro sul buio è sicuramente una scelta condivisibile, ma con l’effetto collaterale che tutte le sequenze horror si assomigliano tra loro. Gli si perdona anche questo, comunque, e se avete presente il, chiamiamolo così, combattimento finale sapete già perché.

Josh Hartnett

Peccato solo che quanto venuto dopo (il sequel, le due miniserie) si sia rivelato non all’altezza di quanto di buono fatto in 30 giorni di buio: sarebbe potuto diventare un franchise sviluppabile all’infinito, e invece rimane “solo” un gran film di vampiri. Se doveste decidere di recuperarlo, vi consigliamo il double bill con Frostbiten, un film di vampiri ambientato in una cittadina svedese durante la notte polare; tenete solo conto che, rispetto al serissimo 30 giorni di buio, Frostbiten ha anche una marcata vena comica, per cui scegliete se partire con le risate per finire con il dramma oppure se fare il percorso inverso.

Continua a leggere su BadTaste