30 anni dopo Pretty Woman è un film impossibile da rifare
Due modi di vedere il mondo rendono Pretty Woman bello se contestualizzato nei suoi anni ma impossibile da rifare oggi
Nonostante si basi su una storia molto più vecchia del film (quella di My Fair Lady e del mito del pigmalione), nonostante sia uno degli incassi più grandi per la Disney (il suo maggiore se si considerano solo i film Rated R, cioè vietati ai minori di 17 anni, e difatti proposto sotto il banner Touchstone) e a tutt’oggi sia una continua fonte di ascolti televisivi, un mito che non muore e il film più importante delle carriere di Richard Gere e Julia Roberts, lo stesso oggi è una produzione impensabile.
Il film è invecchiato bene ma i suoi elementi di successo sono un concentrato di tutto quello che è cambiato nella rappresentazione della donna e del capitalismo.
[caption id="attachment_442197" align="aligncenter" width="1400"] "It's alla about the money"[/caption]
La prima scena, quella che apre il film, non è una che ci illustra i protagonisti, non è una che introduce New York, né una che mostra la prostituzione, è un prestigiatore che gioca con delle monete e le moltiplica con abili trucchi sottolineando con la voce che “si tratta sempre di una questione di soldi”. Tutto il film è una questione di soldi, non tanto una storia di cosa faccia il denaro agli esseri umani (che sarebbe di certo più critica) ma una storia di cosa gli esseri umani debbano fare per meritare il denaro. Contrariamente alla vulgata che vuole Pretty Woman come una Cenerentola moderna, non c’è niente di quella favola, non c’è cioè nulla della storia di una ragazza nobile e ricca decaduta che ritrova uno status importante incontrando in modi rocamboleschi un principe. C’è invece la storia di una ragazza senza soldi che incontra rocambolescamente una specie di principe ma deve lavorare sodo per meritarsi quei soldi, come mostra la scena dello shopping in cui, vestita com'è non viene ritenuta adeguata a comprare in certe boutique.
Pretty Woman racconta un ascensore sociale con un’estetica da pubblicità anni ‘80 che è il segreto del suo successo, perchè rende molto glamour e inoffensiva la prostituzione, attenua la differenza tra periferia e quartieri alto, mitiga lo stigma sociale della prostituzione. E non è un caso ma un ordine diretto di Jeffrey Katzenberg, all’epoca boss della Disney, che aveva preteso che lo script intitolato 3000 di J. F. Lawton (uno che poi ha scritto Trappola in alto mare, Dead or Alive e diversi altri film d’azione) venisse ribaltato in una versione rosa e divertente. 3000 era in realtà una storia drammatica di dipendenza dalla cocaina, di prostituzione dura che non finiva bene. Era quello, più o meno il ruolo rifiutato da moltissime attrici più importanti di Julia Roberts (che importante non lo era per niente) e finito alla fine a lei. Un ruolo ostico per nulla facile, che spingeva sugli aspetti peggiori della prostituzione.
Eppure nella coppia è solo lei a muoversi, solo lei ha un arco narrativo, solo lei ha difficoltà da superare, Richard Gere, più che altro sta fermo: “In questa coppia c’è una persona che fa e una che non fa, indovina quale sei tu?” disse Gary Marshall a Richard Gere dopo i primi giorni di riprese per spiegargli che non stava interpretando bene il personaggio, che era troppo dinamico e troppo attivo.
Questa è la storia di come una donna fatichi e in modi calvinisti si dimostri degna del colpo di fortuna capitalista che le è capitato. Una storia che tratta la ricchezza come negli ultimi anni il cinema ha trattato i super-poteri, come qualcosa di eccitante che il pubblico deve guardare e di cui deve godere mentre vede la protagonista goderne. La deve guardare il pubblico e la deve guardare il suo uomo. Che è il secondo problema che impedisce al film di poter essere rifatto. Ovvero non tanto la posizione della donna (una volta tanto attiva, dinamica, protagonista e con tutti i limiti del caso artefice del proprio destino) ma lo sguardo del film e degli uomini del film su di lei. Pretty Woman dimostra una concezione diversa da quella moderna della donna nella maniera in cui la guarda. Per tutto il film Julia Roberts è un oggetto da ammirare, un oggetto sessuale chiaramente (perché è così che entra in scena ed è per quella ragione che rimane attaccata al suo miliardario).
Ribaltando per un momento la prospettiva e immaginando che sia Edward, cioè Richard Gere, il protagonista, Pretty Woman è la storia di come un ricco abbia acquistato il suo bene più prezioso. Lungo tutto il film ci sono innumerevoli scene in cui la guarda come si guarda un oggetto, un quadro o qualcosa da bramare. Mentre vediamo dei primi piani di lui (stretti, che inquadrano il volto e sottolineano come stia guardando) i controcampi sono del corpo a figura intera di lei. La scena della fellatio non mostrata davanti alla tv è la più clamorosa ed evidente, ma è una modalità di rappresentazione dello sguardo che si ripete lungo tutto il film. In effetti è lo sguardo del film su Julia Roberts. Quando non godiamo con lei per il fatto che ha disponibilità di denaro e frequenta ambienti altolocati, godiamo con lui nel vedere lei, nell’averla acquistata aprendole le porte di un mondo di ricchezza.
https://www.youtube.com/watch?v=VboEH2dHfLo
Questa specie di remake di Wall Street modellato sulle commedie romantiche (di quel film riprende sia il culto del denaro sia l’uso del pigmalione per farsi strada nei quartieri buoni di New York), a 30 anni dalla sua uscita ci mostra cosa il cinema abbia voluto cambiare. Mettere le donne protagoniste è una questione importante ma non necessariamente filmica, è una questione di nomi in cartellone e potere nell’industria, di attrazione di un pubblico femminile e via dicendo. Ciò che più profondamente è cambiato è il fatto che le donne non siano più guardate e ammirate dagli uomini loro pari nei film cui partecipano, o almeno non più di quanto non facciano loro.