30 anni di Quattro sottozero: l’ABC del film sportivo per i bambini degli anni ‘90
Quattro sottozero contiene l'essenza degli anni '90, l'ottimismo per famiglie e la comicità di un film che sembra un cartone animato
Trent’anni fa usciva Quattro sottozero, noto anche con il titolo originale di Cool Runnings. Un film sportivo per tutta la famiglia, una storia edificante di “differenze” e “diffidenze” (scusate) vinte dalla bellezza della competizione delle Olimpiadi che unisce popoli e persone. Banalissimo e didattico, Quattro sottozero è pienamente figlio della sua epoca e lì è rimasto. Non si può dire che sia invecchiato, perché non si riesce mai ad attualizzarlo all’oggi. Il film di Jon Turteltaub è rimasto fermo lì, come un cimelio nostalgico dell’ottimismo targato 1993.
Lo spunto è quello delle Olimpiadi invernali del 1988 in cui debuttò la prima squadra giamaicana di bob. Inizialmente il film avrebbe dovuto avere un tono più serio nell’adattare i fatti. Si partì con la produzione solo quando si trovò la chiave giusta: quella della commedia, strampalata e un po’ slapstick, basata sull’innesco comico del pesce fuor d’acqua. O meglio, dei quattro sul ghiaccio. Un’impresa sportiva da pazzi in cui il gruppo, dato perdente in partenza, ha la possibilità di dimostrare che si può anche vincere… in modo diverso.
Il problema: chi è il vero protagonista?
Non è il caso di parlare di Quattro sotto zero solo per come gli atleti neri sono rappresentati nel film, però un accenno va fatto. Perché a conti fatti il vero protagonista (e mattatore del film) è l’allenatore "Irv" Blitzer, interpretato dal mitico John Candy. Questo fu il suo ultimo lavoro completo, dato che morì da lì a poco. Irv è un ex campione di bob che possiede anche l’arco narrativo migliore. È bianco, vive in Giamaica come se fosse in esilio per via di un peso che porta con sé da parte della comunità sportiva. L’infamia di avere vinto barando.
Un gruppo di velocisti sui 100 metri manca la qualificazione inciampando l’uno sull’altro. Determinati ad andare comunque alle Olimpiadi, provano a cambiare sport, coinvolgono Blitzer e cercano di diventare campioni di bob. Inizialmente Disney voleva nel cast star del calibro di Denzel Washington, Eddie Murphy, Wesley Snipes e Marlon Wayans. Non riuscirono a ingaggiarli e optarono per volti meno noti. I quattro atleti sono ripresi però con quella “simpatia esotica” che oggi riusciamo a vedere come terribilmente stereotipata.
Il loro percorso di atleti è quello, spersonalizzante, di rappresentare una nazione, gareggiare e battersi bene. Quello di Irving è invece un arco di rinascita. Atleta fallito si dimostra allenatore capace di fare il miracolo. Riesce a riabilitare il suo nome e a salvare questa missione impossibile. È lui che motiva, è lui che allena ed è lui che vince di più alla fine.
La forza di Quattro sottozero: un film che riesce a piacere
Tolta questa annosa questione di torno, Quattro sotto zero riesce a trent’anni di distanza ad essere una capsula nostalgica che riporta in un periodo in cui i film per famiglie erano carichi di ottimismo. È un film molto semplice, eppure proprio in funzione della quasi totale assenza di ostacoli sul cammino dei nostri eroi, riesce a dare quella bella sensazione che il mondo possa essere un posto migliore. Dove anche i cattivi burocrati si possono ravvedere e alla fine tutti ci si trova a tifare per i perdenti a testa alta. Cool runnings, spiegano i protagonisti, significa pace sul tuo viaggio. Un messaggio forte e chiaro.
La storia vera è molto romanzata, ovviamente, in questo film sportivo che ha gli attori in carne ed ossa, ma sembra un cartone animato. Abbondano le gag slapstick: i quattro giamaicani si schiantano continuamente, inciampano e si rialzano senza problemi, scivolano sul ghiaccio e si congelano. Irving per mettere il casco a Sanka deve tirargli un pugno in testa e quando questo viene chiuso in una cella frigorifera del camion dei gelati, per abituarsi alle basse temperature, i capelli sono così congelati che gli si spezzano.
Il bello di Quattro sottozero sta però nel suo essere sostanzialmente un lungo allenamento, in cui la gara conta poco. C’è un cambio di scenografia significativo quando si passa a Calgary, dal sole alla neve. Persino a pochi giorni dalla corsa la squadra continua a imparare come manovrare un bob. Una fiaba sportiva che sa intrattenere sia gli adulti che i bambini.
Negli anni ’90 quello che conta non è partecipare…
… ma neanche vincere! Quattro sottozero, come film sportivo, dice un’altra cosa. Quello che conta è essere se stessi. C’è un passaggio, buttato lì in sceneggiatura senza troppo approfondimento, in cui i giamaicani sembrano perdere la loro tipica allegria (sic) per imitare la tecnica dei professionisti. Quando si rendono conto dell’errore, tornano sui loro passi e ritrovano il loro carattere leggero e sorridente.
Perché nei film sportivi, anche quando si perde, si vince a modo proprio. In questo caso per dare una scala al trionfo dei quattro, pur nella sconfitta, viene in soccorso, ancora una volta, il saggio allenatore. Spiega che lui ha dovuto barare perché era costretto a vincere. Loro invece, che non hanno nulla da perdere e tutto da dimostrare, possono concorrere restando autentici.
Così la vittoria è quella di un’idea di apertura sportiva: tutti possono partecipare dato che lo sport supera le barriere dei confini nazionali. Si può discutere se sia così anche nella realtà. La retorica dei film può illuderci che sia veramente così, che basti un sorriso e tanta determinazione per diventare campioni e cambiare la propria vita. Per lo meno negli anni ’90. Quattro sottozero oggi non è niente di ché, ma è un’illusione del passato in cui a volte è bello ritornare.