2012, il gran visir di tutte le catastrofi

2012 di Roland Emmerich è probabilmente l’apice della sua poetica distruttiva sia in termini letterali sia di buon gusto

Condividi

2012 è su Netflix

Partiamo dal presupposto che se non amate Roland Emmerich non possiamo essere amici. Ma d’altra parte è difficile non amare Roland Emmerich, almeno se ci si vuole basare sui freddi numeri che lo collocano al momento al diciassettesimo posto tra i registi con i maggiori incassi di sempre. E se proprio non lo amate, almeno dovete stimarlo: pur essendo tedesco è una delle voci più statunitensi del cinema di Hollywood, e soprattutto ha dedicato la sua intera carriera alla nobile missione dello sfasciare più cose possibili nei modi più creativi che gli potessero venire in mente. E ci sono ottime ragioni per ritenere che 2012, che finalmente arriva in streaming anche in Italia grazie a Netflix, sia il suo capolavoro, forse addirittura il suo manifesto.

E pensare che al tempo, nel 2009, c’era preoccupazione nel fandom emmerichiano per questa sua svolta un po’ esoterica. I suoi film avevano sempre distrutto la Terra con l’aiuto della scienza, o di una sua lontana parente venuta per l’occasione a fare supplenza, con l’apice in questo senso rappresentato da L’alba del giorno dopo. 2012, invece, si basava su questa buffa storiella (magari vi ricordate quanto se ne parlò per un certo periodo una quindicina di anni fa) secondo la quale i Maya avevano previsto la fine del mondo per il 21 dicembre 2012, probabilmente perché affascinati dalla simmetria imperfetta della data 21122012. Emmerich avrebbe potuto prendere queste dicerie, infilarci un po’ di archeologia e di vecchi calendari Maya, e creare un disaster movie sostanzialmente fantasy.

Invece Emmerich è uno preciso, uno che ci tiene al suo canone e alle sue regole, e trovò il modo di infilare la scienza anche all’interno del suo film sulla fine del mondo profetizzata da tutte le grandi religioni. E che scienza! L’idea di 2012 è che una serie di tempeste solari particolarmente forti (e previste dai Maya, che così diventano anch’essi, retroattivamente, parte della scienza) cominciano a far bollire la parte solida del mantello terrestre e anche un po’ di crosta; l’endgame è una sorta di rapidissima deriva dei continenti accompagnata da innalzamento altrettanto improvviso del livello dei mari, tsunami devastanti e tutta un’altra serie di gustose catastrofi.

Ovviamente a scoprire tutto questo è il classico scienziato anonimo (in questo caso indiano) che per caso si imbatte nella sconvolgente rivelazione; ma invece di fermarsi alla soluzione più facile (trasformare lo scienziato anonimo nell’eroe improbabile di questa vicenda apocalittica), Emmerich sceglie la complicata strada del racconto corale. I suoi film sono sempre ripieni di personaggi, ma in 2012 il nostro si supera: abbiamo lo scienziato amico dello scienziato ma anche figlio di un musicista che è in crociera dall’altra parte del mondo, che fa amicizia sia con la figlia del Presidente degli Stati Uniti (che è Danny Glover e interpreta uno dei migliori POTUS della storia del cinema) sia con uno scrittore di scarso successo, il quale a sua volta ha una famiglia allargata in seguito al divorzio ma fa anche la conoscenza di Charlie, un complottista capellone che vive nei boschi dai quali trasmette le sue profezie di sventura che si riveleranno poi puntualissime, e tutta questa roba viene buttata nel calderone di un pianeta Terra che comincia a ribollire dopo cinque minuti e che entro la prima ora ha già fatto saltare per aria l’intera città di Los Angeles e ci ha fatto vedere una fuga in aereo schivando treni ed edifici volanti.

2012 è una macedonia di tutto quello che si può volere da un disaster movie, e nonostante abbia quasi 15 anni è tuttora, anche visivamente, una prepotente dimostrazione di forza. Non che qui e là non spunti qualche effetto invecchiato male – ci mancherebbe! – ma ogni singolo fotogramma è ricolmo di talmente tanta roba che per puro accumulo ci si fa andare bene anche i difetti; e comunque dove non arriva la tecnologia arriva la creatività, che qui Emmerich esprime in maniera modulare e scalabile. Un regista normale metterebbe, in un film del genere, una scena di fuga dall’apocalisse a bordo di un aereo; Emmerich ne mette due, e la seconda è più spettacolare della prima perché usa un aereo più grosso. Le cose si sfasciano prima a livello locale, poi regionale, poi nazionale e così via. È un’escalation continua, e soprattutto priva di tempi morti.

E di fronte a tutta questa abbondanza, come si fa (come fece buona parte della critica all’epoca) a criticare la sceneggiatura perché è inutilmente complicata? Stiamo parlando di un film di due ore e quaranta dentro il quale Emmerich ficca abbastanza materiale e abbastanza storyline da tirarci fuori un’intera serie TV, e che riesce comunque a trovare il tempo per presentare la sua solita famiglia disfunzionale che all’ombra della tragedia imminente trova l’occasione (o la scusa) per fare la pace! È anche un film con un’altissima concentrazione di telefonate rivelatorie e/o condotte con tono urgente e drammatico, altro grande segnale di qualità quando si parla di disaster movie.

2012 è un manuale, insomma, uno zibaldone di pensieri pre-apocalittici, nel quale peraltro tutti i coinvolti danno il 110% (con una menzione speciale per Charlie il complottista, un personaggio che si poteva affidare solo a Woody Harrelson e infatti Emmerich l’ha fatto) e nel quale ogni edificio, ogni monumento, ogni traccia riconoscibile di attività umana viene spazzata via dalla c.d “furia della natura” con l’amore incredibile per la distruzione della civiltà che rende questo signore tedesco uno dei migliori profeti di sventura dell’intera storia del cinema. 2012 è il suo massimo tesoro, e dobbiamo tenercelo stretto.

Continua a leggere su BadTaste