20 anni di Mystic River, il grande film di Clint Eastwood sui non detti della vita
Compie 20 anni Mystic River, uno dei film più completi e strazianti di Clint Eastwood che racconta le strade, l'amicizia e i silenzi
A 20 anni dalla sua uscita Mystic River appare ancora di più come un grande film sull’amicizia. Bisogna vederlo per capirlo. Il romanzo La morte non dimentica di Dennis Lehane da cui Clint Eastwood ha tratto il film è un thriller duro da digerire, Eastwood ne fa un storia di dannazione proprio a partire dalla nostalgia dell'età dell'innocenza.
Sta qui la potenza di Mystic River, un film invecchiato nello stile (ci sono certe soluzioni di montaggio come flashback improvvisi che hanno fatto il suo tempo), ma non è stato toccato nella forza con cui fa deflagrare le vite dei suoi tre protagonisti. Tre amici, o meglio ex amici. La loro infanzia è finita insieme alla marachella interrotta da un’auto che si è avvicinata e ha prelevato uno di loro. La sorte di Dave Boyle poteva toccare a chiunque, soprattutto agli amici Jimmy Markum e Sean Devine. I due sono restati fuori, impotenti, a guardarlo. Lui osservava loro dal retro della macchina. Fuggirà giorni dopo. Tornerà cambiato, da sopravvissuto, senza parlare mai più della sua prigionia e del dolore che si è preso al posto degli amici. Il primo non detto del film.
Silenzio sulle strade vicino al Mystic River
L’intreccio è appassionante. Sappiamo che, la notte dell’omicidio della figlia dell’amico, Dave è rientrato in casa coperto di sangue non suo. Quello che segue è un lento avvicinarsi tra la ricerca dell’assassino e il suo non detto, quel vuoto di qualche ora tra quando beveva nel bar della zona e quando, in stato confusionale, apriva la porta andando verso la moglie. Che cosa ha fatto e perché?
Il volto di Sean Penn è un muro che non lascia passare nulla. Non abbiamo accesso alla sua anima. È bravissimo quando piange. Lo fa poche volte. La prima è un urlo che sembra più una promessa di vendetta. La seconda è durante un dialogo con Dave. Dice di non essere ancora riuscito a piangere per la figlia, mentre lo dice però singhiozza. Le sue lacrime sembrano forzate, spinte in fuori, per dimostrare che lui, da padre, sa provare anche dolore oltre alla rabbia. Che bravo Penn, in questo, a simulare un pianto forzato. Vincerà l’Oscar, insieme a Tim Robbins, meritandoselo.
E se l’amico violentato, con la sua nuova vita, sono un telaio pieno di buchi, anche terzo bambino ora diventato detective è un mistero. Si muove nel caso come se, dentro di sé, sapesse già come rischia di andare a finire. Ha una delicatezza per entrambe le parti in gioco che lo rendono quasi cieco anche di fronte alle evidenze.
In questo carosello di personaggi con le bocce cucite e con il disperato bisogno gli uni degli altri c’è un tipo di silenzio ancora più fisico. Si tratta di quello di un ragazzo sordo, fratello di Brendan, fidanzato segreto della ragazza vittima di omicidio. Anche Brendan è sospettato. Anche Brendan ha un non detto. Un progetto segreto che nessuno di quegli adulti che popolano gli argini del fiume avrebbe capito.
E poi c’è il Mystic River, il fiume che nasconde i peccati e che risolve le contese. Scorre, come la vita dei personaggi, senza fermarsi.
Fantasmi incisi nel cemento
C’è un altro elemento della messa in scena che è ancora potentissimo nel film: un blocco di cemento di un marciapiede con incisi i nomi dei tre ragazzi che giocavano lì vicino. Il terzo, quello di Dave, è interrotto. Perché mentre stava finendo di incidere per sempre il suo nome in quelle stradee è stato portato via. Dave è il rimosso di una città che ha vissuto l’orrore e che non è mai riuscita a fare i conti con esso.
È straordinario come Eastwood riesca a passare sempre dal piccolo, ovvero dall’altezza dei tre protagonisti, al grande: raccontando come sempre la sua America, i suoi quartieri, i suoi peccati.
In Mystic River si avverte costantemente un senso di profezia. Uomini che seguono il proprio fiuto, dove i sentimenti arrivano prima dei fatti facendo intuire che una tragedia sta per arrivare, che le cose stanno per finire male. L’istinto guida il detective Sean nel prevedere chi è innocente e chi no. Ma l’istinto, accecato dal dolore, può sbagliare. L’affinità tra persone, l’essere vicini di casa e di affetto, quando si acceca con il pregiudizio porta fuori strada.
I quartieri sorgono su queste tragedie, dice il film, sono le storie delle persone e i loro peccato, ma anche la loro capacità di perdonare o andare avanti, a fare una nazione. Lo mostra nella parata finale, giocata tutti sugli sguardi dati e quelli negati. Una marcia trionfale dove le voci non si sentono più. Tutto quello che è successo è un altro grande rimosso. C’è chi ha vinto in modo sottile, come una moglie che ha avuto il proprio marito più vicino, ora che non c’è più la figlia di una vita passata.
La banda suona sulle strade, i cittadini sono in festa. Chi ha sofferto cerca di non farlo più. Impossibile. Perché in cuor loro questi personaggi maledetti da un crimine, e diventati a modo loro criminali, sanno che tutto quello che è successo nasce da un silenzio. Le parole non avrebbero evitato la tragedia, che è l’inizio di questa storia. Ne avrebbero però cambiato la fine.