1990: i guerrieri del Bronx quando noi italiani sapevamo emulare con personalità infinita

1990: i guerrieri del Bronx non regge la prova del tempo ma continua a mandare un messaggio importante a tutti i cineasti italiani

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1990: i guerrieri del Bronx compie 40 anni. Questo significa che da più di 30 abbiamo superato la previsione postapocalittica di Enzo G. Castellari. Sembra però passato ancora più tempo da quel magnifico periodo del cinema di genere italiano in cui sapevamo osservare, assimilare, e imitare. C’era una voglia di fare cinema assoluta, con pochi mezzi e tante idee. Soprattutto con una professionalità straordinaria, non artisti ma lavoratori, artigiani dell’audiovisivo che si divertivano un mondo a fare quello che facevano.

La leggenda narra che il produttore Fabrizio De Angelis finì per sbaglio nel Bronx sbagliando fermata della metropolitana di Manhattan. L’incontro con il degrado fu uno shock. La visione che gli si presentò davanti fu di povertà assoluta in contrasto con il lusso dei grattacieli scintillanti sullo sfondo. Nella popolazione che viveva lì riconobbe la difficoltà a sopravvivere, che costringeva alla criminalità e ad un aumento di violenza.

Tornato in hotel questo scenario da fine della civiltà gli restò impresso. Contattò così il miglior regista d’azione italiano: Enzo G. Castellari: uno che era passato con agilità dal western (fu lui ad ispirare una fetta importante della filmografia di Tarantino che gli omaggiò anche i suoi Bastardi senza gloria) al poliziesco all’italiana. Gli propose un film all’americana, girato però per metà a Roma per prendere le sovvenzioni statali (tutti gli interni sono Italiani, conferendo quell’azzeccata commistione tra città del futuro e fondamenta antiche). Un’opera di fantascienza in un futuro prossimo e distopico, come quelle che piacevano tanto agli Americani del tempo, solo che con molto meno budget.

1990: i guerrieri del Bronx è così un film frenetico, con tante idee (poche delle quali originali, ma è questo il bello) da girare il prima possibile e con meno dispendio di denaro. Un giorno piove sul set e non si può girare l’esterno previsto? Si mandano a casa gli attori e la troupe si sposta all’interno a girare i titoli di testa con i dettagli delle armi e dei costumi. Non si butta via neanche un giorno. Così, già che c’erano, nell’arco di 6 mesi, con 1990: i guerrieri del Bronx nemmeno arrivato in sala, Castellari scrisse e girò il sequel I nuovi barbari. Il film recuperò tre volte il suo budget il che significava, quasi automaticamente, che la saga sarebbe dovuta diventare una trilogia. DeAngelis va da Castellari e in quattro e quattr’otto ha il via libera il terzo film Fuga dal Bronx. 

Il salto di qualità è impressionante. Il ritmo è più preciso, l’azione più bilanciata, le scenografie lasciano trasparire meno grossolani errori come il traffico delle strade reali o gli operatori accidentalmente ripresi nell’inquadratura. L’anima è però la stessa di 1990: i guerrieri del Bronx. 

Saper imitare con stile

Panoramica dal Kennedy Bridge. Una ragazza sta correndo in piena notte. È Ann, la figlia di un potente imprenditore senza scrupoli a capo della Manhattan Corporation, una società che produce il 60% delle armi di tutto il mondo. Lei, che a 18 anni erediterà la posizione di potere, sa che sarà solo un burattino nelle mani di interessi geopolitici. Decide così di fuggire nella terra di nessuno, il Bronx, dove incontra Trash (Mark Gregory), un guerriero solitario e affascinante. Lei se ne innamora, lui cerca di capire cosa stia succedendo nel territorio, dove una serie di fatti violenti stanno per innescare una guerra civile. 

C’è dentro di tutto in 1990: i guerrieri del Bronx. Un cinema visto, stimato e assorbito; solo infine imitato. Perché di 1997: Fuga da New York c’è l’ammirazione dell’idea, non una emulazione truffaldina. Castellari porta il post apocalittico in un’Italia bramosa di generi, vecchi e nuovi. Lo fa prendendo dai migliori: la passione per le motociclette e le facce cattive viene da Interceptor e la base di tutto è il fondamentale I guerrieri della notte di Walter Hill.

Castellari non si limita però a fare un collage di tre pietre miliari. In un’operazione cinematografica pre tarantiniana accumula suggestioni da ogni dove. Un mosaico di citazioni così ricco di tasselli da dare al film un’identità propria. Così la trama non è altro che uno spaghetti-western, con la donna in pericolo, gli uomini duri che vivono in armonia con il territorio ostile, il progresso che vuole spazzarlo via, e le moto come cavalli. 

Il batterista di Trash

Ci sono momenti di assurda solennità come il batterista che suona all’aria aperta vicino ai cadaveri mentre le gang si riuniscono per discutere il da farsi. Un lancio delle ceneri al tramonto con un’enfasi degna di Michael Bay. Se non fosse che il vento tirava dalla parte sbagliata quel giorno e le ceneri ritornano tutte addosso ai personaggi, non intenzionalmente. Guardando 1990: i guerrieri del Bronx si ride tanto, spesso del film e non con lui. Ma è un sorriso buono, che nasce dall’ingenuità di certe scelte e che ne ammette la genialità. C’è pure Kubrick lì dentro, con una gang di ballerini vestiti quasi come i drughi di Arancia Meccanica (in versione povera).

Come in Mad Max i mezzi di trasporto definiscono le gang. Ci sono quelli con i rollerblade (goffissimi e per nulla temibili). Le Harley Davidson sono oggetti muscolari, ma i loro possessori hanno un cuore buono e on the road. Si deve diffidare invece da chi si muove in macchina, per non parlare poi degli elicotteri: il volo è posseduto dai ricchi che pretendono di governare il mondo, intolleranti verso i disperati. Gli Scavenger sono una popolazione che vive sottoterra, non tanto diversi dai Tusken di Star Wars. Non è finita qui: il castello di castello di re Ogre è pura exploitation dell’immaginario fantasy, con fasti degni di un sultano, donne agghindate come principesse e sudditi in un regno di pietra e fango. 

Così 1990: i guerrieri del Bronx fa tifare moltissimo per borchie, metallo e benzina, mentre gli eleganti affaristi sono da disprezzare. Meglio la criminalità delle bande, la sopravvivenza alla giornata, che le giacche e le cravatte pulite ma con le mani sporche di sangue. Così entra pure in gioco l’estetica dei nativi americani (Mark Gregory sembra un guerriero Sioux) contro gli sterminatori. 

Il post apocalittico italiano di 40 anni fa, oggi non regge la prova del tempo, come è normale che sia. Vederlo così, con il godimento che riesce a dare oggi, è però una lettura ingenerosa di quello che fu questo periodo. Perché 1990: i guerrieri del Bronx ha perso il suo fascino ma non l’indirizzo fondamentale che Castellari continua a dare ai cineasti di oggi. Siate cannibali, nutritevi di altre opere; siate cyberpunk, ibridatevi con altri generi, prendete il meglio da quello che vi è dato altrove. E poi divertitevi, godete nel progettare armi, veicoli, situazioni e popolazioni. E soprattutto non pensate che il budget sia un limite alla creatività. 

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