10 ragioni per odiare Il Commissario Montalbano che invece lo rendono imperdibile

Il mistero della serie di film Il Commissario Montalbano, che pur incarnando tutto quello di cui la tv italiana cerca di sbarazzarsi rimane uno dei suoi prodotti migliori

Critico e giornalista cinematografico


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Ci sono tantissime ragioni per odiare i film della serie Il Commissario Montalbano, tantissimi dettagli di stile o scelte narrative che li rendono produzioni non solo di stampo vecchissimo ma anche datate rispetto a tutte le conquiste della narrazione moderna, per non dire di quelle della serialità. In un certo senso Montalbano è il concentrato di tutto quello che da più di un decennio non va con la narrazione tradizionale per la tv italiana (che spesso tracima al cinema). Eppure…

Eppure nonostante sia la quintessenza della fiction, inteso in senso dispregiativo la produzione televisiva pensata per un pubblico anziano, pensata per ripetere tutto quello che è stato già visto e farlo con il minimo della sofisticazione, Il Commissario Montalbano continua ad essere uno dei prodotti migliori della nostra televisione. Anche in anni di canali a pagamento e produzioni italiane di stampo internazionale, in ogni puntata di questa produzione così tradizionale si agita un demone, uno spirito invincibile che fa vacillare ogni convinzione e alla fine conquista. Ogni volta.

È facile dire che è merito di un casting incredibile tra protagonisti (sempre gli stessi) e un insieme di comprimari clamorosi (sempre diversi). Come sarebbe facile dare il merito alla scrittura che unisce Camilleri ad uno dei più grandi sceneggiatori in assoluto del panorama italiano, Francesco Bruni (che lavora agli adattamenti fin dal primo film). Ma ogni volta che ci si trova di fronte ad un film di Montalbano, nonostante i risultati non siano sempre uguali per resa ritmo e coinvolgimento, è evidente che c’è qualcosa di più. Qualcosa che forse sta proprio in quelli che altrove sarebbero dei difetti imperdonabili, in quelle caratteristiche che lo rendono superato forse sta proprio il segreto del suo essere superiore al tempo.

Abbiamo messo in fila, una per una, le ragioni per odiare Montalbano per capire come mai invece è così impossibile farlo.

Il genere

Montalbano prende di petto il proprio genere, cioè il giallo classico, con un commissario che indaga e omicidi misteriosi pieni di indizi nascosti e misteri da svelare. L’unica sporcatura è quella della commedia di quando in quando mentre ad oggi la mescolanza dei generi è la ricetta migliore per dar vita a qualcosa di personale, originale e capace di parlare una lingua contemporanea. Invece Montalbano ha una lingua narrativa vecchissima. Ancora peggio: è un whodunit, la definizione americana del genere di storie in cui va scoperto il colpevole. Roba che già Hitchcock non voleva fare!
Questa è in teoria una gabbia, un vincolo ad un recinto stretto che in Il Commissario Montalbano diventa una porta verso un oceano di possibilità. Nella struttura di queste storia la scoperta del colpevole è lontana dall’essere il centro ma è un modo per mettere in moto tutto ciò che sta intorno all’indagine, che poi è il vero cuore.

Il protagonista positivo

Montalbano è un ideale, non è concreto. Nonostante la serie faccia tantissimo per dargli dei tratti di umanità legati alla passione per la cucina di Adelina, alle ironie con gli amici, al rapporto con la fidanzata o alle piccole passioni e agli scatti d’ira, rimane che è un protagonista immacolato e cristallino in un’epoca in cui invece (specie in televisione) sono gli antieroi ad essere esplorati, i personaggi che sono protagonisti perché portatori di un terribile lato oscuro dichiarato e ovviamente molto realistico. Montalbano invece è il vecchio superuomo in una sua versione più quotidiana, una persona che possiede tutte le risposte è ineffabile e infallibile. È il meglio che esiste dentro di noi che Luca Zingaretti però interpreta con uno sforzo di concretezza incredibile per non farlo sembrare tale, per far sembrare che tutto quel che gli riesce è quasi casuale o frutto di improvvisazione.

Il sesso

La sessualità, che è stata l’arma attraverso la quale la nuova televisione si è fatta notare lungo gli anni 2000, è più o meno bandita da Montalbano. Se c’è può essere anche abbastanza audace per gli standard della prima serata di Rai Uno (in Salvo amato, Livia mia è mostrata una scena di sesso lesbico) ma è ripresa con la calza, edulcorata e separata stilisticamente dal resto del film. Il sesso è ripreso come un altro mondo. Il protagonista è lontano anni luce da esso (nonostante sulla carica erotica implicita di Zingaretti si basi molto del successo) e anche Mimì Augello, la cui maschera è quella del donnaiolo, non è direttamente associabile ad esso.
Ovviamente è impensabile una rappresentazione esplicita della sessualità su Rai Uno, sia chiaro che non stiamo parlando di quello, ma il fatto di non rappresentarla come qualcosa di ordinario, quotidiano e invece come qualcosa di straordinario, eccezionale e paradisiaco sembra un paradigma da metà Novecento.

La chiarezza

In Il Commissario Montalbano tutto quel che c’è da sapere è in superficie. Non ci sono i non detti, le allusioni e gli sguardi che suggeriscono qualcosa che nessuno dirà mai, e se ci sono non sono tali, sono l’imitazione di un non detto in cui è molto sottolineato il senso vero. I personaggi dicono quel che pensano e quando non lo fanno lo mostrano molto chiaramente a tutti. Del resto ognuno agisce coerentemente con quel che pensa e il personaggio che è. In questo senso sono film dritti e diretti, testi di una semplicità quasi disarmante. E fermo restando che poi i livelli di lettura più profondi si negoziano individualmente con i singoli spettatori (cioè ognuno completa Montalbano e ci legge quel che sente e sa), di certo la serie di film fa di tutto per acclarare tutto ciò che c’è da sapere. Questa chiarezza che siamo abituati ad associare ad una povertà qui è uno straordinario giocare a carte scoperte degli sceneggiatori. Invece che nascondere le proprie carte le espongono, capiamo e sappiamo tutto, ma lo stesso siamo stupiti ogni volta.

L’uso del dialetto

Nello slancio di realismo e aderenza alla realtà che caratterizza film e serie moderni il dialetto è diventata una risorsa importante. I dialetti sono concreti, duri e radicali fino all’uso dei sottotitoli. Gomorra chiaramente è l’esempio principe ma di certo non l’unico. Invece Montalbano fa un uso teatrale del dialetto, lo mette sempre in campo, costantemente, ma non è né vero né falso. È pieno di riferimenti precisi, parole e cadenze autentiche fino al midollo ma è anche buono per tutti, mai radicale, sempre comprensibile, pensato per essere una versione italianizzata del siciliano. Di nuovo, quel che sembra una semplificazione di dinamiche altrove più radicali, diventa invece una risorsa. Il siciliano “divulgativo” sempre chiaro eppure sempre presente e preciso, è uno strumento di commedia (come sempre nel cinema italiano), e in certi casi anche di dramma. È il veicolo principale dei sentimenti e crea un mondo unico sospeso tra le location autentiche e una lingua che suggerisce quella vera.

I personaggi macchietta

In Montalbano i personaggi sono divisi tra umani e maschere. Chiunque non sia coinvolto nelle indagini in modi seri e gravi, è una maschera, soprattutto i personaggi secondari ricorrenti. Ognuno è la personificazione di un vizio o di una virtù. Adelina, Mimì, Beba e via dicendo fino a Catarella sono quanto di più lontano da personaggi moderni, arrivano dritti dalla commedia dell’arte. Catarella addirittura ha la sua entrata in scena comica tipica, sbattendo contro la porta e lavora sugli equivoci e le incomprensioni con i giochi di parole e i nomi storpiati. È qualcosa di così antico da essere quasi ancestrale.
Tuttavia la maniera in cui vengono messi in scena e recitati (ma anche la maniera in cui Zingaretti ci interagisce, abbassando il loro naturale tono caricaturale con la sua calma temperata) ha un che di straordinario per come raggiunge una recitazione moderna senza venire meno ai principi e alle regole della commedia dell’arte.

L’ode della provincia

Se c’è qualcosa di cui non abbiamo bisogno è l’ode della provincia. Il nostro cinema trabocca di storie di persone che fuggono in provincia per fuggire dalla modernità, che si recano al sud e ritrovano il contatto con i veri valori, che poi vuol dire con il passato del nostro paese. Montalbano incarna proprio l’Italia di una volta, il suo rifiuto per la tecnologia, il fastidio con cui ne parla e il fatto che nella serie il più competente in questioni informatiche sia Catarella sono segnali abbastanza inequivocabili. Addirittura quando in La rete di protezione viene tirato dentro un gruppo simil-Anonymous, questo è ritratto come fossero pirati, banditi e terroristi armati di cui nessuno si fida.
Solo i valori antichi della marginalità e della lentezza contano. Che sono gli stessi idealizzati da tutto il nostro cinema, in un continuo percepire la modernità come un problema dei personaggi e mai come una risorsa o una soluzione.
Ma questa marginalità sia provinciale che temporale (con la sua auto Montalbano è immediatamente lontano dal tempo moderno, marginale e periferico) assume i contorni di un tempo fermo, come il mondo fantasy bloccato in un eterno medioevo, e invece che renderlo uno stupido ritorno al passato, lo caratterizza come un eterno passato.

Le due trame

Ogni film di Montalbano ha due trame, quella principale, grave, e quella secondaria, più leggera. La prima è fuori dalla continuità, cioè solitamente non lavora sull’evoluzione del mondo di Montalbano; la seconda invece molto spesso porta avanti le questioni o approfondisce personaggi secondari. L’alternarsi tra le due è meccanico e prevedibile, ma soprattutto sono rigorosamente separate, il commissario (che è il trait d’union tra le due) avverte sempre quando passa dall’una all’altra e l’una e l’altra si svolgono anche in spazi geografici separati che non si sovrappongono. Sappiamo insomma sempre benissimo quando siamo in una e quando in un’altra (c’è anche la musica a indirizzarci se proprio non bastasse). Sembra la maniera più pigra di dare corpo ad un racconto, e invece in armonia con tutto il resto contribuisce a dare una chiarezza rilassante e a ribadire il piacere, tipico dei racconti di genere, della ripetitività delle strutture.

Le deduzioni

Montalbano spiega sempre tutto. Nonostante i film si affannino più che possono a mostrare con le immagini le deduzioni e le svolte, alla fine è sempre lui che si siede e spiega tutto a qualcuno, di fatto spiegandolo a noi. Spiega l’intreccio, le ragioni e tutto un monte di logiche che l’hanno fatto arrivare alla soluzione finale e che sarebbero impossibili per noi, come faceva Sherlock Holmes o Poirot. Non c’è nessuna forma di instradamento della deduzione e non emerge in noi nessuna consapevolezza, è solo una persona che ha capito le cose e ce le dice. Noi, seduti, le comprendiamo. Eppure sono raramente momenti gravi, sono più attimi di bonaria comprensione di dinamiche che, spesso, pur essendo criminali sono in realtà tremendamente umane. Sono momenti per il racconto della nostra umanità in poche parole.

L’idea di giustizia

In Montalbano a trionfare non è solo la giustizia della legge italiana ma sempre anche una sua versione non ufficiale. Il commissario tramite le due trame non solo indaga sui grandi misteri ma anche su piccole questioni di ordinaria amministrazione paesana, e in entrambi molto spesso non applica la legge alla lettera, non fa tutto quello che il codice prevede ma in diversi casi lo piega oppure lo trasgredisce apertamente, applicando il proprio buonsenso.
È il primo ad ordire piccoli raggiri a fin di bene in modo che la legge degli uomini (cioè la morale tradizionale, quella che vuole che ai poveri diavoli sia concesso un tozzo di pane) sia rispettata prima di quella dello stato. E che a farlo sia proprio lui, che della legge dello stato è funzionario, è particolarmente significativo.
È quanto di più tradizionale e meno internazionale possa esistere, “fare da sé” applicando costantemente e continuamente non uno standard nazionale ma la propria discrezionalità. Ovviamente nel caso di Montalbano è una pratica ottimale, perché lui è eccezionale e infallibile, ma in assoluto non proprio il massimo. Eppure è la messa in scena del più intimo dei desideri nazional-popolari: il perdono e la pietas nelle forze dell’ordine.

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