10 anni di Sucker Punch: l’indifendibile musical di Zack Snyder a cui è possibile voler bene
Compie 10 anni Sucker Punch, la fatica di Zack Snyder. Non c'è niente da difendere, ma allora perché è così bello volergli bene?
Sucker Punch è infatti un film indifendibile sotto ogni punto di vista. A partire dall'imbarazzante prologo che riprende l’estetica di un video della t.A.T.u e la frulla con i peggiori stereotipi del maschio: porco, predatore sessuale e avido di denaro.
Insomma, una gran confusione, per un film che vuole mettere tantissima carne al fuoco e, mentre lo fa, ci regala anche un'orribile mashup dei Queen.
L'interesse per il lato visivo di Sucker Punch è anche esplicito nel discorso del regista. La messa in scena di Zack Snyder è un trattato contro lo sguardo maschile nel cinema. Cerca di accusare l’occhio predatorio, sessualizzante, che rende la donna un semplice oggetto passivo di visione. Cerca di far reagire la vittima. Però racconta un universo femminile sempre connesso ai canoni dello stereotipo maschile della donna forte, androgina nella guerra, attraente nelle forme.
È un film fatto di assoluti, che obbliga ad identificarsi nelle vittime solo perché tali. Loro subiscono il male, e allora dobbiamo stare dalla loro parte, anche se non le conosciamo, non riusciamo nemmeno a intuire cosa pensino. Gli uomini, invece, sono mostri in quanto maschi, non per una motivazione interna. Babydoll è vista, è stuprata dall’occhio dei medici e dei clienti. Si vendicherà con il suo sguardo, alla fine del film. Ma non capiamo che ruolo abbiamo noi spettatori in questo gioco dove non ci sentiamo né vittime, né carnefici, solo passivi osservatori.
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Snyder conduce questa fastidiosa “omelia laica” contro “l’occhio che uccide” utilizzando esattamente le armi che vuole (giustamente) condannare. La sfilata di donne angelicate che ci presenta è anche una serie di contenitori vuoti. Non c’è una personalità distintiva, non c’è godimento nella loro crescita. L’unica cosa che porta giovamento allo spettatore è vederle combattere, in abiti succinti, contro draghi, robot, e zombie nazisti. La scenografia, l’ambiente delle battaglie, è più importante di chi calca quelle scene.
Per questo Sucker Punch non riesce mai ad essere veramente film. Non è cinema sperimentale, per esserlo avrebbe richiesto ben altre intuizioni. E non è una storia di finzione, gli manca tutto. Non c’è costruzione dei comprimari, la struttura in stile videogioco con i boss ad ogni livello è frustrante per il ritmo come una macchina che sobbalza perché il guidatore non è in grado di ingranare la seconda marcia. L’epilogo è sbrigativo e non è possibile alcuna sospensione dell’incredulità.
Eppure.
Perché c’è un eppure, e non di quelli convinti, ma di quelli che piacerebbero ad Aristotele.
Eppure Sucker Punch è un film che è difficile difendere, ma che non è impossibile da amare.
Perché è così folle e sbagliato che fa quasi tenerezza. È un film che non si riesce a credere come abbia ottenuto un budget così consistente e che sia arrivato in sala. È una visione folle, frammentata e infantile, ma è anche una visione che nessun altro ha avuto il coraggio di formulare. E forse è questa la grande contraddizione che attraversa il cinema di Zack Snyder: un grande coraggio nel proseguire i propri intenti, anche quando sono lontani da ogni buon gusto. Quanto gli sarebbe utile un buon editor, una buona produzione, che non lo censuri, che non gli impedisca la sua esuberanza, ma che lo guidi.
Eppure, forse, questa versione di Alice nel paese delle meraviglie riesce nel suo intento di provocare reazioni estreme. I colori desaturati, il rallentatore, i mashup di musiche, sono parte coerente del film come lo sono del modo in cui Snyder guarda alla realtà. Il regista è Babydoll che si costruisce la propria fantasia infantile e quindi fuori controllo, ma piena di energia e vitalità. È l’immaginazione che gli\le permette di andare avanti rispetto a un qui e ora grigio e monotono. E tutti i giochi con i movimenti di macchina servono a farci dubitare di quello che vediamo. A dare tridimensionalità al gioco bidimensionale.
Le inquadrature sembrano guidate da un personaggio interno al racconto, il saggio (Scott Glenn) più che da Snyder. Una matrioska di immaginazione nella fantasia, che può destabilizzare... e che quindi resta impressa. Se solo gli fosse importato meno della morale, questa fiaba nera sarebbe stata una coraggiosa visione della narrazione fine a se stessa, della storia intorno al fuoco fatta solo per il piacere di raccontare.
Dopato all’inverosimile, stordente, immersivo e, soprattutto, cinematografico. Sucker Punch è stato la reazione alla domanda: come sarebbe un trailer se durasse quanto un film? E forse la risposta non è stata delle migliori. Ma i suoi primi 10 anni vanno festeggiati come quelli di un unicum, un qualcosa che - ne siamo certi - non si replicherà facilmente. Un mostro di Frankenstein audiovisivo in cui è difficile trovare qualcosa di bello, ma che è bello amare come tutte le cose rare.
Magari con un po’ di vergogna, senza dirlo ad alta voce.