10 anni di Scott Pilgrim vs the World: l’unione perfetta tra cinema e fumetto
Scott Pilgrim vs the World compie 10 anni tra pochi mesi: ecco perché il film di Edgar Wright è l'ottima fusione tra cinema e fumetto
Scott Pilgrim vs the World nasce dall’omonima serie a fumetti scritta e illustrata da Bryan Lee O’Malley e racconta la vita di Scott, un nerd come molti altri, con una routine di vita come molti altri. Passa il tempo a suonare il basso con la sua band e a “provarci” con Ramona Flowers, una ragazza appena arrivata in città di cui si è innamorato follemente. Ma c’è un problema: Ramona ha 7 malvagi ex-fidanzati e Scott, per avere il suo cuore, dovrà sconfiggerli uno ad uno. Il film non tardò a conquistarsi una sua fan base e lo status (ormai rarissimo e dal significato quanto mai vago) di piccolo cult. Ma non bastò: Scott Pilgrim, come tutte le opere troppo avanti rispetto ai gusti contemporanei, fallì al box office. Con un budget stimato di 60 milioni ne incassò poco meno di 50.
Visto oggi, Scott Pilgrim vs the World è ancora il più grande e più riuscito tentativo di fusione di tre arti: fumetto, cinema e videogioco. Il rapporto tra le tre non è lineare, andrebbero collocate sui tre vertici di un triangolo: il fumetto infatti racconta la storia mutuando l’estetica 8-bit dei videogiochi, ma toccando anche il cinema come scansione ritmica e movimento. Il videogioco presta al cinema e al fumetto di Scott Pilgrim la struttura narrativa a episodi, con “boss finale” e vite da recuperare. Con il senno di poi la trasposizione cinematografica appare come il culmine del progetto dalle sfumature crossmediali ideato da O’Malley. Togliamo il videogioco dall’equazione per un momento. Parliamo di cinema. Il film, nel 2010, riuscì a risolvere quello che, all’epoca, era un tema pressante per i registi e gli artisti. Per il pubblico un po’ meno. Ovvero quello di conciliare l’estetica del fumetto, la sua immediatezza e la densità comunicativa, con quella del cinema. Gli anni ’90 non erano così lontani in fondo: le sperimentazioni del digitale avevano aperto grandi possibilità agli artisti dell’immagine. La sequenzialità del montaggio cinematografico era già stata messa in crisi da registi come Christopher Nolan con Memento o David Lynch con Mulholland drive, in cui immagini, senso, significato acquisivano una quarta dimensione. Ma nessuno si era mai avvicinato al fumetto. Hulk di Ang Lee aveva tentato di ricreare l’esperienza di lettura di un albo. Ma non bastavano gli split screen, le sequenze mostrate contemporaneamente a schermo, per dare all’occhio l’effetto di guardare una pagina stampata con vignette.
Wright invece dimostra sin dall’incipit del film di avere compreso bene che “denso” non significa “bombardante”, che "rapido ed efficace” sono concetti che mal si conciliano con la bulimia visiva. In Scott Pilgrim invece tutto è chiarissimo, c’è una regia forte e consapevole che guida l’occhio su ciò che conta. Rifiutare di seguirlo è una scelta libera dello spettatore che può portarlo a cogliere molti più dettagli ma, magari, a perdere il filo della storia principale. Nel film c’è tutta la gioia degli anni ’60, di quel Batman di Adam West in cui i pugni e le esplosioni facevano comparire le onomatopee dei suoni e dei rumori vicino ai personaggi. Ma ancora non basta. Non sono sufficienti i “boom”, “pow”, “bang”, per riportare a schermo una tavola illustrata.
L’ennesima grande intuizione della regia fu di capire la differenza tra l’adattare un fumetto e adattare l’esperienza di lettura di un fumetto. Nel primo caso ci si può perdere nei tentativi senza riuscire mai a vincere. C’è chi ha infatti usato uno stile di montaggio spezzato, chi (come Zack Snyder in Watchmen) si è affidato ciecamente alla griglia delle vignette come a uno storyboard, altri che hanno lavorato sulla grana dell’immagine (come Frank Miller con Sin City). Scott Pilgrim vs the World fa tutto questo… e fa di più. Usa le transizioni per ricreare lo spostamento dell’occhio su una pagina. Usa la profondità di campo e la luce per isolare i personaggi dallo sfondo, come tipico della grammatica dei fumetti orientali. Il ritmo interno al film non sovrappone mai fatti chiave, ma li accosta anche quando li vediamo contemporaneamente sullo schermo. Si può togliere l’audio, ma proprio come nelle illustrazioni, si può ascoltare la musica attraverso le forme e i font delle scritte. Come nella letteratura a fumetti a tema adolescenziale (racconto di formazione) si naviga con tono leggero tra temi impegnativi come il futuro o l’identità, e con un grande gusto del dramma nei piccoli problemi d’amore.
Per questo motivo, ancora oggi, il film va visto, studiato e pensato come l’opera che ha chiuso in anticipo il dibattito su questa forma estetica: Scott Pilgrim ha trovato per primo il filo conduttore in grado di bilanciare i due linguaggi alla perfezione. Edgar Wright ha sublimato il fumetto attraverso il cinema, e il cinema attraverso il fumetto. Amando e conoscendo la sua fonte di ispirazione l’ha elevata. Un’arte è entrata nell’altra, ma entrambe hanno mantenuto le loro specificità.
A distanza di 10 anni Scott Pilgrim vs the World resta un film unico e irripetibile. Nel vero senso della parola. Forse troppo unico, troppo irripetibile. Troppo avanti con i tempi per poter generare epigoni. Guardando indietro, dopo le decine di cinecomic che l’hanno seguito, è molto difficile trovare una traccia di quest’opera, così potente e radicale. Forse, come un profeta inascoltato, è arrivato troppo presto, senza che noi e il mondo del cinema fossimo pronti non solo a capirlo e ad apprezzarlo, ma a replicarlo. Allora non resta che aspettare il prossimo decennio, e osservare da vicino i cambiamenti di gusto e di immagini che lo attraverseranno. Solo allora, forse, raggiungeremo Scott Pilgrim, che potrà finalmente ritornare ad essere un film del presente.