La storia di The Hollywood Reporter Roma ricostruita, dal lancio alle dimissioni in massa: cos'è successo

Ricostruiamo quanto successo nell'ultimo anno e mezzo a The Hollywood Reporter Roma, con le parole delle persone coinvolte

Critico e giornalista cinematografico


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Per la realizzazione di questo articolo sono stati ascoltate le principali persone coinvolte nella storia. Alcune hanno deciso di non rilasciare dichiarazioni ulteriori rispetto ai comunicati già usciti, mentre una parte di quelle che ha accettato di parlare con BadTaste ha chiesto di comparire in forma anonima.

L’editore Gian Marco Sandri è stato contattato sia via messaggio, per spiegare la natura dell’articolo, che poi telefonicamente più volte lungo diversi giorni senza una risposta.

Dove necessario sono stati usati virgolettati e là dove utile a migliorare la chiarezza delle risposte sono state incluse anche le domande.


Nel 2022 una cordata di imprenditori italiani individua in Gian Marco Sandri, imprenditore già attivo nel marketing di contenuti audiovisivi e non per grandi brand con la società ArtMediaMix, il soggetto adatto per l’apertura di una versione italiana di The Hollywood Reporter. La cordata è stata contattata per una consulenza da Penske Media, società americana proprietaria di The Hollywood Reporter (ma anche di Variety, Deadline e Indiewire), che vuole aprire le versioni italiane e giapponesi della testata. Sandri, attraverso un’altra società, Brainstore (il 35% della quale è posseduto da Fausto Brizzi), chiede consiglio a livello informale all’ex giornalista di GQ, ex caporedattore di Il Messaggero ed ex vicedirettore di Vanity Fair (e già direttore editoriale per la società di produzione Tenderstories), Malcom Pagani per trovare un direttore o direttrice a livello. Pagani suggerisce Concita De Gregorio, che conosceva dai tempi in cui lavorava all’Unità e lei ne era direttrice. “Cercavano per l’italia un editore nuovo” ci racconta Concita De Gregorio “che non fosse titolare di altre realtà editoriali esistenti e per il quale questa non fosse la declinazione di un’altra attività principale, né infine che fosse un editore che avesse interessi indiretti con il mondo del cinema e dello spettacolo [...] Sandri sul piano editoriale era un neofita ma imprenditorialmente aveva ArtMediaMix, che è un’importante azienda di grande fortuna, ha consulenze nel mondo dello sport dell’arte, contatti e contratti con ministeri e banche…”.

Nasce così il nucleo base di quello che sarà The Hollywood Reporter Roma. Lungo tutto il 2022 e attraverso incontri con Penske e con la parte apicale della direzione di The Hollywood Reporter (d’ora in poi THR) il progetto prende forma. Gli americani forniscono una guida su come si fa THR (stile, tipo di articoli, argomenti trattati e molto di più), e mettono dei paletti: almeno per i primi due anni meno del 30% degli introiti pubblicitari devono arrivare da aziende del settore dell'intrattenimento, in questo modo viene assicurata l’indipendenza (ma la presenza di un regista nella società editrice sembra non essere un problema, se non per le accuse di molestie che erano circolate intorno a lui qualche anno prima): “Abbiamo incontrato più volte gli americani, anche Nekesa Mumbi Moody, la direttrice di The Hollywood Reporter” continua Concita De Gregorio “abbiamo fatto cene e incontri, una con Paolo Sorrentino, una con Luca Guadagnino… [...] Li ho ospitati a casa mia [...] Mi hanno chiesto di andare prima all’atelier di Valentino e poi al Colosseo”.

Quasi tutti i contratti della redazione vengono firmati tra dicembre e febbraio 2023. Le pubblicazioni partono con una grande festa per il lancio a palazzo Brancaccio, il 21 aprile 2023, giorno del Natale di Roma (“una festa da almeno 150.000€” sostiene una fonte anonima). Quello stesso mese si registra un ritardo di circa 15 giorni nei pagamenti degli stipendi, che fino a quel momento erano sempre arrivati in tempo, cosa che viene considerata una conseguenza delle spese di lancio.

La formazione della redazione

Tra i quattro e i cinque mesi prima della festa di lancio la direttrice Concita De Gregorio aveva formato la squadra, individuando in Boris Sollazzo (ex giornalista di Liberazione, Pubblico e Giornalettismo nonché direttore di festival) un vice direttore, mentre l’altro, Pino Gagliardi, è scelto da Brainstore. E si forma anche tutta la redazione con un misto di giornalisti di settore più esperti e meno esperti, come è normale. Alcuni vengono dall’Unità come Roberto Brunelli, caporedattore, o Daniela Amenta (anche collaboratrice con De Gregorio in altre imprese) che si occuperà del desk dei numeri cartacei, alcuni sono dei freelance a cui viene proposto un contratto a tempo indeterminato. Molti di questi contratti sono articolo 1, i più solidi e anche più onerosi. Le paghe, a detta di tutti i coinvolti, sono molto buone, più alte della media. Infine arrivano anche i collaboratori esterni, pagati a pezzo (la maggior parte) o con dei forfait (una minoranza). La redazione ha sede negli spazi di Brainstore media (“un open space a via Merulana. Un po’ New York, un po’ Berlino” dice De Gregorio).

Il modello economico

La scelta di Gian Marco Sandri, e quindi di Brainstore, da parte di Penske era stata vincolata alla presentazione di un piano. A partire dal secondo anno di vita era previsto che la testata avrebbe iniziato a produrre degli introiti e quindi a rientrare del grande investimento iniziale. Sandri stesso in una comunicazione fatta sul sito di THR ha stimato questo investimento dopo circa un anno dal lancio in circa due milioni di euro.

“Le questioni economiche non vengono condivise con la redazione di solito” commenta una fonte anonima parte della redazione “C’era una parte della società che faceva il marketing e la raccolta ma a me nessuno ha mai parlato di come pensavano di fare soldi, per me faceva fede che ci fosse Concita De Gregorio e avevo anche visto gli americani collegati via Zoom”. “Ho fatto i miei controlli e lui era stato fino a quel punto un imprenditore specchiato, non tardava mai un pagamento” spiega Sollazzo “la cosa era confermata da fornitori e persone che gli hanno dato credito quando c’è stato da dargli credito. Evidentemente anche la due diligence degli americani è incorsa nel mio stesso errore. Del resto se uno fino a quel momento ha società in attivo e non ha problemi con fornitori, né è protestato, è difficile immaginare che non sia affidabile”. “Io pensavo lo sostenessero gli americani” dice Amenta “ma dopo le prime riunioni, in cui chiedevamo loro dei materiali dall’edizione americana per il giornale di carta, e ce ne davano pochissimi, ho capito che non era così”. “L’idea che ci avevano detto era di non rivolgersi a società del mondo dell’intrattenimento, troppe testate vivono così, ma a brand molto grandi” spiega Gianmaria Tammaro, giornalista freelance, inizialmente coinvolto nella testata come consulente per la parte editoriale digitale “Fosse stato un investimento per una testata che nasce digitale poteva tranquillamente resistere grazie a quei brand che sarebbero comparsi a rotazione. Ma la dimensione del lusso che Sandri voleva era destinata alla carta”. “Io faccio il giornalista e non l'imprenditore e quindi ho dato per scontato che dietro queste convinzioni ci fosse della sostanza” ha detto una fonte anonima interna alla redazione.

“Il piano esposto da Sandri nelle prime settimane di lavoro era totalmente innovativo” continua De Gregorio, spiegando che non ci sarebbe stata dipendenza da inserzionisti, i quali per l’appunto sarebbero venuti in un secondo momento (sempre con la clausola che non fossero del mondo dell’intrattenimento): “C’erano stati fior di consulenti fino a quel momento, persone dal mondo dell’imprenditoria italiana, o legate all’america come Franco Amurri [regista cinematografico i cui film più noti sono Il ragazzo del Pony Express, Da Grande e Amici ahrarara ndr], molti dei quali individuati da Penske”. L’arrivo dei partner era previsto a partire dal secondo anno di vita.

A lavorare come Brand Manager viene chiamato a novembre 2022 Lorenzo Cecioni, uno dei due figli di Concita De Gregorio che hanno lavorato a THR Roma. Cecioni aveva lavorato nel settore della comunicazione per il parlamentare europeo Antoni Comin y Oliveres e ancora prima da un’esperienza nella testata Formiche: “Dovevo dare una mano nello sviluppo della strategia digitale e dei contenuti multimediali che sarebbero andati sulla piattaforma online. Dovevamo organizzare e costruire un gruppo giovane che avrebbe realizzato interviste e contenuti per i social, anche delle produzioni nostre per gli eventi o per i festival [...] nelle mie responsabilità c’era il rapporto con i potenziali inserzionisti e investitori che sarebbero dovuti arrivare dopo”. Cecioni spiega che il modello prevedeva la creazione di un gruppo di stakeholder composto da grandi nomi del settore bancario, assicurativo, automobilistico e del lusso, che sarebbero stati avvicinati nel tempo e a cui sarebbe stata data la possibilità di entrare in partecipazione alla società, sia con contenuti sponsorizzati che poi con lo sviluppo di strategie a lungo termine. Perché gruppi aziendali grandi e importanti avrebbero dovuto investire per avere una quota di THR Roma? “Perché possono avere un interesse non pubblicitario ma relazionale o perché vogliono che si parli di certe cose, come fa per esempio Intesa San Paolo quando finanzia i podcast di Alessandro Barbero. In più fomentano un’attività interessante che dà loro autorevolezza. Avrebbero avuto accesso a un mondo che per ragioni di relazioni e investimenti poteva essere interessante per sviluppo economico e finanziario di chi investe e della testata”. 

Una fonte anonima che è stata vicina alla testata ha commentato: “È tutto improbabile, in primis per il bacino di utenza e l’incidenza che può avere una testata del genere: non sei a Hollywood sei all’Esquilino che parli di Favino e Leone e non superi il confine”.

Sempre Cecioni spiega che “questo però funziona solo se si crea un rapporto fiduciario, perché c’è un direttore forte, una redazione nota e proprio un’iniziativa forte, dev’essere un investimento che dal lato multinazionale sia valido”. Tra i nomi che diverse fonti sentite hanno nominato parlando di possibili investitori c’è stato quello di Stellantis. Non tutte le parti ascoltate sono sembrate fiduciose del fatto che questi marchi sarebbero stati davvero interessati. Di certo il primo di questi a essere coinvolto, Valentino, si è voluto associare a THR Roma contribuendo alla realizzazione dei tre numeri cartacei, non però nella forma dell’investimento pubblicitario: “È stata un’avventura che abbiamo fatto insieme” dice De Gregorio, che tramite le sue relazioni aveva portato quel marchio. “Quando lei non è stata più direttrice, anche Valentino non c’è stato più” aggiunge una fonte anonima interna alla redazione. A detta di Cecioni la presenza di De Gregorio era la chiave per accedere a questi marchi: “Un’azienda che vuole fare un investimento vuole una garanzia di qualsiasi tipo, in questo caso l’editore non aveva le caratteristiche storiche d'impresa che potessero fornirne a dei giganti, perché la sua attività d’impresa era stata valida ma di secondo piano davanti ai grossi player. Il cavallo di Troia era che a dirigere il giornale ci fosse invece qualcuno che con queste persone ci si interfaccia e gode di autorevolezza per ragioni di carriera. Per un imprenditore spregiudicato si sarebbe trattato di capitalizzare l’investimento di un direttore importante e cercare di ottenere inserzioni tramite lei”.

I numeri cartacei

Il primo numero cartaceo, da collezione, di THR Roma esce in corrispondenza con il festival di Venezia del 2023, è un numero che celebra il festival. Il successivo sarebbe uscito in corrispondenza con la Festa del cinema di Roma, a Ottobre, entrambi con copertine disegnate da Pierpaolo Piccioli, all’epoca direttore creativo di Valentino. 

A occuparsi della gestione dei contributi e quindi proprio a fare i cartacei è stata Daniela Amenta, ex caporedattrice di l’Unità, una delle poche persone coinvolte a non avere arretrati con Brainstore (“Ho minacciato di non fare il secondo numero e quindi mi hanno pagato. Sennò proprio non glielo davo”). Amenta spiega che era un giornale con carta patinata da 125 grammi, quindi costosa, con foto di Getty e copertina in bassorilievo. La foliazoine prevista inizialmente era di 30 pagine “poi sono diventate 60, poi 120! E con quel popò di foto e interviste e firme!”. In quel numero Antonio Monda, ex direttore della Festa del cinema di Roma, aveva portato un’intervista esclusiva con Cate Blanchett: “Hanno contribuito e collaborato alla fattura di questi tre numeri nomi straordinari del mondo della cultura” dice De Gregorio. “Abbiamo avuto contributi incredibili, come l’ultima intervista a Giuliano Montaldo con la sua contribuzione, pezzi di Nicola Lagioia, Francesco Piccolo, Chiara Valerio, Vittorio Lingiardi, Paolo Sorrentino [la collaborazione con Paolo Sorrentino era nella forma della pubblicazione di un estratto riguardante Roma del suo libro La grande bellezza. Diario del film, concessa dall’editore del libro Feltrinelli ndr], l’anteprima della collezione firmata da Steven Meisel con Kaya Garber quando ancora non era uscita, l'anteprima mondiale del lancio della nuova collezione di Valentino…”. 

Anche l’art director era di alto livello, Pier Paolo Pitacco che aveva realizzato il progetto grafico e trovato un tipografo di Milano che avrebbe fornito un tipo particolare di carta. Ne vengono stampate 5.000 copie che costano secondo Amenta “almeno 25.000€ a numero”.

De Gregorio spiega che all’epoca aveva avviato contatti con Feltrinelli e il gruppo Gedi, per i quali lavora da anni “per una collaborazione artistica e per la distribuzione sul territorio”. L’idea era di potersi appoggiare alla distribuzione di Repubblica per il cartaceo di THR Roma ma anche di anticipare lì alcune esclusive ottenute: “Una collaborazione stretta imprenditoriale ed editoriale, così come con Feltrinelli, ma tutto vincolato alla mia presenza, perché ero la garante di queste relazioni”. Come spiega sempre De Gregorio con Valentino in quel momento non c’è un accordo economico, ma solo editoriale, anche le copertine firmate da Piccioli vengono realizzate a titolo gratuito: “Una collaborazione artistica”. Un’intesa verbale voleva che dall’anno successivo Valentino sarebbe entrato come partner di Brainstore: “Addirittura Valentino ha sostenuto il costo degli shooting di Niccolò Berretta con Kasia Smutniak, Alba Rohrwacher, Jasmine Trinca…” dice sempre De Gregorio “Foto pazzesche. Ognuna di quelle poteva essere una cover”.

Come per il primo anche per il secondo numero, quello uscito in occasione della Festa del cinema, non ci furono pagine pubblicitarie a pagamento: “Pensavo che qualcosa sarebbe entrato, invece solo tre pagine, gratis, per Festa del cinema, Alice e Bulgari” ricorda Amenta “Pitacco, non pagato, a un certo punto se ne andò e come nulla fosse arrivò un altro grafico; siamo passati dal progetto di una firma della grafica italiana e dell’illustrazione, alla copia fatta da un perfetto sconosciuto che non aveva le giustezze della carta. Non so come dirti… Non c’era margine per la rilegatura!”. Secondo i piani dell’editore, una volta a regime i numeri cartacei avrebbero dovuto essere 12 l’anno. Daniela Amenta, già prima del terzo (a cui ha collaborato in amicizia), si è separata dal progetto.

Concita De Gregorio non era presente molto ma quando c’era dettava la linea” dice una fonte anonima interna alla redazione “Di certo era più presente sul cartaceo, per lei il cuore era quello: la carta. Per una buona parte degli altri invece era il sito. Sul sito manteneva il controllo e deontologicamente era molto attenta, anche per i pezzi di moda era severa. Assicurava un lavoro giornalistico di base ben fatto”.

“Il problema, credo, è che era un giornale, assistendo alle cui riunioni preparatorie e leggendo il quale sembrava non interessasse niente a nessuno dei contenuti” commenta una fonte vicina alla redazione. “Non c’era una personalità, non c’era un’identità. Era il tipo di giornale attraverso il quale ognuno porta avanti i propri contatti e le proprie relazioni”.

La mostra di Venezia 2023

Nel mese di luglio viene saltata la prima mensilità e così ad agosto. Sorgono dei malumori. L’editore Sandri spiega che le spese sostenute per la festa di inaugurazione hanno ridotto la liquidità, da cui il primo ritardo, e che altri ritardi nei pagamenti li stanno creando le spese per la trasferta alla Mostra del cinema di Venezia.

Intanto, come da accordi, la redazione italiana e quella internazionale avrebbero collaborato alla copertura della Mostra, nella quale THR Roma è partner delle sezioni Biennale College e VR. Non si tratta di una partnership commerciale ma di una media partnership, significa che il giornale si impegna a coprire bene quelle sezioni e in cambio il festival si impegna ad agevolare questa copertura (cioè aiutare se non si trovano biglietti, mettere a disposizione i loro direttori di sezione per interviste, aiutare con interviste agli autori ecc. ecc.). A seconda dei resoconti il numero di persone che lavorano per THR Roma presente in quell’anno alla Mostra oscilla tra 20 e 25: “Io non volevo proprio andarci per protesta,” spiega Sollazzo. “Partiamo che siamo sotto di due mensilità, torniamo che siamo sotto di tre. E vengono fatti investimenti a cui io sono contrario, sollecitati da direttrice ed editore”.

Daniela Amenta ricorda: “A Venezia sono usciti fuori una serie di problemi. Era stata presa questa vecchia barca che ospitò Pasolini, l’Edipo Re, con addirittura una vela rossa con scritto The Hollywood Reporter, era stata affittata la Villa degli Autori [una location vicina al festival buona per uffici, eventi e piccole proiezioni ndr], tutti i redattori avevano una bici a noleggio, però c’erano state questioni con i pagamenti della pensione. Venendo da l’Unità avevo capito che qualcosa non andava”.

Lorenzo Cecioni, in quanto Brand Manager, aveva partecipato al sopralluogo per capire come gestire quella trasferta: “Andammo un mese prima ed era chiaro che era troppo poco, eravamo troppo a ridosso. Per organizzare una trasferta simile senza spendere eccessivamente occorre andare un anno prima. Sandri invece ha pagato tutto a prezzo pieno. Uno sproposito. Scelse di mostrare i muscoli. Ma chi faceva il giornale iniziava a preoccuparsi per esempio del fatto che nella Villa degli Autori non si facevano quei junket a pagamento che sarebbero serviti a fare cassa [si intende quando si affittano gli spazi a ora alle distribuzioni così che lì si possano tenere le sessioni di interviste tra i loro talent e i giornalisti ndr]. Non vedevamo tentativi di recuperare i soldi”. 

È plausibile quello che ha dichiarato Sandri? Cioè che abbia speso due milioni in poco più di un anno? “Il progetto di lancio di un’iniziativa editoriale di quella dimensione è proprio di un milione e mezzo o due. Lo so perché ho fatto uno studio specifico: il costo di avviamento per essere ai festival giusti nei modi giusti e fare tutto come va fatto è quello. È certificato. Quindi sì, plausibilmente ha speso due milioni. Ma male, molte cose sono state strapagate”. A oggi fonti interne alla redazione sostengono di aver saputo da diversi fornitori a cui Brainstore si è appoggiata per la trasferta di Venezia che non sono stati saldati i conti con loro.

Quando a settembre non arrivano gli stipendi la ragione sono le spese straordinarie di preparazione della trasferta alla Mostra di Venezia: “Ci disse ‘Ci sono state spese last minute… Siamo in startup… È la prima volta che affronto questo impegno… Vi chiediamo uno sforzo…’” dice una fonte anonima. “Io sono stata sempre molto prudente e parca” spiega Concita De Gregorio “Le collaborazioni che ho attivato sono state a titolo gratuito: Piccioli ha portato a Venezia il cast di Priscilla che lui vestiva. Non ho forzato la mano sulle spese, ho fatto un piano di composizione della redazione che era totalmente sostenibile. La presentazione e i fasti sontuosi a palazzo Brancaccio non erano una mia scelta, è stato l’editore a decidere che la presentazione si facesse lì e che a Venezia andasse tutta la redazione, io avevo proposto di portare cinque persone”. “Non mi pare che le spese venissero da Concita De Gregorio. Cioè lei usava solo i suoi vestiti!” aggiunge Daniela Amenta “Anzi mi pare proprio che l’unico marchio, cioè Valentino, sia arrivato da lei. Era l’amministrazione a fare queste cose, Concita De Gregorio non sapeva nemmeno dove sarebbero andati a dormire, hanno preso un appartamentino con le colleghe per evitare di andare in albergo e pesare ancora di più. Né sapeva dove si tenessero queste feste”.

La fine della prima direzione

Tra settembre e dicembre la maggior parte della redazione non riceve lo stipendio se non (alcuni) per sparute mensilità e, tra le proteste e le richieste di chiarimenti, gli arretrati saranno saldati solo a dicembre.

Penske Media aveva in quel momento acquisito i Golden Globes, cioè l’organizzazione della serata di premiazione dell’associazione stampa estera americana. Nell’occasione della prima cerimonia di Penske, a gennaio, l’editore Gian Marco Sandri va in trasferta a Los Angeles insieme al sindaco di Roma Gualtieri. “Avevamo appuntamento al suo ritorno per un chiarimento sulla questione degli stipendi” dice De Gregorio.

Prima del ritorno però non viene rinnovato il contratto della direttrice Concita De Gregorio. Era un contratto 1+1, che prevedeva due anni di avviamento e poi basta (“Non volevo fare questo lavoro tutta la mia vita” commenta De Gregorio) e che era per l’appunto vincolato a un rinnovo automatico a meno di altre comunicazioni, che invece arrivano. “Mi è stato detto tramite una PEC che ho ricevuto pochi minuti prima della mezzanotte alla quale il contratto si sarebbe rinnovato automaticamente” spiega De Gregorio. Gian Marco Sandri in quella mail dice di non volersi più avvalere del contributo di Concita De Gregorio e di aver individuato in Boris Sollazzo la persona che avrebbe diretto di lì in avanti il giornale. “A mio parere il lavoro non era terminato” dice De Gregorio “Il primo anno è stato glorioso, avevo messo in campo contatti e aperto prospettive ma andava consolidato per poi arrivare anche al consolidamento economico”.

Secondo Cecioni finito il rapporto con De Gregorio finiscono anche gli interessamenti dei grandi gruppi. Viene citata Stellantis e soprattutto Valentino, interessato a entrare nella società come da piano, con addirittura i contratti pronti per la firma: “Non erano interessati alla testata in sé che era nata da pochi mesi ma alla potenza del progetto”. Perché allora Sandri, che di certo sapeva tutto questo, non ha rinnovato il contratto e ha rinunciato a quei soldi? “Credo che l’errore che ha portato a sofferenze economiche sia stato di non capire il momento. Non ha voluto diluire le proprie quote e il proprio controllo sull’attività. Dopo un anno sono giunto alla conclusione che sia stata una questione di orgoglio”.

Una fonte anonima vicina alla redazione ha un’altra lettura: “Tutta la partita di Valentino aveva un valore alto, ma so che quel pezzo di carta vidimato da Piccioli è stato anche uno dei motori del suo allontanamento da Valentino [la fine del rapporto tra Piccioli e Valentino è arrivata a marzo di quell’anno, ndr]. Di certo la mission del giornale non poteva essere Valentino, era assurdo vedere Piccoli in copertina. Una marchetta spaventosa!”.

Per Concita De Gregorio i suoi interlocutori sono sempre stati gli americani, cioè il gruppo Penske: “Elisabeth Rabishaw è stata la persona con cui ho dialogato in prima battuta, con loro ho conosciuto i licenziatari giapponesi [la cui sede ha aperto in contemporanea a quella italiana ndr] ed era a tutti gli effetti un’operazione diretta e guidata dal gruppo Penske”. Secondo De Gregorio il problema con Brainstore è stata che da licenziatario italiano si era convinto di poter esercitare un ruolo da editore, ma comunque con eccessiva invadenza: “Lavoravamo nello stesso open space e ci vedevamo tutto il giorno tutti i giorni. Io De Benedetti nella mia vita l’ho incontrato tre volte, Sandri trentamila e solo in un anno. Andavano delimitati i campi e mi sono fatta rigida nel delimitarli”.

Alcune delle persone sentite hanno raccontato di una spaccatura che si era creata in quel momento tra parti della redazione, per usare le parole di una fonte anonima interna alla redazione stessa: “La verità è che Concita De Gregorio e Sandri non si potevano vedere, lei gli rompeva perché non voleva ingerenze sul giornale e aveva un ego gigante, difficile da gestire, gli altri pure lo soffrivano. L’idea quindi a un certo punto è stata che senza di lei (e il suo stipendio) l’editore sarebbe ripartito con i suoi uomini”. C’è chi accusa i vice di non aver mai partecipato alle riunioni in cui si discutevano i ritardi dei pagamenti (a cui i vice rispondono di aver chiesto l’elezione di un fiduciario, mentre Sollazzo ha precisato che una volta diventato direttore la sua presenza avrebbe invalidato le suddette riunioni), e c’è chi parla di un modo di gestire la redazione da parte della direttrice all’insegna del divide et impera, di litigate e messaggi molto molto duri. 

“Credo che il giornale si potesse fare anche con un terzo di quello che è stato speso, ma il board la pensava diversamente” spiega Sollazzo “La linea editoriale era quella di fare 20 video per i David andando anche in trasferta a Palermo per intervistare Ficarra e Picone”. Senza sapere di questo virgolettato la direttrice De Gregorio dice: “L’editore garantiva trasferte sontuose come quella per la settimana della moda, per esempio, con un inviato a Milano per 10 giorni, e se il vice voleva andare in Sicilia a intervistare Ficarra e Picone ci andava”.

Secondo Boris Sollazzo i vice non avevano deleghe dalla direttrice e non potevano decidere trasferte o spese: “Non mi risulta che ci siano decisioni con conseguenze economiche che siano state prese a sua insaputa, ma non era l'amministratore delegato né l'editore e aveva tutto il diritto di chiedere. Aveva un modo di decidere da grande giornale, e grande giornalista, del Novecento".

Riguardo questo argomento Cecioni fornisce una descrizione delle dinamiche: “Bisogna aver presente come Scalfari si comportava coi giornalisti. Ci sono certi giornalisti che se diventano direttori vogliono dei risultati e hanno modi ruvidi, da fine ‘900, da giornalisti degli anni ‘90. Bruschi. Che quindi poi possa non correre buon sangue con parte della redazione è normale e giustificato, ma secondo me è stato sbagliato da parte del vicedirettore Sollazzo accettare la direzione. Così si è dato in mano a un editore che si è comportato con i giornalisti in modi schifosi, quando invece avrebbe dovuto mettersi dalla parte di una persona con cui aveva avuto un rapporto scontroso ma avevate fatto un buon giornale e alla quale era legata la possibilità che arrivassero gli investimenti. Meglio la burrasca che non essere pagati”. 

A questo Boris Sollazzo risponde: “Non credo di essere mai stato il suo giornalista preferito. Ho accettato la direzione per spirito di servizio, non c’era spazio per tenere Concita De Gregorio purtroppo, ho anche tentato di far capire che senza di lei non sarebbero arrivati i soldi. Ma la persona che era prevista in alternativa a me era una che avrebbe mandato via tutti. E quindi ho accettato”. 

Concita De Gregorio commenta così l’avvicendamento: “Sollazzo aveva la mia totale fiducia, l’ho scelto io contro l’editore che non era convinto e aveva un altro candidato per il quale spingeva molto. L’ho voluto fortemente e penso che sarebbe stato meglio avere due anni di tempo per questo passaggio. Invece credo che sia stato lasciato in una situazione di difficoltà che non mi auguravo per lui e per la redazione”.

A quel punto diventa dunque direttore Boris Sollazzo. “Prima di andarmene ho preteso il rinnovo di tutti i contratti, in modo che se pure non avessero ricevuto delle mensilità, avrebbero avuto la possibilità di rivalersi, e non ho voluto vedere i miei di soldi fino a che non erano stati saldati quelli dei ragazzi” dice De Gregorio, che poi continua che poi ha continuato “e ancora adesso io non ho ricevuto sei mensilità”. “Io e Pino Gagliardi a dicembre, quando la società ha saldato i suoi arretrati, abbiamo rinunciato al saldo dei nostri di stipendi per essere certi che invece li avessero tutti i redattori” dice Boris Sollazzo (confermato da una seconda fonte). 

La seconda direzione

Pochi giorni dopo l’insediamento della nuova direzione, tra gennaio e febbraio del 2024, il sito di THR Roma va offline, cioè non è più raggiungibile. Tornerà online circa cinque giorni dopo. Viste le difficoltà economiche che la testata attraversava in molti suppongono sia stato un problema di mancati pagamenti dei server o di chi assicura il mantenimento della piattaforma su cui si regge il sito: “Ero direttore da quattro giorni. Cosa sia successo è fuori dalla mia comprensione” dice Sollazzo. A fare chiarezza sarebbe poi arrivata una dichiarazione dell’editore in cui viene spiegato che il sito fu vittima di un attacco hacker (“Una spiegazione che non sta in piedi e fa acqua da tutte le parti” commenta una fonte anonima vicina all’editoria e alla redazione di THR Roma). 

A quel punto il lavoro redazionale continua anche perché, in quel momento, gli arretrati sono stati saldati (esclusi quelli di direzione e vicedirezione) e ci sono diversi elementi che fanno pensare che la situazione si possa risolvere: “Sembrava che fosse veramente un problema di liquidità” dice Boris Sollazzo “perché poi quell’anno è stato quello del crollo degli investimenti, dello sciopero degli sceneggiatori e attori, e quella mossa di dicembre ci aveva tranquillizzato. E poi è difficile lasciare una testata che hai fatto nascere”.  “ A dicembre ci era parso che l’aver pagato gli arretrati fosse un buon segno” dice Roberto Brunelli “e allora forse davvero si era trattato di una stretta momentanea. In realtà abbiamo scoperto da gennaio in poi che era peggio di prima. Nonostante Sandri abbia detto pubblicamente, mi pare proprio a inizio gennaio, che c’era la copertura per il 2024, già da subito non riuscì a rispettare i termini di pagamento”. A febbraio esce anche il terzo numero cartaceo preparato dalla direttrice Concita De Gregorio, ma uscito sotto la nuova direzione. 

Le sofferenze continueranno, anche se a intermittenza, con diverse mensilità non pagate lungo il 2024. E di questo soffrono, già a partire dal 2023, anche i collaboratori esterni, la grande parte dei quali, secondo la redazione, ha arretrati ingenti: “Ho cominciato a non essere pagato a luglio e agosto, poi a dicembre mi sono state saldate due mensilità (non senza insistenze) e poi niente”, dice Federico Boni, vicedirettore di Gay.it, che scriveva un articolo a settimana e ora conta nove mesi di arretrati. 

Similmente Alberto Crespi, ex giornalista di l’Unità, speaker e autore di Hollywood Party e critico di La Repubblica, spiega di avere un arretrato di cinque mensilità dopo le quali ha interrotto la collaborazione: “In totale ho emesso sette fatture ma me ne sono state pagate due. Io però intanto l’IVA l’ho dovuta pagare su tutte e non era poco perché i primi due tre mesi, prima che mi proponessero un fisso, ho scritto veramente molto. Ho seguito Cannes come se fossi il loro inviato”.

Ancora prima se n’è andato Gianmaria Tammaro, coinvolto fin dall’inizio ma poi rimasto esterno: “Ero consulente per l’area digitale e collaboratore esterno, quindi aiutavo sull’area digitale e social e sulla comunicazione con Livia Paccariè, la persona che si è occupata dei social, e facevo proposte ma avendo la redazione assunta non c’era molto spazio. E poi non mi ritrovavo nella linea editoriale”.

Le ripetute difficoltà portano la redazione a indire prima uno sciopero il 27 marzo, durato tre giorni grazie all’arrivo di un parziale saldo dei debiti dell’azienda. THR Roma intanto in quei mesi continua a lavorare regolarmente, ma la testata a maggio non ha una presenza al festival di Cannes (“Non mi sembrava il caso, in quella situazione, con mensilità arretrate, di spendere soldi. Le priorità sono i giornalisti” dice Sollazzo). In mancanza di nuovi emolumenti o garanzie infatti la redazione entra nuovamente in sciopero il 22 maggio per cinque giorni. 

L’editore risponde a questo sciopero in una nota scrivendo:

Ciò che nel comunicato è visto come pericolo, è invece spending review. Con il primo anno di vita che considero un dry run oggi ho una chiara evidenza di come funziona questo tipo di macchina, l’effort che deve essere indirizzato e la struttura dei costi necessaria allo sviluppo del progetto consolidando l’asset internazionale [...] Con senso di responsabilità e massima sincerità ho già comunicato in passato che saremmo tornati a regime nel terzo trimestre del 2024.

Intanto, al rientro da uno degli scioperi, dopo che Sandri aveva saldato una delle molte mensilità dovute, la redazione decide di riprendere a lavorare ma da casa, in smart working, promettendo di tornare in redazione al saldo completo: “Ci dicevano che stava per arrivare la seconda tranche, non si capisce da quale fonte, lui diceva da commesse dell’altra sua società, ArtMediaMix” precisa Brunelli. Prima del weekend la redazione viene informata che il lunedì successivo sarebbero tutti dovuti andare a prendere le cose lasciate in ufficio perché dal martedì questa non ci sarebbe più stata: “Ci venne venduta come un’operazione di spending review” dice Brunelli “ma anche lì non lo so se semplicemente non pagasse”.

Un nuovo comunicato del 19 giugno annuncia un altro sciopero (il terzo) di cinque giorni perché continuano a mancare pagamenti e garanzie. Nella medesima nota l’editore ribadisce che “l’azienda conferma che, grazie ai piani e alla spending review avviata, si prevede il ripristino dell’equilibrio finanziario entro il terzo trimestre del 2024, a meno di un anno dal lancio commerciale”. Un ultimo comunicato, simile ai precedenti, viene pubblicato 15 giorni dopo.

La fine del progetto

Alla fine, dopo diversi comunicati a cui sono sempre corrisposte assicurazioni da Sandri che la liquidità sarebbe arrivata nel terzo trimestre del 2024, la redazione in blocco decide di dimettersi. Ad oggi il grosso della redazione ha tre mensilità arretrate mentre il caporedattore Brunelli ne ha cinque, Pino Gagliardi e Boris Sollazzo otto più la tredicesima e la quattordicesima. A inizio luglio nel colophon compare un nuovo direttore, Alessio De Giorgi, ex social media manager di Matteo Renzi e, come già Brizzi, attivo nell’organizzazione della Leopolda. Il sito e i social media, dopo diversi giorni di mancato aggiornamento, ricominciano così la pubblicazione di traduzione di articoli americani e pubblicazione di piccole news o copertura tramite video da festival come Ortigia, Videocittà e Ischia Global Festival. Nel Centro di competenza linguistico, cioè la parte che si occupa delle traduzioni, compare uno dei pochi nomi in continuità con la precedente gestione: Franco Amurri.

A oggi Concita De Gregorio lamenta la scarsa presenza, dopo la fase iniziale, della casa madre nella gestione del giornale: “Non mi stupisce che Sandri abbia fatto una scommessa editoriale sbagliata. L’editoria è costata tanto a tanti, perché costa e non rende, lo sanno tutti. Lo diceva Agnelli: bisogna avere un core business diverso per dedicarsi all'editoria. È un settore in cui hai a che vedere con artisti e intellettuali, non è una fabbrica. I giornali si fanno per amore della cultura e per passione. Non per i soldi. I giornali danno un potere culturale e reputazionale. Quello che mi stupisce è la casa madre, vista la relazione avuta nei primi mesi. Penske non ha ritenuto di controllare e governare anche dal punto di vista della reputazione la gestione di questa testata in Italia. Io ho subito scritto alla mia omologa americana [la direttrice di The Hollywood Reporter ndr] che andavo via contro la mia volontà e senza che il progetto fosse terminato ma senza risposta, e mi stupisce che gli americani l’abbiano lasciato andare alla deriva”.  “Io non so che ci fosse nel suo contratto con la casa madre” dice Brunelli “ma visti i vincoli stretti mi pare impossibile che lui abbia ottemperato a tutti gli obblighi e non sia nei guai anche con loro”.

Contattato per un commento Scott Roxborough, capo dell’ufficio europeo di THR e persona che ha avuto molti contatti con la redazione italiana per questioni editoriali (la parte economica invece non riguarda THR ma Penske), precisa di non poter parlare in nessun modo riguardo le posizioni ufficiali di THR o del futuro coinvolgimento con la redazione italiana e poi aggiunge: “Posso tuttavia dire che non abbiamo contatti con la nuova redazione, non penso lavoreremo con loro a Venezia”.

“Io credo non si sia reso conto della realtà del mercato,” dice Brunelli. “Forse si era illuso che davvero arrivassero contratti pubblicitari milionari in trenta secondi. Non ha saputo relazionarsi a questo mondo, pensava di fare il grosso e fare le feste e poi sarebbero arrivate le milionate, basandosi su un marchio pazzesco e sul lavoro della redazione”. 

“Non lo odio,” commenta una fonte vicina alla redazione. “Non è un imprenditore che si è arricchito alle spalle dei giornalisti a cui non ha pagato gli stipendi, ma uno che ci ha rimesso soldi di tasca sua”.

La redazione dimissionaria ha intrapreso un’azione legale congiunta per riavere le mensilità mancanti.

Le immagini utilizzate nell'articolo sono scatti della rivista cartacea.

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