Perché Pinocchio di Guillermo del Toro non poteva essere fatto che in stop-motion
Perché Pinocchio di Guillermo del Toro non poteva essere fatto diversamente dalla stop-motion, tecnica così integrata con il suo significato
Guillermo del Toro ha da sempre da un amore sfrenato per l'animazione. L'ha messo in pausa per lasciare spazio al live action, ma non è mai tramontato. Nelle stanze della sua immaginazione deve esserci un cassetto stravolto di progetti nati dalla passione, desideri di creazione che ogni tanto riesce a realizzare. Pinocchio è uno di questi. Chi ha provato a contare gli adattamenti dell’opera di Collodi ha detto che ci sono circa 60 versioni delle avventure del burattino di legno. Nessuna è come quella di del Toro, che ha scelto di stare alla larga da tutte le altre interpretazioni per filmare a una trasposizione personale e libera. L’ha fatto scegliendo una delle tecniche realizzati più difficili di sempre: la stop-motion.
L'imperfezione tattile per raccontare la fragile esistenza
Guillermo del Toro è un regista capace di visioni immaginifiche, eppure anche estremamente pratiche e tangibili. Parte così dalla consistenza di Pinocchio, dalla materia che gli dà vita. Il film stesso parte dal legno. Indiewire ha raccontato che il compositore Alexandre Desplat ha utilizzato solamente strumenti in legno per la colonna sonora: piano forte, chitarra, mandolino, flauto, oboe e marimba.
L’immagine più potente non poteva nascere da nessun’altra tecnica se non la stop-motion: il paese dei balocchi è un campo di addestramento. I balilla e i soldati sono privati della loro umanità proprio mentre Pinocchio impara il dramma di essere vivi. Il saluto fascista, il braccio alzato, è un movimento che nella tecnica del passo uno non si distingue da quello della marionetta. Pinocchio è libero, senza fili, gli altri credono solo di esserlo, ma sono tenuti in pugno da catene invisibili dell’ideologia. I meccanismi che gli alzano quel braccio, quasi senza controllo.
Una fiaba di persone imperfette, ferite, a cui manca un pezzo, che si tramuta in marionette realmente animate, toccate, scalfite, da un narratore. Così del Toro ricerca in ogni fotogramma l’imperfezione tattile della materia. Con il suo team fa un lavoro certosino per rappresentare come il legno reagisce ai tagli, alle cadute e deve accettare la sua rigidità, opposta alla morbida carne.
Pinocchio tra la vita e la morte
Il regista ha raccontato che la scelta di usare la stop-motion invece che la più comune (e ugualmente dispendiosa) computer grafica, viene dalla natura stessa del gesto cinematografico.
Con la computer grafica c’è un’intera macchina tra te e il personaggio. Hai un mouse e un trackpad o uno schermo, ma non tocchi fisicamente i modelli. Noi volevamo riportarlo a un livello quasi spirituale, come un’invocazione fantastica.
Il film è permeato di morte. Senza affrontare mai direttamente il tema del destino, anche questo Pinocchio deve fare i conti con il libero arbitrio. Invece che adeguarsi alle regole del mondo, il burattino che vuole diventare bambino acquisisce la disubbidienza degli adolescenti. Il bisogno di vita che si colma solamente piegandone le regole e facendo esperienze. La ribellione è un atto positivo, soprattutto quando nasce dalla purezza di chi non ha ancora dovuto scendere a compromessi con il male e l’egoismo distruttivo.
Morte dopo morte, emerge la sfumatura orrorifica dell’intera messa in scena: è un mondo di non vivi. Geppetto non lo è più da quando è morto Carlo. I suoi movimenti sono diventati più pesanti, meno fluidi. Pinocchio fa il suo ingresso come uno zombie, una creatura mostruosa a metà dell’esistenza. Ma in fondo tutti vivono in un limbo. Una terra che va verso l’apocalisse, in cui le preghiere sono grida disperate di genitori lancinati dalla perdita o vuote superstizioni.
I personaggi sono fermi, 24 fotogrammi al secondo. Sono cadaveri mossi da mani invisibili che li portano da uno stato di morte all’altro, illudendoci e illudendoli di essere vivi. È questo lo stato dell’anima, la celebrazione spirituale, che il film voleva raggiungere. Lo fa benissimo, lasciando un retrogusto di angoscia che è un sapore che pochissimi riescono a ottenere e gestire.
Con un controllo così ossessivo che è richiesto dalla tecnica, c'è anche spazio per gli errori. Così ha detto il regista:
Abbiamo deciso di fargli compiere degli errori, quando si lavora con gli attori ci si aspetta che venga creato qualcosa che sembri vivo perché affidato al caso. Nel caso dello stop-motion, abbiamo dovuto prevedere tutto, animando gli errori. Quindi nella scena che vedrete, Geppetto inciampa, colpisce per sbaglio una bottiglia che è a terra, barcolla… Tutto quello che vedete è stato previsto per renderli più umani. Hayao Miyazaki dice: “Se animate l’ordinario diventerà straordinario”.
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Pinocchio è il film di Geppetto
Il parallelismo tra l’atto di dirigere un film e quello di creazione di Geppetto è evidente. In questo adattamento è lui il vero protagonista, è in lui che del Toro riversa tutta la sua simpatia. Ne condivide il dolore; si vede quanto vorrebbe donargli un sollievo, ma non può farlo per le regole della storia.
In un’altra scena magistrale, il Pinocchio che si muove in passo uno, incontra un altro uomo tra la vita e la morte: il crocifisso. Un simbolo fermo, di legno, che dovrebbe rappresentare il momento più alto dell’esistenza religiosa: la fine e un successivo inizio su un piano spirituale. Invece gli uomini, rozzi, terreni, si preoccupano solo che la rappresentazione di legno sia terminata dall'autore. Pinocchio è al contrario imperfetto ma pieno di una vita che non gli viene mai riconosciuta. Trattato come un mostro sembra agli occhi dei concittadini qualcosa di pericoloso perché libero e incontrollabile. Che vada a scuola quindi, in un luogo dove le regole sono chiare e la divergenza di opinioni non è accettata.
Un film su un burattino fatto con i burattini. All’interno del racconto tutti hanno ben chiare le differenze. Noi no. Perché Geppetto, il podestà, il prete, si muovono proprio come il ragazzo di legno, hanno la stessa fioca luce negli occhi. Come Gesù condivideva il lavoro di falegname di Giuseppe, anche tutti gli altri personaggi si rispecchiano in un rapporto di continuità tra padre e figlio. Geppetto dà vita a Pinocchio nel tentativo di sostituzione. Costruisce un simulacro a Carlo, proprio come gli animatori fanno con i loro fili: crea qualcosa di simile a ciò che è reale e lo spinge ad esistere. Padri che danno la vita, e padri che portano alla morte. È il caso di Lucignolo, anche lui idealizzato, e infine sacrificato.
Con l’uso della stop-motion Guillermo del Toro ha così amplificato enormemente la risonanza del suo messaggio simbolico. È un regista che ha desiderato per anni dare vita a questo racconto così personale, legato alla madre e alla sua infanzia. Ora che è lui stesso il genitore di un film che ha perduto molti altri progetti, ci dice che creare qualcosa di bello, attraversato da un’energia artistica e vitale, è un processo che va al contrario del controllo. Puoi mettere i fili alla tua materia, puoi farla muovere controllandola ad ogni decimo di secondo, ma poi il compito di un padre è lasciare che la vita scorra incontrollata, proprio come un grande film che si svolge spontaneamente sotto gli occhi incantati dalla magia del movimento.