Monster Hunter sarebbe dovuto uscire dopo

Monster Hunter sarebbe venuto meglio se avesse aspettato e imparato come si traspongono i videogiochi da The Last of Us e Fallout

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Monster Hunter è su Amazon Prime Video

La sfortuna più grossa di Monster Hunter è stata forse quella di uscire in piena pandemia, una condizione che ha ammazzato franchise ben più influenti di quello di Capcom e che ha condannato il film di Paul W.S. Anderson a un flop clamoroso in termini economici. Subito dopo, ed è quello che ci interessa di più, c’è il fatto che sia uscito ben prima dei vari The Last of Us e Fallout. Direte “ma quelle sono serie, cosa c’entra?”. C’entra eccome: non vorremmo essere troppo tranchant e in questo modo togliere meriti a piccole perle come Silent Hill, ma non crediamo di esagerare se diciamo che le serie succitate hanno segnato un punto di non ritorno (in positivo!) per gli adattamenti videoludici, dimostrando come si facciano e che è possibile prendere un’opera interattiva e trasformarla in una passiva senza farle perdere fascino e valore.

Monster Hunter e i videogiochi

Il modo corretto per compiere questa operazione è presto detto: bisogna rispettare il materiale di origine e non pensare che vada migliorato o reso più adulto e maturo (non in termini di quanto sangue e violenza contenga, ma di approccio tematico). Bisogna fare come si fa con i libri: non esiste una formula standard, ci sono videogiochi che funzionano così come sono e vanno solo lievemente adattati al nuovo medium (The Last of Us), altri che parlano di un mondo e lo raccontano con dovizia di particolari, senza però concentrarsi per forza su uno o più eroi ricorrenti, e che quindi vanno trattati come ha fatto Fallout, inventandosi una storia nuova che abbia un senso all’interno del franchise di riferimento.

Ammettiamo senza problemi che con Monster Hunter non era facile compiere nessuna delle due operazioni. Il metodo TLOU non può funzionare, perché parliamo di giochi con un protagonista senza volto e senza nome fino a che non viene creato da zero dal giocatore. Ma anche il metodo Fallout ha i suoi problemi: il mondo di Monster Hunter è prima di tutto i suoi mostri grossi, in second’ordine i suoi elementi di contorno (i Palico, le armi sproporzionate), e solo alla fine è un universo con una mitologia e un passato su cui costruire. Mitologia che peraltro cambia di capitolo in capitolo: assumiamo che Paul W.S. Anderson si sia ispirato a quello che al tempo era l’ultimo uscito, Monster Hunter World, ma qui e là nella sceneggiatura si trovano tracce anche di altri giochi passati, e pure di cose inventate di sana pianta dal signor Marito di Milla Jovovich.

La soluzione di Paul

Di fronte a questo complicato dilemma, Paul W.S. Anderson decide di porsi con l’arroganza che lo contraddistingue dai tempi in cui stravolse Resident Evil: inventando di sana pianta una storia di mostri, e appiccicandoci sopra i vari marchi del franchise, dai nomi dei mostri alle succitate spadone. Il risultato, purtroppo, è un film molto poco interessante, e che forse avrebbe potuto essere salvato solo da un sequel, o da una trilogia pianificata. L’errore fondamentale, se chiedete a noi, è quello di applicare il protocollo Un americano alla corte di Re Artù, prendendo una persona che viene dal nostro pianeta e scaraventandola in un altro universo, popolato di mostri grossi e Tony Jaa.

Questo significa innanzitutto che il primo atto di Monster Hunter, e buona parte del secondo, sono sostanzialmente l’attesa che succeda qualcosa di interessante. I soldati terrestri non lo sono, non lo è il deserto dove incontrano per la prima volta un Diablos, e i primi bagliori di attenzione li provoca non tanto il salto nel mondo altro, quanto l’arrivo di Tony Jaa, nei panni di fatto del Virgilio dei mostri grossi, che accompagna l’ignara Milla in un safari alla scoperta dei bestiali abitanti di questo universo parallelo. E anche qui, Anderson sceglie di dedicare gran parte della sua attenzione al rapporto tra i due, al punto che il secondo atto di Monster Hunter è occupato per lunghissimi minuti da quello che non è altro che un training montage diluito. Dopodiché, intendiamoci: Jaa e Jovovich hanno una discreta alchimia, e vederli menarsi è sempre un piacere, come è un piacere vedere un mito delle arti marziali in un ruolo da quasi-protagonista in un film di Hollywood. Quello che manca è il contorno, il mondo, il respiro.

È previsto che si vedano dei mostri nel suo parco dei mostri?

Respiro che arriva troppo tardi, accompagnato da Ron Perlman. Nel momento in cui Artemis accetta la sua situazione e decide di entrare in azione collaborando con il Cacciatore, Monster Hunter si apre e comincia a puntare anche sui paesaggi, sui colpi d’occhio, sull’immaginazione visiva – un’altra caratteristica soprattutto di World e Rise che Anderson si dimentica fino a che non è troppo tardi. O forse non proprio “troppo tardi”: quando finalmente ingrana, Monster Hunter mostra sprazzi del filmone che sarebbe potuto diventare con un po’ più di coraggio e inventiva.

E proprio per questo il finale è una mezza delusione: è il primo vero combattimento che ricorda quelli dei videogiochi per concezione e direzione, e finisce sul più bello e troppo presto. Se tutto Monster Hunter fosse stato una serie di scontri come quello contro il Gore Magala staremmo parlando, se non di un capolavoro, per lo meno di un gran bel kaiju movie. Invece il film è appesantito da tutta una serie di elementi poco interessanti e dalla generica sensazione che chi l’ha scritto (cioè lo stesso Anderson) non avesse un’idea chiarissima di dove andare a parare. D’altra parte è un difetto comune a tutti i film di mostroni di questi anni, a partire da quelli con Godzilla, King Kong o entrambi. Resta la curiosità di sapere come uscirebbe oggi, dopo che altri hanno dimostrato il modo giusto di fare opere audiovisive tratte da videogiochi.

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