Mad Max: Fury Road il prologo è il libretto delle istruzioni del film | Un film in una scena
Un film in una scena: il prologo di Mad Max: Fury Road dura sei minuti e serve a George Miller per dettare le regole di ingaggio
Non è molto normale avere nostalgia di scrivere una rubrica. Però noi di BadTaste siamo strani come i matti delle wasteland, così abbiamo sfruttato l’arrivo di Furiosa come una scusa per riprendere una serie di articoli che ci ha accompagnati qualche anno fa: un film in una scena. Qui si analizza un film prendendo pochi minuti, una scena sola appunto, cercando di mostrare come tanto possa essere raccontato con poco. Il modo migliore per riaccendere i motori e ripartire era proprio prendere un film che sembra un’unica lunghissima sequenza: Mad Max: Fury Road.
Un film in una scena: il prologo di Mad Max: Fury Road
“Il mio nome è Max. Il mio mondo è fuoco e sangue”.
Voci fuori campo fortissime. Il prologo sembra un trailer, come tutto il resto del film. Il montaggio non ha senso. È troppo rapido, esagerato, enfatico per essere sostenibile per tutto il film. E invece…
Si inizia con un campo medio. Una visione sul nulla: la morte del deserto post apocalittico. L’inquadratura resta a lungo, poche altre dureranno allo stesso modo. Un’attesa sospesa che permette di notare, subito dopo aver visto l’orizzonte, un uomo e il suo veicolo. Un leggero movimento in basso e un cambio di fuoco mostra due lucertole vicine alla cinepresa. Appena si muovono, spaventate da qualcosa che sta arrivando dal fuori campo, si scopre che era un inganno visivo: le lucertole sono in realtà una lucertola sola con due teste! Benvenuti nel mondo radioattivo di Mad Max. Fate un respiro profondo e si parte.
L’azione entra in scena da dietro la cinepresa in Mad Max: Fury Road
Max entra nella macchina e fugge dai saprofagi che entrano in scena in un modo splendido. Una direzione che racconta cosa sia in realtà questo questo film. I veicoli saltano fuori da dietro la cinepresa. Ovvero dove è collocato il regista a dirigere l’azione. Arrivano dalla sua mente.
L’eroe della storia è stato tranquillo tutti questi anni (anche se dice di averli passati lottando), ora George Miller lo risveglia buttandogli addosso dei nemici e quindi una storia. Non è un caso che pur nel silenzio… non sentiamo il rumore dei loro veicoli avvicinarsi. Quando arrivano sono già vicini. Max scappa troppo tardi. Lo catturano. Il racconto può iniziare.
“Donatore universale 0-negativo alti ottani” non è il massimo come tatuaggio, ma è quello che ci si becca a venire imprigionati in un mondo anemico in cui gli uomini sono usati come sacche di sangue-energia-carburante. È la prima, grande, idea del film.
La seconda arriva contemporaneamente alla fuga di Max (30 secondi di numero dopo la cattura). George Miller ha più volte spiegato che la sua idea di azione coincide con la purezza del cinema muto, l’epoca in cui si sono stabilite le regole e la sintassi del cinema. I personaggi in Mad Max: Fury Road si muovono come gli attori di Méliès, ripresi con un numero di fotogrammi troppo basso. L’effetto è che tutto sia leggermente accelerato. Come quando si guarda Netflix con l’1.25x (cosa da non fare!). Un cinema nuovo, che sa di antico.
“Sono colui che fugge sia dai vivi che dai morti”
Ricordo come se fosse ieri una conversazione del 2015. Ero dal barbiere in attesa del mio turno. Il cliente prima di me, parlando del più e del meno, dice alla persona che gli stava tagliando i capelli: “Ho visto il nuovo Mad Max, non è bello come i vecchi, non c’è storia, è tutto un inseguimento”. La domanda che ha ricevuto in risposta fu, nella sua innocenza, da vergare sulla locandina: “Ma non è questo il bello?”.
Eh sì, il bello di Fury Road è che assomiglia più a un trailer di test del sistema audiovisivo del cinema che a un film tradizionale con archi narrativi evidenti e sentimentalismi di sorta. La sua forza sta proprio nel suo limite, avere il solo proposito di spingere il cinema al massimo. Di essere, in altre parole, un’esperienza di movimento con suoni e colori vicina a quello che il grande schermo è nato per dare.
“Dov’eri finito Max?”
Faccio fatica a prendere Mad Max: Fury Road sul serio. Non condivido l’entusiasmo di chi abbraccia la visione come un’epica matura, solenne, travolgente e intellettuale. Fury Road per me è stato sempre un gran divertimento dei sensi, più vicino al "cartone animato” che al live action, senza ansia o empatia, ma solo con il brivido dell’essere trascinati dal montaggio. L’ho sempre vissuto lontano dalla pancia, sempre dentro gli occhi.
Occhi che sono facilitati a seguire l’azione da una regia e una fotografia incredibilmente consapevoli. Sapevate che basta guardare al centro dell’inquadratura e non si perde nulla? Tutto ciò che conta avviene in mezzo. Provare per credere!
Così mentre Max scappa verso il corridoio che porta anche alla fine del prologo, noi veniamo bombardati frontalmente dalle sue visioni. Puro cinema di serie B inserito nella serie A. Una soluzione da film da Drive-In per dire tanto senza dire niente, per riportare alla memoria personaggi e storie che ci serviranno ben poco per comprendere tutto il resto. Miller lo fa per lo spettatore. Per tranquillizzarci con il linguaggio del franchise, dove tutto sembra collegato. Invece Fury Road è libero.
Non è altrettanto libero Max, che si ritrova sul ciglio di un’apertura verso il vuoto. Dopo un prologo così, dove in soli 6 minuti accade di tutto, non abbiamo dubbi su quello che sta per fare: salterà!
E infatti salta. Noi con lui. Le mani lo afferrano mentre il titolo compare a schermo. In una sola scena George Miller ha dato le regole di ingaggio di tutto il resto del film. Dice a chi non è disposto a buttarsi, proprio come fa il suo protagonista, di alzarsi ora. O di restare incollato al sedile fino alla fine.