Le (quasi) 3 ore e 30 di Killers of the Flower Moon sono veramente necessarie?

I film si stanno generalmente allungando. Ma la durata straordinaria di Killers of the Flower Moon è veramente necessaria?

Condividi

Killers of the Flower Moon e la durata sempre maggiore dei film. È veramente necessario?

In un panorama cinematografico sempre più dispendioso di tempo, ci si trova sempre di più di fronte a film fiume. La durata di tre ore si sta quasi normalizzando, non fa più scandalo nemmeno quando bisogna indossare degli occhiali 3D. Se la percezione è quella di una durata sempre più lunga dei film, bisogna ricordare che le opere interminabili sono sempre esistite, anche quando il costo della produzione di una copia di film veniva misurata in metri di pellicola.

Il kolossal è lungo. Non è un precetto del genere, ma poco ci manca. Le quattro ore di Via col vento sono parte del suo status leggendario. Idem per C’era una volta in America, la cui extended director's cut portata al cinema nel 2012, di 251 minuti, è stata praticamente un rito di iniziazione cinefila. Lawrence d’Arabia, Ben Hur, Spartacus, Apocalypse Now, ma anche le saghe del Signore degli anelli e del Padrino sono considerati esempi di cinema alla massima potenza. In questo rientra inevitabilmente anche il superamento dei 180 minuti. 

Si parla tanto di cinema-esperienza, di formati di visione premium (quasi ad associare schermi enormi per film lunghissimi). Studi di settore hanno spiegato che c’è una maggiore propensione a scegliere di acquistare un biglietto se l’esperienza in sala è percepita come un evento. Un film come questo, che copre la durata di due film "normali", girato da un maestro del cinema, è il perfetto modello per la trasformazione “premium” della sala. Questo dal punto di vista del mercato. Per lo spettatore, invece, la domanda è diversa, meno sofisticata e più concreta: ce n’era veramente bisogno?

La risposta è “non sempre”. Nel caso di Killers of the Flower Moon è: “Sì”. 

Il tempo di Killers of the Flower Moon

Il film è strutturato in tre atti dalla durata molto diversa. Per le prime due ore Martin Scorsese esplora la convivenza tra la popolazione Osage e i bianchi giunti lì per il petrolio. C’è una stazione e un treno che porta i lavoratori. Ci sono strade ricche di comparse, vivissime in ogni angolo dell’inquadratura. 

William Hale, interpretato da Robert De Niro, gestisce tutti gli affari della città. Mette la sua faccia un po’ ovunque, aiuta le famiglie in difficoltà, conosce tutto. Il punto di vista in questa fase è però quello di Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio) di ritorno dalla guerra. Arriva in Oklahoma e deve rimettere insieme i pezzi della sua vita. Trovare casa, una donna, un lavoro. L’idea, imposta dallo zio, è di inseguire il sogno americano attraverso il petrolio e muovendosi in parallelo con una scalata al sistema di famiglie Osage. Attraverso di lui Scorsese fa in modo che ci si senta portati per mano da Hale a scoprire ogni angolo che serve come palcoscenico della storia. 

Ci sono una serie di morti sospette, sotto gli occhi di tutti, che vanno a crepare la convivenza tra i due popoli. È una lunga sezione esplorativa, che lavora in maniera subliminale. È piena di non detti, di personaggi che non conosciamo mai appieno: quanto sanno? Quanto non dicono? Quanto sono complici?

C’è un punto di svolta nella seconda parte, che dura poco meno di un’ora. È segnata dall’arrivo dell’FBI che si interessa di quello che sta accadendo in quel territorio lontano dalla legge dell’America più civile e urbanizzata. In quel momento Martin Scorsese prende le redini del film e inizia a farlo correre nella direzione più vicina al suo cinema. È come se la sceneggiatura arrivata a quel punto rimbalzasse e tornasse indietro velocissima. Si ripercorre la strada fatta fino ad ora al contrario. Arrivano dettagli, soluzioni, piccole verità, che compongono i pezzi di tanti puzzle quasi completi, a cui mancavano solo uno o due pezzi. Ovvero la vera natura dei personaggi. 

La sezione finale è quella della resa dei conti morale. Si tirano le conclusioni nei temi pienamente scorsesiani: la colpa, la codardia, la corruzione e l’avidità. C’è possibilità di redenzione all’ultimo secondo? Gli uomini possono cambiare la propria natura? È la parte più breve del film, ma quella che dà senso a tutto. Arriva nell’ultima mezz’ora. Quella che prima di entrare in sala sembrava di troppo (un pregiudizio) e che a fine visione risulta fondamentale.

Perché Martin Scorsese ha bisogno di tutto questo tempo?

Il tempo è una sua ossessione. L’ha detto di recente nelle interviste promozionali. Un regista a fine carriera per ovvi motivi anagrafici fa i conti con lo spazio ristretto della vita. Vorrebbe avere tempo per raccontare altre cose, ma persino rivedere i suoi film per controllare il missaggio diventa un’operazione che lo costringe a rinunciare all’accudimento della moglie o agli altri affetti. Vi invitiamo a leggere qui per saperne di più. 

Fatto sta che quando un regista si sente così stretto nel tempo... non ha tempo da perdere. Anche in tre ore e mezza di film. Così Killers of the Flower Moon è un film che nasce da un’esigenza, in cui ogni scena è ripresa con ciò che ritiene necessario. Nulla in più, nulla in meno, mancano le energie per sperimentare, manca il tempo per sbagliare. 

Se è un cinema essenziale e misurato, perché strabordare in questo modo? 

La risposta viene dalla lente con cui viene letta questa storia di crimini, omicidi e ricchezze. Killers of the Flower Moon è un film che non nega mai di essere girato dal futuro guardando indietro. Si parte dalle strade (come sempre) per cercare le cause e i volti che hanno costruito una nazione. Chi ha lasciato il proprio sangue, o addirittura la vita, su quell’erba. Chi ha combattuto perché le cose cambiassero. 

Per fare questo a Martin Scorsese serve tempo. Serve che chi guarda più che percepire i personaggi come persone vere (non è necessario, anzi, è quasi dannoso) si immerga sentendosi uno di loro. Per le prime due ore la regia ci porta all’interno della logica di quel mondo. Per ogni personaggio che esce di scena ne entra un altro. Si fatica a seguire gli intrecci di parentela ma poi, appena si prende la mano, si viaggia nel film conoscendo anche gli angoli della città, avendo ben chiare le distanze, osservando i fatti dalle finestre. 

Per raccontare le due parti contrapposte, che fingono di essere ben unite in rapporti di pacifica convivenza tra “vicini” di casa, interessano i rispettivi riti. Non a caso Killers of the Flower Moon è un film pieno di cerimonie, sia religiose che laiche come un invito a cena o un’assemblea per decidere e votare. La durata di ognuno di questi momenti è significativa. Se un’analisi su un luogo del delitto è breve, comunica un significato diverso rispetto a un’indagine che prende molto tempo (ovvero il sostanziale disinteresse delle autorità). Allo stesso modo la potentissima scena in silenzio, ad ascoltare la tempesta, è un momento di sospensione e di attenzione focalizzata che risuonerà in tutte le sequenze successive in cui i personaggi sembreranno proprio incapaci di ascoltare e vedere la cruda realtà.

Killers of the Flower Moon può essere visto come una serie TV?

Non si interrompe un’emozione” diceva una celebre campagna contro la pubblicità in TV. Killers of the Flower Moon è prodotto da Apple TV+. Sarebbe dovuto arrivare direttamente in piattaforma, prima della decisione di distribuirlo al cinema. Per lo streaming i tempi sono ben diversi, siamo abituati a vedere cose brevi (le puntate di 50 minuti di una serie) per molto tempo (magari guardando mezze stagioni in un'unica sessione).

Così il film di Martin Scorsese può essere visto anche in un ambiente domestico, senza che si perda granché, a patto che l’impianto sia decente. La spettacolarità, la potenza travolgente degli effetti speciali, non è la sua prerogativa. Quello che cambia è il livello di immersione e di concentrazione. È un film che richiede una partecipazione attiva. Non seduce chi non vuole seguirlo, conquista chi fa lo sforzo di agganciarsi alla sua storia. Bloccare il film, fare altro, e riprendere come se si guardasse una serie inficerà l'esperienza di visione.

Il buio della sala aiuta a fare questo passo, a dedicare tre ore e trenta esclusive allo schermo. Più difficile, ma non impossibile, fare lo stesso con una visione casalinga, con il citofono che suona e il cellulare acceso accanto. In ogni caso, a differenza di 4 episodi di serie TV in binge watching, Killers of the Flower Moon ha una struttura da film. Il tempo manipolato da Martin Scorsese è una corrente che trascina e a cui bisogna abbandonarsi senza opporre resistenza. Dall’inizio alla fine, possibilmente senza interruzioni. Verrete ripagati.

BadTaste è anche su TikTok, seguiteci!

Continua a leggere su BadTaste