La storia infinita, 40 anni di un classico bellissimo e incompleto

La storia infinita compie 40 anni, ed è tuttora uno degli apici del fantasy cinematografico – nonostante gli manchino dei pezzi

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La storia infinita uscì nelle sale americane il 20 luglio 1984

La storia infinita è il primo film che vidi al cinema nella mia vita, il che mi fa sembrare anche più vecchio di quanto già sia. In realtà non lo vidi all’uscita, perché avevo solo un anno; ci andai qualche anno dopo, nel cinemino della mia cittadina, accompagnato da mia nonna. Non ero mai entrato in una sala cinematografica prima di allora, forse neanche in un teatro. Durai quindici minuti: nel momento in cui comparve sullo schermo un Mordiroccia molto più alto di me ne rimasi terrorizzato, e fuggii dalla sala senza voltarmi indietro. Poi andai in biblioteca a prendere in prestito il libro da cui il film era tratto: fu, credo, il primo libro nella mia vita che scelsi di leggere, e andai attivamente a cercare. Tutto questo per dire che parlare dei quarant’anni di La storia infinita non mi è facilissimo, soprattutto se siete in cerca di distacco e obiettività critica.

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La storia infinita appartiene a una generazione

Il punto è che non credo, anzi sono sicuro di non essere solo; cioè, La storia infinita non è un film mio, è un film nostro. La gente della mia età e dintorni è nata in un’epoca nella quale il fantasy era ancora una cosa esclusivamente per adulti: roba epica, potente, violenta, quasi mai per tutta la famiglia. C’erano i fantasy tamarri alla Heavy Metal, quelli più seriosi ma comunque spettacolari tipo Dragonslayer, c’erano i fantasy d’autore come l’Excalibur di Boorman o il Conan di Milius, ma non era ancora davvero coperta una fetta di mercato che poi in questo millennio è diventata essenziale per chiunque voglia fare un sacco di soldi.

Il 1984, l’anno di uscita di La storia infinita, fu in questo senso un punto di svolta, visto che uscì anche Nausicaä della Valle del vento. Ma quello era ancora distante, raffinato e non facile da intercettare: per me e per tutti noi fu il film di Wolfgang Petersen a regalarci per la prima volta una storia fantastica fatta su misura. Il protagonista era un ragazzino, certo più cinematograficamente presentabile di come veniva descritto nel libro, ma comunque un giovanissimo; tutto il film era una parabola di crescita, intrecciata con una serie di lezioni esistenziali sulla vita, la morte e tutto quanto. La scelta del doppio protagonista, poi, e il fatto che Bastian entrasse davvero in azione solo sul finale e per il resto del tempo fosse uno spettatore (per quanto insolitamente attivo) accucciato sotto una coperta in una soffitta aiutava ancora di più l’identificazione, perché permetteva di sentirsi eroi ma anche semplici testimoni, e rendeva secondo me più forte il legame tra mondo reale e Fantàsia, più di quanto lo sarebbe stato se Michael Ende avesse scelto di trasportare fisicamente Bastian nel reame fantastico, e farne un protagonista classico. Incidentalmente, la frase precedente è come La storia di cui stiamo parlando: infinita. Vi chiedo scusa.

La bellezza dei pupazzoni

Una riflessione da vecchio vero che ho fatto riguardando La storia infinita è a proposito degli effetti speciali. Non sono un apice o un’eccellenza, ma ancora oggi reggono alla grande; e la riflessione che facevo è che se oggi facessero un remake, nessuno dei mostri, mostrini e mostrilli del film sarebbe un pupazzone. Inteso come oggetto fisico manovrato meccanicamente. Avrebbero quindi un aspetto più realistico e meno artefatto, sarebbero visivamente più spettacolari e plausibili, e sarebbero immersi in set altrettanto ricchi di dettagli e lucidati fino a brillare. Sarebbe insomma tutto oggettivamente più bello, esattamente come il suono di un CD è più pulito e puro di quello di un vinile (speravo di non dover arrivare a questo ma ahimè).

Perché allora qualcosa che è oggettivamente più… non brutto, ma scrauso, se mi passate il termine, dovrebbe piacermi di più? Ora, è possibile che quanto stia per scrivere non abbia senso, ma d’altra parte dovreste aver capito che state leggendo un pezzo di opinione e divagazioni, non di critica. Ma credo che abbia tutto a che fare con la sospensione dell’incredulità. Gli effetti speciali digitali, il fotorealismo, la perfezione che un bel budget ti può regalare, ti mostrano quello che è. I pupazzoni, gli effetti pratici, l’artigianato, ti obbligano durante la visione a sospendere l’incredulità; ti danno un’idea (estetica, visiva) e ti chiedono di lavorarci insieme a loro per creare un’immagine mentale che ti copra l’evidente gommaccia di una maschera o quel filo malandrino da cui si vede penzolare il pipistrello. I pupazzoni richiedono una partecipazione più attiva della nostra immaginazione, ed è il motivo per cui vanno ancora benissimo quarant’anni dopo: il punto non è ammirarli dal punto di vista tecnico o al contrario notarne i difetti e i limiti, ma usarli come base per far andare il nostro cervello invece di subire passivamente un bombardamento di immagini tecnicamente impeccabili e indistinguibili dalla realtà.

Cosa manca a La storia infinita?

Dopo tutta questa sbrodolata potreste legittimamente domandarvi: “e allora perché La storia infinita sarebbe un classico incompleto?”. E qui si torna a quando andai in biblioteca a prendere il libro in prestito. Ora, lo so che i discorsi sull’aderenza alla fonte originale et cetera sono fastidiosi, roba da… mi vengono solo parole che non è il caso di scrivere, ma il punto è che nel caso del film di Petersen è difficile, per chi ha letto il libro, non notare che ne manca un bel pezzo, che non è solo quello più pazzo e psichedelico, ma anche quello che dà il senso e la morale a tutta la storia.

Cioè: La storia infinita è un’altra cosa rispetto al libro da cui è tratto. Parla d’altro. È una storia sul potere dell’immaginazione, nella quale manca completamente la parte in cui il potere stesso corrompe Bastian e lo costringe a una seconda, ben più dolorosa parabola di crescita, che non lo eleva a eroe del suo mondo immaginario ma lo trasforma in villain. Spizzichi e bocconi di questa seconda metà furono poi ripresi nel secondo capitolo, ma il danno era già fatto, perché comunque, mannaggia a loro, la semplificazione che è stata fatta per far stare il film in due ore ha senso, funziona e rende comunque La storia infinita un film solido e coerente, senza alcuna traccia di quello che manca. Per cui, se chiedete a me, ce lo teniamo così, consapevoli che una versione di questo film che racconti tutta la storia potrebbe essere ancora migliore di quella che abbiamo, ma anche che una versione di questo film che racconti tutta la storia non uscirà mai, e se uscisse sarebbe con ogni probabilità una delusione.

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