Godzilla Minus One mi ha dimostrato che ho sempre guardato i monster movie dalla parte sbagliata
Godzilla Minus One fa l'impossibile: rende più interessanti gli uomini del mostro. Parla di fragilità, non di potenza.
Ho sempre amato visceralmente i monster movie, ma li ho sempre guardati nella maniera sbagliata. L’ho capito troppo tardi e l’ho capito grazie a Godzilla Minus One. Quella che state per leggere è una sorta di confessione cinefila di chi, anche nelle opere più orientate verso l’umano, ha sempre amato di più il mostro. Siate clementi.
Quando invece entrava la trama, portata dagli umani che si aggirano qua e là nelle scene, Godzilla e Kong - Il nuovo impero crollava nel cinema più basso e pigro. Monarch: Legacy of Monsters prova con migliori risultati a dare una ragione alla presenza di persone con un arco narrativo. La serie di per sé non è affatto male. Il problema principale è che ogni volta che i mostri compaiono, tutto diventa più bello e divertente. I personaggi parlanti passano in secondo piano.
I kaiju visti da parte dei mostri o degli uomini?
Ho sempre vissuto così i film con i mostri grossi: opere che relativizzano, attraverso le immagini, l’importanza delle persone sulla terra. Un genere totalmente cinematografico, forse il più cinematografico di sempre. Anche nei casi migliori (Cloverfield e Pacific Rim, ma anche The Host per citarne solo qualcuno) mi ero convinto che le immagini dovessero avere la precedenza sui dialoghi. Che alla fine quello che spingeva a pagare il biglietto era la possibilità di visualizzare l’impensabile, lo sfoggio di potenza. Pensavo che Godzilla fosse una splendida metafora per tante cose: la guerra, l’atomica, l’orrore cosmico, la forza. E soprattutto pensavo che lo fosse in ogni film. Mi sbagliavo di grosso.
Godzilla Minus One mi ha pazientemente spiegato che ci sono solo due modi per scrivere Godzilla, ma infinte possibilità a partire da questi. I registi devono fare una scelta fondamentale: girare un film dalla parte del mostro o dalla parte degli uomini?
"La tua guerra è finalmente finita?"
In Godzilla Minus One si ha a cuore la sorte dei suoi personaggi umani a tal punto che il kaiju diventa un ornamento sostituibile. Se fosse stato, per esempio, una nuova potente imbarcazione nemica da cui il Giappone si doveva difendere dopo la seconda guerra mondiale, il film avrebbe retto lo stesso. Sono pochissimi i film del genere che riescono a farlo.
Kōichi Shikishima, il protagonista, è un pilota kamikaze che preso da paura non è riuscito a sparare al mostro né a uccidersi in guerra. Si tormenta per essere sopravvissuto, quando il suo posto era invece sotto terra con gli altri compagni. Tutto Godzilla Minus One gira intorno a questo concetto di morte ad occhi aperti, in cui il mostro è solo un fattore scatenante, non la ragione per cui è stato fatto il film. L'esigenza narrativa è il senso di colpa del sopravvissuto, che si sente comunque all'inferno in terra.
Il “minus one” del titolo può significare un Giappone ridotto a zero dopo la guerra, può indicare il suo essere ambientato prima del primo Godzilla. Mi piace credere però che il “meno uno” sia proprio un passo indietro del kaiju, non più protagonista e nemmeno buono come nella versione american.
Nulla di nuovo: Godzilla ha affrontato tante epoche, stili e target di pubblico. Avere in un anno di cinema una serie TV per tutti, un film fondamentalmente per adolescenti e uno per adulti rende la bellezza e la complessità del personaggio. Però Minus One ha, perdonate il gioco di parole, qualcosa in più nella sua devastante fragilità dei personaggi. Lì c’è la chiave di lettura fondamentale.
Potere e potenza vs fragile vita
Il primo Godzilla era un monito sull’atomica, un tentativo di resilienza e di speranza nell’uomo contro l’autodistruzione. Minus one è una riflessione su quanto sia proprio la possibilità di morire da un momento all’altro, senza rigenerazione, a rendere gli esseri umani speciali.
Ecco ancora i due approcci. Quello americano di Godzilla e Kong: incentrato sul mostro è un film sulla potenza e sulla devastazione. Una storia di guerra e morte, anche quando ha l’aspetto di un cartone animato. Vince il più forte. Quello giapponese di Minus one: di fronte a un potere assoluto ci si riconosce fragili e mortali, si dà così valore alla vita. Vince il più debole.
La situazione è la stessa: un mostro distrugge la città. La prospettiva è opposta: uno manifesta lo spettacolo della potenza. L’altro mostra la forza della mortalità. È qui, in questa distinzione di senso e di sguardo, che da spettatore ho sempre sbagliato.
Guardavo il kaiju come il punto centrale del film. L’elemento di meraviglia, la fantasia più estrema messa sullo schermo. Invece il potere vero stava altrove: negli uomini che alla fine di ogni storia di mostri sopravvivono e lo fanno contro ogni aspettativa.
È qui che Kōichi Shikishima mi ha colpito al cuore. Un kamikaze che non sa morire è il personaggio perfetto per un film di Godzilla. Un uomo si trova di fronte a un Dio di distruzione. Vorrebbe farlo, ma non sa come chinarsi di fronte a lui perché il suo impulso a vivere è più forte di ogni cosa. “Si alza il vento, bisogna tentare di vivere” diceva Paul Valéry e con lui Hayao Miyazaki. Così anche le piccole formiche ai piedi di Godzilla cercano di andare avanti riconoscendosi tutti deboli, alcuni eroi e altri codardi, ma tutti meritevoli di vivere.
Ho sempre visto i film di mostri come il racconto della potenza e della distruzione. Da oggi in poi cercherò in questi film quello che dà Minus one: il racconto della fragilità e della nobile ricostruzione.