Come Danny DeVito riuscì a far produrre Pulp Fiction
Non fu facile mettere insieme la produzione di un film come Pulp Fiction, e se è successo è principalmente merito di Danny DeVito
Al festival di Cannes di 30 anni fa veniva presentato Pulp Fiction di Quentin Tarantino, uno dei film più influenti di sempre ma anche uno dei più complicati da spiegare e dei più rifiutati da tutti gli studios
Danny DeVito aveva incontrato Tarantino alla prima di Terminator 2, il film del suo amico Arnold Schwarzenegger (i due avevano recitato in I gemelli tre anni prima), anzi è meglio dire che lo aveva incontrato la sua assistente perché a lei Tarantino, come faceva sempre in quel periodo, aveva raccontato un’idea che aveva per un film. Voleva sfondare, era pieno di idee, faceva già lo sceneggiatore ma aveva l’ambizione di diventare regista. Solo che Pulp Fiction non è un film che si descrive bene a parole. È un film a episodi praticamente, solo mescolati con una struttura atemporale, che in quel momento non era uno standard per il cinema e quindi non era semplice da far capire in una conversazione rilassata alla prima di un altro film. E non erano semplici da spiegare nemmeno quei personaggi o il modo in cui il film parli di altri film in realtà.
Nondimeno l'idea di questo soggetto arriva all’orecchio di Danny DeVito e ci arriva in un momento in cui di Tarantino si sapeva che aveva scritto Assassini nati e Una vita al massimo. Un bravo sceneggiatore ma nessuna garanzia sulle sue capacità da regista. Le Iene era stato girato ma non era stato ancora mai proiettato, quello sarebbe avvenuto a gennaio del 1992, il cinema indipendente era ancora una cosa per esordienti e non faceva soldi, al massimo poteva andare ai festival europei (Sesso bugie e videotape di Steven Soderbergh del resto aveva vinto Cannes solo pochi anni prima). Soprattutto Tarantino sembrava a tutti gli effetti un invasato. Che è esattamente quello che colpisce DeVito. Dopo il primo incontro tra i due, il cui unico scopo era ascoltare questo soggetto che, a quel punto, non era stato ancora mai scritto ed esisteva solo a livello di idea, Danny DeVito non ha comunque capito niente del film. Niente. È solo un pasticcio di personaggi e situazioni. Ma ha capito Tarantino. Anni dopo avrebbe detto che in quel momento lui stava investendo sulla persona e non sull’idea.
La storia, raccontata dal suo assistente dell’epoca Richard Gladstein (in seguito grande produttore egli stesso) nel libro Down And Dirty Pictures, vuole che Weinstein fosse talmente l’ultimo da cui DeVito andò che a quel punto c’era proprio una sceneggiatura, praticamente definitiva, scritta da Tarantino a mano ad Amsterdam, in uno stile confuso, senza punteggiatura, con parole scritte come si pronunciano e poi ribattuta a macchina da Linda Chen, stenografa della Jersey Film che anni dopo nel descrivere quella cosa che gli arrivò la definì “incomprensibile”.
Ripulita da Linda Chen, ben confezionata e formattata come si deve, la sceneggiatura di Pulp Fiction era un mattone. Più di due ore di film con i dialoghi verbosi di Tarantino fanno circa 160 pagine A4. Gladstein era entusiasta ma Weinstein al solo vedersela proposta, infastidito, gli disse: “Cos’è? L’elenco del telefono??”. Se la prese per leggerla in uno spostamento aereo da Los Angeles a New York. Gladstein ricorda che la prima telefonata la ricevette ad aereo già decollato dall’apparecchio che Weinstein aveva nel suo jet privato: “È tutto così?”, la voce è entusiasta ed è arrivato solo a pagina 20. Dopo altri venti minuti richiama, è a pagina 40 e ordina a Gladstein di mettere un’opzione sul film, insomma di fermarlo senza un impegno vero e proprio, solo formale. Dopo un’ora richiama ancora: “Ma cristo santo il protagonista muore a metà!” parla di Vincent Vega. Gladstein gli dice di arrivare in fondo: “Non dirmi che ritorna. Anzi dimmelo subito se torna. Ho capito, ho capito. È geniale. Non lo opzionare. Prendilo. Lo facciamo”. Comprato prima di toccare terra.
In quel momento però la sua Miramax era così un caso di successo che era stata acquistata da un grande studios. Forse il più tradizionalista di tutti gli studi di produzione di Hollywood. Harvey si era innamorato di Pulp Fiction, lo voleva fare ma c’era veramente tanta droga per gli standard di quegli anni. Tanta droga. Tante parolacce. Tanto sangue. C’era anche un’iniezione nel cuore e un cervello spappolato sul lunotto di un’auto (immagine all'epoca fortissima, oggi così comune da poter diventare una gif in un pregevole articolo online). E nonostante lui si fosse fatto scrivere per davvero in ogni singola pagina del contratto di acquisizione della sua Miramax presso questo grande studio la parola “autonomia”, lo stesso il contrasto tra i toni di questo film e l’immagine di quello studio era tale che anche lui, con tutta la sua prosopopea e arroganza, aveva capito che bisognava andare a parlarne. Il consiglio di amministrazione gli disse solo: “Non hai bisogno della nostra approvazione. Noi comunque te la diamo. Però vacci piano con la droga”. Lo studio era la Disney, non ci sarebbero andati piano con la droga e Pulp Fiction avrebbe vinto la Palma d’Oro e un Oscar per la migliore sceneggiatura originale nell’anno di Forrest Gump cambiando la carriera di moltissime persone.
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