Avengers: Age of Ultron non è il seguito di Avengers, è il prequel di Infinity War | Un film in una scena
Avengers: Age of Ultron è un film ponte molto complesso, che va rivalutato alla luce di tutto quello che è stato l'MCU negli anni successivi.
Il seguito scritto e diretto da Joss Whedon si allontana quanto mai dal primo film. Il tono è più cupo ed esistenzialista, mentre la battaglia contro Loki e il suo esercito era una luminosa festa pop. Dopo avere impostato le dinamiche della squadra, Whedon corre spedito nella caratterizzazione dei personaggi. Il filo conduttore che li unisce non è più quello di esseri straordinari che fanno cose fuori dal comune, ma è quello del mostro su cui non si può contare.
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Avengers: Age of Ultron è però, grazie a questa scena, il film Marvel più collegato alle diramazioni del franchise. Se si dovessero tracciare dei collegamenti tra i vari film con un filo rosso, come nei polizieschi, questo primo seguito di The Avengers sarebbe al centro. Ancora più centrale è proprio la scena delle allucinazioni. È incredibile quanto tutto quello che seguirà si ricolleghi a Ultron. Proprio questo radicale innervamento nelle pieghe della continuity sia proprio la ragione del godimento di qualcuno e dell’odio di molti verso il film.
Facciamo un esempio di questi collegamenti, senza immaginare di essere esaustivi: Avengers: Age of Ultron introduce Wanda e Visione, personaggi che solo a distanza di sei anni hanno ricevuto una storia a loro dedicata (WandaVision). E quanto sono importanti! Inaugurano la fase 4, sono i primi a esplorare la serialità di Disney+, promettono di sconvolgere gli equilibri dell’universo Marvel (introdurranno i mutanti?).
Ma non solo: Ultron è essenziale per instaurare il dubbio e la sfiducia tra gli Avengers. Una condizione che porterà immediatamente alla Civil War. Ma ancora: la breve comparsata di Ulysses Klaue e la centralità del vibranio sono un ponte per Black Panther. Hulk viene messo su un piatto d’argento per quel Planet Hulk chiamato Thor: Ragnarok. Il passato della Vedova Nera visto durante il viaggio nei suoi ricordi, sembra un trailer del Black Widow che speriamo di vedere a breve. E se si pensa che nell’inquadratura finale sarebbe dovuta apparire Captain Marvel… l’intera fase 3 è impostata.
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Tra le visioni (in che altro film sarebbe potuto arrivare Visione?) ce n’è una più importante delle altre, ed è quella di Tony Stark. Un sogno lucido del sacrificio che sarà chiamato a fare. Una profezia diversa da quelle greche. Nei racconti antichi il futuro è svelato con la parola degli dei e, solitamente, gli antichi guerrieri la ignoravano o facevano di tutto per sfuggirne. Tony invece fa di tutto per comprenderla, le dà ascolto, si convince che quel sogno sia vero. E come le profezie autoavveranti, tutto si verifica proprio grazie al timore per la profezia. Iron Man divide gli Avengers, prima cercando di proteggerli tramite Ultron, poi covando sfiducia nel progetto (Civil War) e questa divisione li porta alla sconfitta per mano di Thanos. Lo scudo di Cap si spezza veramente. Asgard cade per colpa di Thor, Thanos vince.
Eppure il problema matematico di fronte a cui si trova Stark è semplice da risolvere: se lui è l’unico a sopravvivere mentre i compagni di squadra cadono in battaglia, allora Tony deve essere l’unico a morire perché tutti siano salvati.
Avengers: Age of Ultron non è il seguito di Avengers, ma è il prequel di Infinity War perché ne imposta i temi e il tono. La fotografia lascia i colori sgargianti e vira verso una colorazione più polverosa ed epica. E soprattutto introduce il senso di impotenza che caratterizzerà le avventure successive. C’è un qualcosa di più grande che osserva le risibili dinamiche terrestri. Gli amori, la paura della propria identità, la relatività dello sguardo (cosa importa come ti vedono gli altri? L’importante è come ti vedo io, sembra dire Natasha a Bruce) sono le crepe in cui si insinuerà Thanos. Ma sono anche i momenti che rendono questo film sicuramente imperfetto, ma infinitamente più ambizioso del precedente.
Se non ci fosse stato il coraggio di Whedon di andare a esplorare la quotidianità dei personaggi, anche non riuscendo appieno, ci saremmo persi dei grandi momenti cinematografici successivi.
Senza quella pausa narrativa, che all’epoca a molti sembrò insensata, della famiglia Barton, non avremmo mai capito il dramma vissuto da Clint in Avengers: Endgame (e che vedremo probabilmente approfondito nella serie Hawkeye). Senza la chiacchierata attorno a quel martello poggiato su un tavolo, non avremmo esultato allo stesso modo quando il Mjöllnir è finito nelle mani di Captain America. E se il film non fosse finito quel secondo prima rispetto a quando tutti ci saremmo aspettati, quell’ ”Avengers Uniti” non avrebbe risuonato allo stesso modo.
É grazie ad Age of Ultron che la Marvel ha fatto un passaggio cinematografico fondamentale. È riuscita a farci percepire il momento di un androide che guarda per la prima volta il mondo, bello come un’esplosione dei raggi gamma. “Io sono”, dice nelle sue prime parole Visione. Lui è l’unico che ha questa certezza. In un gruppo di persone che si credono mostri e che vivono nelle aspettative di ciò che potrebbero fare o che non hanno fatto, chi è, chi esiste, chi è qui e ora, può dare una nuova chance alla vita.