Twisters, la recensione

Dentro Twisters ci sono i cambiamenti degli ultimi anni esposti ed esplicitati, non solo quelli climatici ma anche quelli tra sessi

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Twisters, il film con Glen Powell e Daisy Edgar Jones, in uscita il 17 luglio.

Come possiamo definire quei film in cui la storia o le azioni dei personaggi sono condizionate da eventi apocalittici reali? Quelli che riconoscono che nel mondo reale si sono verificati eventi apocalittici tali che non si può ignorarli nemmeno nel contesto del film? Quelli in cui i personaggi agiscono a causa della pandemia, o quelli come Twisters, in cui tutto ciò che accade è dichiaratamente influenzato dai cambiamenti climatici. Potremmo chiamarli postapocalittici, dato che si svolgono dopo un’apocalisse, ma questo implicherebbe ammettere che anche noi viviamo in un mondo postapocalittico.

Ventotto anni dopo il primo Twister arriva Twisters, che formalmente è un sequel ma in pratica è un remake. C’è sempre una protagonista bionda meteorologa che insegue tornado, traumatizzata da un evento che vediamo all’inizio, che studia i tornado con una tesi rivoluzionaria per migliorare la vita delle persone. Incontra un uomo con il quale portare avanti questi studi sul campo, con coraggio e sprezzo del pericolo, ficcandosi dentro ai tornado, e testimonia le distruzioni cittadine (c’è di nuovo un cinema distrutto), fino al grande tornado finale in cui sperimentare la tecnologia messa a punto.

Lee Isaac Chung non aggiunge quasi nulla di suo se non un buon mestiere e un desiderio forte di esplicitare a parole i cambiamenti dei nostri anni. Twisters è un film corretto e scorrevole, non ha i soliti difetti e la lentezza di molti blockbuster, ma sa fare bene il lavoro di trascinare lo spettatore. Non si vergogna di usare uno score da I magnifici sette quando vuole suggerire il senso di libertà e vita secondo le proprie regole di certi personaggi, e non ha alcuna remora nel sottolineare ripetutamente come sia la donna la protagonista della storia, il genio (lo capiamo dalla trama, ma per essere sicuri, è pieno di personaggi che glielo dicono). “È lei la storia”, dirà a un certo punto Glen Powell a un giornalista che starebbe preparando un articolo su di lui ma lo devierà su di lei, manifestazione pratica dello scivolamento di Hollywood dai protagonisti macho come Powell alle donne con la passione per la scienza come Daisy Edgar-Jones. Ed è anche un’indicazione per il pubblico: ci può piacere il cowboy dei tornado, ma questo è il film di Daisy Edgar-Jones. L’impressione che facciano bene a dirlo, perché altrimenti non sarebbe sembrato, non è un punto a favore del film.

Cambiamenti del clima e cambiamenti nei rapporti tra sessi. Tutto spiegato. Il meglio Twisters non lo dà certo nella sottigliezza ma semmai nel suo essere sfacciatamente uscito dagli anni '90, non solo per la struttura narrativa che replica quella dell’originale, ma proprio per l’atteggiamento da blockbuster di un’era in cui i grandi film spettacolari erano macchine per lo stupore, pensati a partire dalle nuove possibilità del cinema di mostrare con un realismo inedito cose mai viste. Le vedute dei Lumière, ma con le catastrofi in computer grafica. E quando vediamo l’eccitazione della banda di Glen Powell che rincorre imponenti tornado, filmandoli con i cellulari e i droni per eccitare i loro follower, stiamo proprio vedendo la trasfigurazione delle aspettative della produzione, il desiderio di stimolare quella stessa eccitazione negli spettatori davanti a imponenti tornado in computer grafica, distruzioni iperboliche e la macchina del cinema spettacolare al lavoro.

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