RRR, la recensione
C'è proprio un nuovo significato all'idea di cinema barocco in RRR, che strappa l'indipendenza indiana alla realtà e la porta nell'astratto
La recensione di RRR, il film di S. S. Rajamouli disponibile su Netflix
La storia è quella, in forma di epica, di una parte del processo di conquista dell’indipendenza indiana dagli inglesi. Tutto è fatto attraverso la storia di due amici che partono da lati diversi della barricata (uno sta nelle forze dell’ordine, l’altro ha un piano sovversivo) ma sono uniti dalla forza (immensa), dall’ardore e dai sani valori indiani. In mezzo ci sarà l’amore di una donna ma soprattutto, in questa storia che necessariamente ad un certo punto li dovrà contrapporre, ad essere cruciali sono il coraggio, il senso del dovere, l’odio feroce per i dominatori e la potenza dello spirito indiano tradotta in muscoli che abbattono pareti.
Certo è cinema autocelebrativo e certo è cinema indiano da Bollywood, pensato con altri tempi e altri svolgimenti rispetto a quello occidentale, per non dire dei continui intermezzi musicali. Ma tutto in RRR ha una capacità di lavoro sulle immagini che sfonda qualsiasi barriera culturale. Le parti cantate e ballate hanno la furia di una scena d’azione, le scene d’azione hanno la coreografia delle parti ballate. Non solo, se è vero che uno o due scelte manichee sono ridicole, cento sono commoventi. RRR è pensato per infiammare gli animi e per farlo crea momenti che nessuno ad oggi aveva ancora pensato. Ci riesce superando il concetto di barocco come lo intendiamo noi e dando un nuovo senso al termine “esagerare” sempre con un guizzo. Lo si vede subito nella scena di lotta nella folla di uno dei protagonisti, in cui immagini a campo lungo sono alternate da pazzesche microinquadrature dentro la massa umana per raccontare la tensione e il senso del dovere tradotto in forza.