Mr. Harrigan's Phone, la recensione
Con un immaginario kinghiano aggiornato ai primi anni 2000, in Mr. Harrigan's Phone tutto è corretto, ma nulla è sorprendente
La nostra recensione di Mr. Harrigan's Phone, disponibile su Netflix dal 5 ottobre
In Mr. Harrigan's Phone, l'adolescente Craig diventa amico dell'anziano e ricco signor Harrigan, tramite sedute settimanali in cui gli legge interi romanzi. Queste vanno avanti per diversi anni, finché il giovane regala a Harrigan un cellulare, che presto cattura la sua attenzione, scavalcando l'interesse letterario. Quando l'uomo muore per cause naturali, il ragazzo ripone l'iPhone nella sua bara, ma continuerà a ricevere messaggi e chiamate da questo, decidendo di continuare la conversazione, fino a drammatiche conseguenze, già anticipate dalla voice over del protagonista in apertura.
Ancora una volta, la produzione Blumhouse (come anche nel caso di Firestarter, altro adattamento da Stephen King uscito quest'anno) garantisce sempre un risultato discreto, ma che, per quanto riguarda Mr. Harrington's Phone, non va oltre, per una serie di motivi. Il regista John Lee Hancock, alla prima incursione in campo horror, ricorre ad una messa in scena diligente del testo di partenza con tutta una serie di stilemi ricorrenti, come una fotografia giocata sempre su tonalità scure, la cura delle scenografie, l'onnipresente e inquietante accompagnamento musicale. Ma poi manca di quell'inventiva e carattere a livello registico, che, come nel caso di Scott Derrickson per Black Phone, riusciva a dare personalità a un'intreccio non certo originale e accattivante di per se, nel proporre un immaginario consolidato senza sfruttare le diverse potenzialità che questo offriva (come la casa del protagonista che non diventa presenza sinistra ma rimane sullo sfondo, inquadrata senza mai darne risalto). Né Hancock si trova poi a suo agio nella dimensione da thriller sovrannaturale che prende il sopravvento nella seconda parte, con alcune svolte ampiamente prevedibili per quanto riguarda la dimensione spettrale della comunicazione contemporanea.
Qui poi il peso cade tutto su Jaeden Martell (Craig), che non riesce a infondere quel carattere complesso, teso tra l'attrazione/repulsione verso Harrigan e i suoi insegnamenti, che avrebbe richiesto il suo personaggio. E alla fine non aiuta neanche uno scioglimento che piuttosto che favorire la tensione preferisce fare leva su una morale sull'uso della tecnologia sempliciotta e una redenzione del protagonista che, seppur nuovamente in linea con la poetica di King, sembra vanificare l'ambiguità precedente.