L'ultima vendetta, la recensione

Liam Neeson perde il pelo ma non il vizio: L'ultima vendetta è un revenge movie dei suoi, con un po' più di classe ma la stessa aria reazionaria.

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La recensione di L’ultima vendetta, il film diretto da Robert Lorenz al cinema dal 17 luglio.

Non pensiamo di sorprendere nessuno se diciamo che, da qualche parte a cavallo fra gli anni 2000 e 2010, Liam Neeson è diventato un attore d’azione. O sarebbe meglio dire, definitivamente diventato. I ruoli fisici c’erano sempre stati, da Darkman a Rob Roy. Ma col nuovo millennio si sono moltiplicati, finché con Taken e dintorni l’ex interprete drammatico di Schindler’s List ha completato la trasformazione in novello Charles Bronson. L’ultima vendetta è sicuramente un film sopra la media di quelli girati da Neeson di recente, con lui in splendida forma attoriale. Eppure lascia un po’ d’amaro in bocca, perché illude (con la sua maggiore eleganza, il ritmo posato) di poter essere “di più” dei lavori alimentari/giustizialisti degli ultimi anni. E invece non casca tanto lontano.

Già nei primi cinque minuti di L’ultima vendetta si cita Dostoevskij, suggerendo che al centro del film ci sarà un forte conflitto morale. E di materiale ce ne sarebbe: Irlanda del Nord, 1974. Finbar Murhpy (Neeson) ammazza gente per un’agenzia di omicidi a pagamento. Dopo aver scavato l’ultima fossa decide che ne ha abbastanza del mestiere, salvo tornare dal pensionamento per proteggere una madre e una figlia minacciate da una cellula di terroristi dell’IRA. Dalla solennità con cui il film pontifica su Delitto e Castigo, Santi e Peccatori (il titolo originale) ci si potrebbe aspettare una riflessione seria sulle implicazioni morali e politiche dell’uccidere, magari incrociando la questione nordirlandese.

Più corretto dire che il film si fa scudo di queste tematiche per darsi una patina di serietà, giustificando in modo un po’ meno ignorante del solito l’idea che tutto si risolva a fucilate. Il modo in cui è trattata la storia irlandese è indicativo di come L’ultima vendetta non si distacchi dalla linea reazionaria del Neeson più action, fatta di film che non hanno nessuna intenzione di riflettere sulla violenza, solo di creare giustificazioni narrative per poterla esercitare in santa pace senza togliere al protagonista la sua aura eroica. E prima di parlare di apoliticità del cinema di genere, va benissimo criticare l’IRA, ma che dire di un film che la tratta alla stregua dei nazisti di Bastardi senza gloria facendone i “cattivi” rispetto a un eroe che (ricordiamolo) è un killer a pagamento?

Più di un recensore ha visto in L’ultima vendetta un po’ di Dna western, ed è giustissimo. Il protagonista vedovo, dalla facciata normale ma un po’ troppo bravo con le armi, fa subito pensare a Gli spietati. Ma prima di spellarsi le mani per il classicismo eastwoodiano occorre ricordare che i due film sono ai poli opposti per quanto riguarda la moralità della violenza. Eastwood partiva dalla superficie eroica di William Munny per spiegarci che sotto c’era un mostro. Qui si parte dalla messa in discussione dell’omicidio per arrivare progressivamente a giustificarlo, dando continuamente a Murphy nuove giustificazioni narrative per uccidere “moralmente”, e quindi, di fatto, non avendo mai il coraggio di mettere davvero in discussione il personaggio. Però che carino Neeson quando si dà al giardinaggio..

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