I tradimenti (Oh, Canada), la recensione | Cannes 77

Un documentarista si racconta in un documentario in Oh, Canada e di colpo scoppia la verità tra finzione e realtà

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di I tradimenti (Oh, Canada), il film di Paul Schrader con Richard Gere e Jacob Elordi in concorso al festival di Cannes

Un conto è raccontare una vita, un altro è raccontarla in flashback, con le immagini e quindi contaminandola di finzione, un altro ancora è farla raccontare al protagonista guardando in camera. I tradimenti contiene tutti e tre questi tipi di narrazione e molto di più. È volutamente inaffidabile, mescola ricordi con sogni, così che non sia mai chiaro (e del resto non importa) quanto questo racconto della vita del protagonista lui lo faccia con buona memoria, quanto menta, quanto si confonda con i sogni (in un momento stupendo i accorgiamo che un flashback è scivolato nel sogno e scopriamo che il protagonista, parlando si è addormentato). Solo una cosa conta: che per la prima volta in tutta la sua vita quest’uomo sta dicendo queste verità, e che lo fa perché per un documentario su di lui gli viene chiesto di parlare davanti a un obiettivo. 

Nel momento più alto di questo film bellissimo, densissimo di invenzioni che prendono delle convenzioni e le piegano (per esempio nei ricordi in certi punti il protagonista non è giovane ma come sarebbe nel presente, ma non quando ci aspettiamo), il documentarista i cui allievi, ormai grandi, stanno celebrando proprio con un documentario su di lui che consta di una grande intervista, rivolto alla videocamera dice alla moglie per la prima volta una serie di cose mentre la osserva tramite uno schermo. Sono nella stessa stanza ma lui è ripreso e lei lo vede in uno schermo, lei è ripresa e lui la vede in uno schermo. Solo in quel momento sono sinceri. Eccezionale. Non importa se le immagini sono scritte o sono documentarie, dice I tradimenti, proprio le immagini filmate in sé sono l’unica maniera di capire e raccontare le persone. Il cinema in sé è una macchina che tira fuori la verità, non è un concetto sparato, Paul Schrader è migliore di così e lo teorizzato proprio. Viene mostrato come, viene spiegato tecnicamente il modo in cui ci si possa riuscire (il cinema americano: la tecnica al servizio dell’ideologia).

Già questo basterebbe ma I tradimenti fa un passo avanti verso la grandezza proprio con le scene di flashback, in cui Jacob Elordi interpreta Richard Gere (anche se sembra una persona completamente diversa rispetto al sé anziano), fotografate con una color correction morbidissima e raffinata che ricorda la pasta della pellicola, e che a sua volta è abbinata alle musiche che accompagnano i suoi spostamenti (verso il Canada come dice il titolo), finendo a creare subito un’atmosfera accogliente dentro la quale sedersi per sentire questa storia. Ci sono idee visive da Quarto potere, un finale di sconfino da La grande illusione ma anche l'espediente di Nolan di usare il bianco e nero saturo per un preciso punto nel tempo, solo senza l'esattezza di Nolan ma con la dolcezza di Schrader. E sta esattamente lì, in quella tenerezza con cui è raccontata una vita terribile, di un uomo duro e spiacevole, il punto del film.

Siamo dalle parti di Il posto delle fragole, anche qui la vita è ripassata nel momento in cui il soggetto è celebrato, ma tutto è più pessimista, malato e triste. Non c’è commiserazione della vecchiaia ma uno sguardo e un’onestà tali da essere coinvolgenti, perché è un approccio diverso, sincero e così disarmante da invogliare all’ascolto. Tutto attira perché promette soddisfazione, hai l’impressione che stando ad ascoltare questo film sarai ricompensato a livello sensoriale e logico. Per questo I tradimenti è esattamente il tipo di film con il quale vuoi stare in una sala, non perché richieda uno schermo grande, ma perché desideri che per 90 minuti ci sia solo questo da guardare, e ci sia solo questo da ascoltare.

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