Giona Nazzaro, direttore di Locarno: dove trovare, come attirare e valorizzare i film in un'industria che cambia

Quanto contano i venditori internazionali nella presenza di un film ai festival? E come la Locarno di Giona Nazzaro cambia per attirarli?

Critico e giornalista cinematografico


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Il direttore di Locarno Giona Nazzaro su dove trovare, come attirare e valorizzare i film in un'industria che cambia

La prima edizione del festival di Locarno diretta da Giona Nazzaro è arrivata a metà del suo svolgimento e già ha premiato Gale Anne Hurd, ha aperto con un thriller di Netflix diretto da Ferdinando Cito Filomarino con John David Washington protagonista, ha presentato quello che al momento è il miglior esordio italiano dell’anno assieme ad un film incredibile come Vengeance Is Mine, All Others Pay Cash, senza rinunciare anche al cinema che siamo più abituati ad identificare con Locarno.

Abbiamo incontrato il direttore il giorno dopo l’ultima proiezione di Mad God, di Phil Tippett, uno dei film più attesi del festival, e non è stato possibile non iniziare la conversazione proprio da quel film.

Con tutto il rispetto per te e per Locarno, ma com’è possibile che un film come Mad God, il Sacro Graal dell’animazione da 30 anni a questa parte, non stia a Venezia o a Cannes?

“La ragione precisa non la posso sapere. Posso supporre sia dovuto al fatto che noi lo abbiamo intercettato prima che avesse un venditore internazionale, che è un po’ il momento in cui entri sulla mappa dei vari festival. Inoltre credo che essendo Mad God in giro da tanto, ovviamente solo come idea e progetto, un po’ era considerato come un film che si è avvolto su se stesso oppure si pensava che Tippett stesse giocando e non facendo sul serio. Invece grazie a Markus Duffner, il capo di Locarno Pro, l’abbiamo incontrato e abbiamo messo a punto una strategia: vogliamo il film, vogliamo che venga tu, vogliamo darti un premio… E pensa che loro un po’ temevano Locarno perché dicevano che non è associato a questo tipo di cinema”.

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Come li avete convinti?

“Con il fatto che è proprio perché non è associato a quel cinema che loro devono venire da noi, perché tutto quello che faranno dopo sarà circondato dall’imprimatur locarnese e automaticamente avranno la strada spianata”.

[caption id="attachment_493235" align="aligncenter" width="1200"] Phil Tippet durante le riprese di Mad God[/caption]

Hai nominato i venditori internazionali di film. I più grandi in assoluto tra questi hanno una voce importantissima su quali film vanno ai massimi festival e quali no, i programmi non si possono fare senza prevederli, perché loro vogliono quel tipo di esposizione per poter vendere quei titoli a prezzo più alto. Come può Locarno, stretta tra Venezia e Cannes, inserirsi in questa dinamica?

“Se un grande film ha la possibilità di andare a Venezia o Cannes andrà lì. Punto. Quello che noi facciamo è non ragionare solo su queste possibilità ma anche su altre strategie. I venditori internazionali sono LA figura chiave dell’ecosistema festivaliero e adesso sempre di più iniziano a diventare pure produttori e distributori”.

Cosa cerca un grande venditore internazionale da un festival come Locarno? Come li convincete a portare qui i film che desiderate di più?

“Qui un venditore trova un certo cinema d’autore e soprattutto un certo sostegno ad esso. Ma noi contiamo di fargli capire che può trovare anche altro. I grandi venditori hanno una parte del loro catalogo che non è fatto da filmoni giganti, che come detto se possono andare a Venezia o Cannes ci vanno, e per quella parte del catalogo può un festival come Locarno e il rapporto che ha con il pubblico può essere molto interessante. Saremo sempre aperti al cinema radicale, ma vorrei che si capisse che siamo molto attenti a tutto il cinema che può incontrare un grande pubblico. Specie quello che non si pensa che lo possa incontrare. E questo penso che possiamo farlo capire con la programmazione”.

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Che intendi?

“Intendo che quando mettiamo un film come Cop Secret, cioè una commedia poliziesca islandese, in concorso facciamo una cosa che non si era mai vista e stiamo dicendo che quel film di grande intrattenimento ha dignità da concorso, è anche cinema d’autore. Intendo che quando mettiamo un film come Hinterland, un colossal austriaco e un film d’autore, in Piazza Grande, accanto a Free Guy della Disney, stiamo facendo capire che quel film così d’autore può parlare a tanti pubblici come fa Free Guy, è spettacolare ma anche visivamente interessante ma anche audace. In questo modo gli diamo quell’imprimatur lì, “Questo è un film da Piazza Grande”, e non è la stessa cosa che se andasse, chessò a Un Certain Regard. Poi certo in questi posizionamenti anche i venditori hanno le loro richieste, alle volte bisogna vedere se riesci a convincerli che un film può essere più tutelato in una posizione piuttosto che in un’altra”.

È la stessa ragione, questa, per la quale hai aperto con Beckett? Una recensione internazionale del film attacca scrivendo: “Negli anni precedenti un film d’apertura di Locarno intitolato Beckett avrebbe avuto a che fare con un poeta o con un prete ma […] sotto la nuova direzione è un thriller politico con un uomo in fuga distribuito da Netflix”.

“Anche Beckett è un film d’autore al 100% ma d’azione e grande intrattenimento. Tuttavia con questa apertura mi interessava segnalare anche un’altra cosa, che il paesaggio audiovisivo è cambiato e continuerà a cambiare, non ci sarà più un periodo più o meno lungo nel quale torneranno a vigere regole stabili, sarà tutto in perenne movimento. E lo sarà soprattutto per questi film qui. Quelli grandi rimangono grandi e hanno i loro canali, ma è per il cinema d’autore che l’economia sta cambiando. L’industria come la conoscevamo, fatta di produzione, poi presentazione a un festival, poi vendita nei vari territori e poi distribuzione (con tutta la sua catena di sfruttamento) è in mutazione. E noi siamo aperti al cambiamento. Poi mettici che Ferdinando Cito Filomarino qui è di casa”.

beckett

Non pensi che queste scelte siano una rottura con la tradizione di Locarno?

“Ma a me la tradizione di Locarno piace tantissimo! Io spero che quel che ho fatto possa essere subito assorbito e diventare tradizione. Sai la storia di Locarno è una di evoluzioni. Frédéric Maire ha fatto una retrospettiva sull’animazione giapponese in anni in cui si facevano i soliti discorsi contro l’animazione giapponese, Oliver Père ha dato un premio a Renato Pozzetto, Carlo Chatrian ha aperto le porte al cinema indipendente americano con Ethan Hawke… Mi interessa interagire con quel tipo di tradizione. Cambiare sì, ma con coerenza rispetto alla storia del festival. Quello che so di non voler fare è un festival autoreferenziale, in cui solo un pugno di persone continuano a parlare fra di loro in totale isolamento rispetto al resto del mondo.
Anche perché penso di essere uno spettatore molto esigente ma onnivoro. Posso amare con lo stesso trasporto il piccolo film super radicale come entusiasmarmi a vedere Free Guy”.

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Ho visto che già in questa prima edizione di Locarno hai raccolto i frutti del lavoro che hai fatto negli ultimi anni alla direzione della Settimana della Critica di Venezia. Ci sono Simone Bozzelli e Hleb Papou i cui corti avevi presentato lì, c’è Bertrand Mandico il cui esordio avevi presentato lì… Intendi proseguire su quel tipo di linea?

“C’è anche un corto di Gitanjali Rao di cui alla SIC avevamo presentato Bombay Rose!
Ti posso dire una cosa della SIC che secondo me è stata cruciale: là mi sono reso conto che poteva essere molto interessante interagire con il mondo dei vari “lab” in cui si sviluppano i film. Ad esempio Whether The Weather Is Fine è uno dei progetti che abbiamo braccato di più in vari lab (come Visions Sud Est qui in Svizzera) e ora lo possiamo programmare. Invece che andarmi a litigare i soliti film con gli altri festival in questo modo possiamo arrivare prima su certi progetti. Non è un caso che la Biennale abbia creato il Gap-Financing Market o Venice Final Cut, così da diventare essa stessa un hub di progettualità e avere i film già in casa. Alla SIC con Francesco Di Pace volevamo spingere nella direzione di un cinema più arrischiato, non quello che siamo molto abituati a vedere ai festival. Ecco, seguendo questa idea mi piacerebbe qui a Locarno colmare la distanza tra l’industria e l’artistico, mi piacerebbe che per esempio un produttore non italiano veda il corto di Simone Bozzelli (intitolato "Giochi"), che abbia la possibilità di avvicinarlo e dirgli “Che vuoi fare?”, ma vale per qualsiasi altro regista dei pardi eh”.

Vuoi fare di Locarno un posto in cui l’industria possa scovare (e quindi voler presentare) il nuovo?

“Cineasti del presente, la sezione con più registe donne e persone non binarie, è proprio questo e per questo motivo abbiamo aggiunto due premi (miglior attrice e miglior attore). A volte presentiamo film da zone del mondo che non sono i soliti bacini da cui si attinge e l’idea è dire all’industria: “Qui c’è qualcosa che potete comprare, distribuire o mettere sulle vostre piattaforme”. Anche perché, parliamoci chiaro, quello che va oggi è il cinema d’autore. Prendi Titane, è un film di genere perché c’è il “sangue” ma non risponde a nessun codice del cinema di genere, è un film d’autore. O un altro film che era a Cannes come The Innocents, cinema d’autore con elementi di genere; o ancora Freaks Out, se è come Jeeg, è un film d’autore pur avendo tantissimi elementi di genere. Noi vogliamo attirare queste persone, quelle più avventurose”.

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