X-Men: l'incontro Panini con Chris Claremont, Matt Rosenberg e Pepe Larraz | LuccaCG19

Chris Claremont, Matt Rosenberg e Pepe Larraz rispondono alle domande degli editor Panini Comics sulla grandezza degli X-Men

Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.


Condividi

Si è svolta nella mattinata di venerdì l’incontro speciale con i fan giunti a Lucca Comics & Games 2019 per parlare del passato e del futuro degli X-Men. Pubblico decisamente nutrito per incontrare due importanti personalità attualmente legate ai Figli dell'Atomo, ovvero lo sceneggiatore Matt Rosenberg e il disegnatore Pepe Larraz, ma soprattutto uno degli ospiti simbolo di questa edizione stellare della kermesse toscana: Chris Claremont.

A coordinare l'incontro, due importanti elementi del comparto editoriale di Panini Comics: l'editor delle testate mutanti Marco Rizzo e il coordinatore editoriale Nicola Peruzzi.

Si è partiti con la definizione di ognuno del segreto del successo degli X-Men:

Segreto Sinistro rivelato #2

Claremont – Il segreto sta nell'essere arrivati per primi. Gli X-Men sono stati creati da Stan Lee e Jack Kirby, poi Roy Thomas e Neal Adams hanno realizzato il primo ciclo di storie davvero sorprendente, quindi io li ho presi in mano quando i nuovi X-Men erano all’esordio. E per me è stato il regalo migliore del mondo: una serie del tutto nuova con personaggi completamente diversi dal passato e con un grande artista come Dave Cockrum al mio fianco. E per sedici anni, io e tutti gli straordinari collaboratori che si sono avvicendati ai disegni ci siamo divertiti un mondo. È stato il miglior parco giochi di sempre, con la miglior gente possibile a divertirsi. E ci siamo divertiti davvero, una cosa che non tutti possono dire del proprio lavoro.

Rosenberg – Il successo per me dipende dalla forza e dalla varietà dei personaggi che gli autori che mi hanno preceduto hanno costruito. Io sono cresciuto con gli X-Men di Chris Claremont, ed è stata la sua serie il primo fumetto che ho letto.

Non importa chi tu sia: se leggi gli X-Men troverai un personaggio che ti rispecchia, il che è molto importante. Altre serie ti propongono personaggi che salvano il mondo, ma loro raccontano molto di più: famiglia, amicizia, tentativo costante di trovare un posto nel mondo... Leggere quelle storie quando sei giovane è di grande ispirazione, perché ti ricordano che ogni giorno puoi guardarti attorno e cercare una famiglia che ti corrisponda. Sono molto più che semplici storie su gente che salva il mondo.

Larraz – Per me la forza di questi personaggi è che ti ci puoi riconoscere. Ogni volta che senti di non appartenere a un certo ambiente, loro sono lì a dirti che sono come te. E per me, la cosa migliore è il fatto che parli di una scuola, della sensazione di comunità e famiglia. Ecco cosa mi appassiona agli X-Men.

Rizzo ha ricordato che l'Italia è casa di una delle serie più longeve dedicate agli Uomini X in tutto il mondo. Ventinove anni ininterrottamente in edicola e fumetteria per Gli incredibili X-Men.

X-Men #1, variant cover di ArtgemPeruzzi – Ormai sono ventinove anni che va in edicola, l’anno prossimo trenta. Credo che per noi Italiani siano importantissimi gli X-Men. Per me sono stati una scuola di formazione, perché leggendo le storie di Chris Claremont prima e oggi quelle che continuano grazie ai nuovi autori trovo vicende così differenti che offrono la possibilità di parlare di quel che provi davvero nei confronti del mondo, delle persone, della diversità che rappresentano. Questioni che travalicano i super eroi. Quando sono nati, gli X-Men erano un team come tanti altri, ma oggi sono qualcosa che va oltre. Vere e proprie icone non solo del Fumetto, ma anche in termini di aspirazione.

Rizzo – Termini come tolleranza e diversità io li ho imparati dai fumetti Marvel e in particolare dagli X-Men. Per me la ragione del loro successo è anche la presenza di fortissimi personaggi femminili. Gran parte della caratterizzazione si deve soprattutto a Chris Claremont. Con la Saga di Fenice Nera e il percorso del personaggio di Tempesta ha ridefinito le super eroine. E vorrei chiedergli quale sia stata la sua fonte di ispirazione.  C’è un esempio di vita reale su cui hai modellato le tue eroine? E ti rendevi conto, in quegli anni che stavi cambiando la percezione delle donne a fumetti?

Claremont – Guardati in giro. Il 55% della popolazione mondiale è donna. Ignorarlo, da scrittore, equivale a rovinarsi l’opportunità di vendere un sacco! [Ride]. Ma quando la Marvel è nata, nei Sessanta, quello era un mondo di ragazze. Non donne. Super-Girl, Bat-Girl, Marvel-Girl, la Ragazza Invisibile. "Ciao, sono una donna e il mio potere è sparire". Pensate se un personaggio così venisse creato oggi! Nella mia vita ho conosciuto moltissime donne brillanti, coraggiose e splendide, quindi ho pensato di dar loro parità di tempo sulla scena. A quanto pare, funziona.

Uncanny X-Men #265, copertina di Andy Kubert

La chiave degli X-Men, per completare il concetto di prima, è che sono una scuola, secondo me. Questa è la differenza: gli eroi sono quasi sempre umani figli di un incidente. I mutanti sono diversi, e proprio per questo spaventosi. La gioia non era nella componente super eroistica, per quanto mi riguarda, ma in quella adolescenziale delle storie: i primi amori, i primi esami, la scoperta della propria identità... Gli X-Men erano studenti, avevano tutta la vita davanti, il loro mondo non era ancora definito rigidamente. Questa era per me la fonte delle migliori storie.

Ho iniziato a scriverli tanto tempo fa in una galassia lontana lontana in cui gli adolescenti che sbagliavano avevano una seconda possibilità. Oggi non va più così. L’opportunità era rappresentata da quello spazio, dalla possibilità di commettere errori. Una seconda dipendeva dal fatto che il tempo non scorre in maniera realistica nelle storie Marvel. Puoi allungarlo, spalmarlo. Kitty ha avuto quindici anni per cinque, dieci anni reali. E questo è un dono meraviglioso per noi, perché quando sei giovane tutto è nuovo e sorprendente. E per me, spero anche per voi, questo è motivo di gioia. Leggere quel che la vita era un tempo, piena di speranze ma spaventosa.

Marco Rizzo ha quindi chiesto ai presenti se oggi sia più difficile fare qualcosa che in passato era la regola: parlare della contemporaneità e dei problemi del reale nelle avventure del gruppo.

Rosenberg – Credo che a suo modo, specialmente con gli X-Men, oggi sia più difficile, perché c’è una grande quantità di storie che sono già state raccontate su questi temi. Oggi i problemi sono universali, quindi trovare una nuova vicenda che parli di questo genere di cose è una sfida, anche perché io non voglio ripetere quel che è stato fatto in passato, non voglio essere una versione sfigata di Chris. Per me, la gioia di lavorare alla Marvel è essere una tessera in un grande mosaico. Mettere il mio pezzettino dell'affresco è la mia gioia.

Larraz ha quindi risposto a due domande fondamentali: quale sia il personaggio preferito da disegnare degli X-Men e quale sia la natura della sua collaborazione con Jonathan Hickman, attuale deus ex machina delle avventure del gruppo.

House of X #4, copertina di Pepe Larraz

Larraz – Confesso di essere davvero ignorante sulle storie del passato. A volte, quando parlo con gli altri autori, vedo che loro sono enciclopedie, come Carlos Pacheco. Ogni volta sono stupito. Per me, comunque, non c’entra il personaggio perfetto ma le belle storie storie, conta che siano rilevanti. Quando ne ho sotto mano una davvero importante, allora sono felice di disegnarla e credo sia quello a rendere divertente un personaggio. Non è Wolverine che rende grande una storia, ma una grande storia che rende grande Wolverine.

Collaborare con Jonathan Hickman, per me, significa vedersi dare dei consigli più che degli ordini. Non ti dice di preciso come devono apparire le cose sulla pagina. Ti dà un’idea di quel che vuole, e di solito funziona molto bene. Nella definizione della natura di Krakoa, per esempio, mi ha chiesto delle cose specifiche ma mi ha lasciato anche molta libertà. Ovviamente mi ha richiesto di separare parecchio i singoli ambienti, di inserire molti elementi organici, ma mi ha lasciato stabilire di che tipo e come dovessero essere esteticamente.

Abbiamo dovuto mescolare natura ed edifici. Di solito, quando succede, l’edificio sembra abbandonato, ma non era questo l'effetto che volevamo ottenere. Volevamo dar vita a luoghi accoglienti e familiari. Quindi ho studiato molto la bioarchitettura per dar vita a queste abitazioni molto naturali e legate alla vegetazione che vedete sulle pagine. Anche lavorare con R.B. Silva è stato bello, perché ci siamo alternati nella creazione degli ambienti, prima io e poi lui. E ci siamo ispirati a vicenda, quasi sfidandoci, come in un dibattito in una dialettica.

Continua a leggere su BadTaste