Wonder Woman: la nuova sceneggiatrice Mariko Tamaki si presenta ai lettori
Maiko Tamaki, la nuova sceneggiatrice di Wonder Woman, ha parlato di sé, della propria carriera e del suo rapporto con le storie che scrive
Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.
Tamaki - Non ho letto fumetti fino a che non sono stata adulta. Più o meno. Mi ricordo di aver letto Archie, quando ero piccola. Ho iniziato a leggere un po' di fumetti indipendenti all'università, come Liliane di Leanne Franson. Poi un amico mi ha fatto conoscere Tank Girl, di Jamie Hewlett e Alan Martin.
Non saprei indicarvi una storia specifica che mi abbia fatto venire voglia di scrivere comics. Gli artisti con cui ho avuto l'occasione di lavorare mi hanno però fatto venir voglia di diventare una scrittrice migliore. Ci sono state molte storie che ho letto nel corso del tempo che mi hanno fatto lo stesso effetto, per quanto fossero belle. Ogni volta che leggo qualcosa di Eleanor Davis, ad esempio, oppure quando ho avuto per le mani La mia cosa preferita sono i mostri, di Emil Ferris. Quando leggo Hawkeye di Matt Fraction e David Aja mi esplode la testa per quanto è intelligente. Mi sento come se persone più in gamba di me mi prendessero costantemente a schiaffi.C'è una parte poco visibile del processo di creazione di un'opera d'arte, ovvero le molte persone che sono spesso coinvolte nella realizzazione del prodotto finito. Si pensa, in genere, che chi crea sia molto solitario, il che è vero, sotto certi aspetti, ma parecchie forme d'arte richiedono collaborazione con altri. In particolare, lavorare nel teatro mi ha insegnato a stare in gruppo, a vedere l'arte come una combinazione di visioni, invece che una visione singola. Un volta ho scritto una versione più positiva del testo di Living la vida loca, assieme ad altre otto donne. Se riesci a fare questo, allora riesci anche a lavorare a una serie a fumetti, con un disegnatore e un editor.
Sono convinta che tutte le storie siano, in fine dei conti, delle narrazioni sulla crescita. Per molto tempo sono stata affascinata dalle scuole superiori. Quel microcosmo, quell'ecosistema lo sentivo molto vicino alla mia sensibilità. Forse perché è il contesto in cui ho iniziato a vedere il mondo come una giovane artista? Dopo aver realizzato Skim, mi si sono aperte nella testa un sacco di idee sulla scuola, su quale sia il suo significato, sui cambiamenti che ti capitano lì dentro. E trovo che sia ancora un argomento molto interessante, quindi finisco sempre per parlarne nelle storie.
Su Skim lavoravo assieme a mia cugina Jillian e io e lei ci intendiamo piuttosto bene. Sappiamo lasciare all'altra il proprio spazio di manovra. Probabilmente, all'epoca, ci ha aiutate il fatto che non sapessimo per nulla quel che stavamo facendo. All'epoca, le fornii sostanzialmente una sceneggiatura teatrale che lei riuscì a usare come una solita base di partenza per lavorare assieme a me a una storia a fumetti. Quando lavori assieme a qualcuno, o si crea una certa chimica oppure niente. Devo dire di essere stata molto fortunata a collaborare con tante persone di cui ho grande stima, per realizzare le storie che amo.
La serie preferita della mia carriera? No, non sono in grado di decidere. Sono tutte diverse e ognuna rappresenta un passo importante, per me. Prima o poi mi piacerebbe scrivere una storia su Catwoman. Sarei felice di avere per le mani una donna infida.
Fonte: Newsarama