Westworld: Jonathan Nolan e Lisa Joy sulle sfide, le ambizioni e il futuro della serie
Dopo lo straordinario successo di Westworld, gli showrunner Jonathan Nolan e Lisa Joy hanno parlato delle sfide e dei progetti futuri per la serie
Attenzione: contiene spoiler su tutta la prima stagione di Westworld
La prima stagione è stata prevalentemente orientata all’esplorazione del concetto di controllo, mentre la seconda sarà incentrata sull’idea di caos. Cosa ha portato Westworld a una svolta violenta?
J.N: Ho lavorato in televisione per anni e amo diversi approcci che possono essere adottati per costruire uno show. Ma nella maggior parte dei casi si gira l’episodio pilota, si costruiscono i set, si ingaggiano i membri del cast e si inizia a lavorare sodo. È un metodo di lavoro che rispetto, ma io e Lisa non abbiamo alcuna intenzione di restare negli stessi set e non vogliamo proporre per 10 anni la stessa ambientazione. Vogliamo sconvolgere tutto e portare la vicenda in avanti. Quando abbiamo iniziato a lavorare, sapevamo entrambi di avere obiettivi ambiziosi. Volevamo che tutto fosse un crescendo.L.J: Il contrasto tra controllo e caos mi ricorda un poema di Langston Hughes. Dolores si sente come in un sogno, ma in un sogno che non è il suo. Ecco perché non riesce a vivere la sua vita. E alla fine, come avete visto, tutto viene fuori in maniera esplosiva.
Ford rivela che la sua nuova storia è costruita per attivare la coscienza degli androidi. In effetti, non è in vero e proprio contrasto con Arnold. In un certo senso, è giunto alla stessa conclusione del suo vecchio amico. Come siete arrivati a una conclusione simile?
J.N: Siamo andati per gradi, a cominciare dall’episodio pilota. Abbiamo capito che avevamo l’occasione di esplorare un personaggio estremamente ambizioso e, contemporaneamente, un grande uomo. Anzi, due grandi uomini. Le loro tesi su cosa stessero facendo si scontrano anche dopo la morte di uno dei due. Sapevamo fin dall’inizio che, per declinare questa vicenda a dovere, dovevamo prenderci i tempi giusti. E ciò di cui avevamo bisogno era il miglior attore in circolazione.
Abbastanza facile da trovare…
J.N: Sì, non ci sono stati problemi. Ci serviva un grande cast, tutto qui. Ma quando abbiamo girato la prima scena con Anthony Hopkins e Jeffrey Wright, abbiamo capito quanto siamo stati fortunati ad avere in squadra due incredibili attori. Chi non li guarderebbe all'infinito mentre disquisiscono sulla vita e sul suo significato?
Ford parla con Bernard di come la sofferenza nutra la consapevolezza, e di come lui stesso abbia sofferto per la morte di Arnold. Davvero Ford ha sofferto? Erano davvero così affiatati?
L.J: Credo che Arnold avesse già conosciuto a sufficienza la sofferenza per via della perdita di suo figlio. Ma per Ford era ancora un concetto puramente accademico. Ford non voleva chiudere il parco, anche se Arnold gli stava fornendo indizi a sufficienza per capire che gli androidi avevano acquisito una coscienza. In fin dei conti, Ford è anche un uomo solo, che a volte se ne va in uno sgabuzzino a bere qualcosa con uno dei vecchi androidi. È un po’ come una sorta di ultimo uomo.
Grazie a Dolores, ora non lo è più. Ford doveva morire affinché una rivoluzione potesse avere luogo?
L.J: È un po’ come quando Arnold dice “La violenza deve essere vera”. Ford si approccia al consiglio della Delos in maniera abbastanza drammatica. Essenzialmente, elimina ogni misura di sicurezza. E non si torna indietro da qualcosa del genere.
J.N: Abbiamo parlato del libro di Julian Jaynes (The Origin of Consciousness in the Breakdown of the Bicameral Mind) che è stato un punto di partenza interessante per comprendere la cognizione degli androidi. Queste creature sono cresciute fino a un livello senziente proprio all’interno di questa storia. Realizzano che l’unico modo di essere libere è la morte di chi li controlla. L’unica cosa che si interpone tra i residenti e gli ospiti, alla fine, è proprio Ford. Ed è proprio lui che si rimuove dai componenti di questa equazione.
Rivedremo comunque Anthony Hopkins nella seconda stagione?
L.J: In uno show come questo nulla è da dare per scontato. Abbiamo avuto un’esperienza magnifica. In effetti, uno dei più grandi privilegi che abbia avuto nella mia carriera è stato proprio quello di lavorare con Anthony Hopkins.
Quanto dobbiamo temere Dolores? Quanto di Wyatt c’è in lei?
L.J: Credo sarà qualcosa che esploreremo, e che sarà lei stessa a scoprirlo.
L’ultimo episodio svela che William e l’Uomo in Nero sono la stessa persona. Come vi è venuta l’idea? Quando avete deciso di raccontare la sua storia in due timeline differenti?
J.N: Dall’inizio dell’intero progetto. Con Lisa abbiamo passato molto tempo a discutere della complessità di una scelta simile. Ci sono dei protagonisti che sono essenzialmente immortali, che non comprendono perfettamente la natura del mondo intorno a loro. Un aspetto assolutamente critico della loro natura deriva dal fatto che non riescono a distinguere chiaramente il loro presente dai ricordi. Gli uomini dimenticano. Noi tutti dimentichiamo e andiamo avanti con le nostre vite. La nostra stessa percezione della memoria muta nel tempo. Qui, invece, abbiamo l’opportunità di parlare di creature pronte a diventare potenzialmente “antiche”, che potrebbero perdersi nei loro ricordi. Dunque, sapevamo fin dall’inizio di voler raccontare una storia di diversi decenni.
Ora che il segreto è stato svelato, torneranno Jimmi Simpson e Ben Barnes?
J.N: Ancora una volta, non darei nulla per scontato in questo show.
Avete introdotto ciò che la gente sta chiamando il “Samurai World”. Come è nata l’idea? Chiaramente, possiamo ritenere che esista più di un parco…
L.S: Sì, è così. L’aspetto migliore della serie è che, stagione dopo stagione, possiamo farla crescere nelle ambizioni. Sicuramente conosceremo altri mondi. Resta solo da vedere dove e quando.
Maeve è stata a un passo dall’abbandonare il parco. Riuscirà mai ad andarsene e a conoscere il mondo esterno? In che stato è, soprattutto, il resto del mondo?
J.N: Come ha detto Lisa, vogliamo che la narrazione, per quanto complessa, segua un set di regole relativamente semplici. Una di questa riguarda proprio il fatto che gli androidi non conoscono il mondo esterno, e dunque non lo conosce neanche il pubblico. È Westworld a rimanere centrale nella storia. Tuttavia, posso dirvi che gli androidi diventeranno sempre più curiosi verso il mondo che c’è fuori. Anche questa è una delle direzioni che lo show prenderà.
Il finale è stato molto violento. C’è stato un momento nel quale avete pensato che lo fosse troppo?
J.N: È qualcosa di complesso da valutare. L’episodio l’ho diretto io. Abbiamo tutti una disconnessione di fondo tra ciò che ci piace vedere nei film o in televisione o nei videogiochi e la violenza del mondo reale, che tutti condanniamo. È molto stano. La gente è strana. Il mondo con cui raccontiamo storie è strano. Dunque, volevamo fare perno proprio su questo distacco, e giocare un po’ con i sentimenti del pubblico. Abbiamo visto moltissima violenza nei confronti degli androidi per tutta la stagione ma, nella percezione del pubblico, solamente l’ultimo episodio è violento proprio perché stavolta a subire violenza sono gli umani. Fateci caso, ora che i giochi sono invertiti come vi sentite?
Nolan ha poi confermato che lo show non tornerà prima del 2018. La produzione di Westworld richiede infatti un dispiegamento di risorse e una quantità di lavoro tali da richiedere un tempo sufficiente a mantenerne alti gli standard qualitativi.
Trovate tutte le recensioni, le notizie e le curiosità sulla serie nella nostra scheda.
Fonte: Hollywood Reporter