View Conference 2015 - Kim White parla della fotografia di Inside Out

Alla View Conference 2015 Kim White, direttrice della fotografia di Inside Out, ha parlato delle sfide del capolavoro Pixar

Nato a metà degli anni '90, appassionato di cinema, serie TV e fumetti, continuamente in viaggio e in crisi con se stesso. Ama i pinguini e non certo per questo si è ritrovato a collaborare con BadTaste tra festival, interviste e approfondimenti.


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Con il successo che Inside Out, l'ultimo film dei Pixar Animation Studios, sta avendo in tutta Italia e nel resto del mondo, alla View Conference non poteva mancare un ospite che ci avesse lavorato.

La scelta è ricaduta su Kim White, direttore della fotografia (luci) del film di Pete Docter.

Entrata nel 1997 negli gli studi seguiti da John Lasseter, l'artista ha lavorato anche come modellista in A Bug's Life, Toy Story 2, Gli Incredibili e in Monsters & Co. Successivamente si è occupata di illuminare la barriera corallina di Alla Ricerca di Nemo fino ad arrivare al ruolo di direttrice della Fotografia, anche per Toy Story 3.

Durante il suo panel di presentazione, "Illuminando Gioia", ci ha raccontato quanto sia stato difficile illuminare i due mondi che vediamo in Inside Out: quello reale e quello della mente.

Nel primo le sfide più grandi sono state date dal colore. Non bisognava eccedere, doveva esser reso poco saturo ma al tempo stesso era necessario farlo cambiare assieme all'umore di Riley. Anche il Minnesota doveva essere diverso rispetto a San Francisco e per tale motivo il team ha visitato le location da realizzare in computer grafica. La sfida del mondo immaginario, invece, è stata data dal fatto che non è mai esistito nulla di simile. Kim e il suo team hanno dovuto inventare tutto da zero insieme al regista e di grande ispirazione sono state le opere sature di James Turrell, alcuni spettacoli teatrali orientali che li hanno incantati con i loro cambiamenti di colore e soprattutto la visione di grandi classici dell'animazione come Alice Nel Paese delle Meraviglie e il relativo stile dettato da Mary Blair, fenomenale animatrice degli anni '50 dei Walt Disney Animation Studios.

Non è stato semplice, tuttavia, neanche realizzare l'effetto che Gioia ha sul grande schermo. Lei è l'unica emozione e l'unico personaggio ad avere una luce propria e ci sono volute molte prove per avere un risultato credibile. Il software Lumos è stato centrale per questo. Soprattutto per mostrare due mondi così diversi ma così vicini.

Abbiamo avuto anche il tempo di farle una domanda.

D: Una delle scene più belle e interessanti del film, ricche di riferimenti artistici, è senza alcun dubbio quella che si svolge all'interno del pensiero astratto. A Roma, Pete Docter ci ha detto che è anche la sua preferita. In questa sequenza c'è un passaggio netto dal 2D al 3D. Quali sono state le difficoltà per te in questa sequenza?
R:
Ah, bella domanda. Ho adorato anch'io quella sequenza. Nella prima parte di quella scena troviamo i personaggi normali, in 3D, con le loro sembianze più classiche. Poco dopo si cambia drasticamente tecnica. Le emozioni e Bing Bong diventano soggetti in 2D. La sfida era trasformare anche le loro ombre. E dovevamo farlo nel modo migliore possibile, senza rendere troppo evidente questo passaggio. Inoltre non potevamo rischiare che questo cambiamento facesse sembrare la CGI usata nella seconda fase della sequenza sorpassata. Per questo motivo abbiamo fatto lavorare un solo animatore a questo processo per non andare mai in contrasto e rendere tutto perfetto e soprattutto semplice. Dovevamo anche divertirci lavorando!

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